EsteroFocusGermaniaIn vetrina

Oktoberfest: quando nasce l’evento e la sua birra

Quando si parla dell’Oktoberfest si rischia di incorrere in una spirale di semplificazioni e stereotipi: in primo luogo l’idea che la stessa birra monacense, bavarese o addirittura tedesca sia quella, appiattita, della rappresentazione dell’Oktoberfest. Chi partecipa tende a privilegiare la quantità e a ricercare la conseguente ebbrezza, dimenticandosi della qualità e alla consapevolezza di cosa ci sia nel tipico Maß. Non c’è nulla di male nel lasciarsi andare allo spirito della festa, ma se si vuole dare uno sguardo più approfondito dentro al nostro profondo boccale possiamo incontrare una storia appassionante e decisiva per l’intero mondo birrario.

La chiave di tutto, come spesso avviene in molte umane vicende, risiede nelle origini: su qualunque libro di storia o guida turistica si legge infatti che la prima Oktoberfest ebbe luogo nel 1810 in occasione del matrimonio tra il re Ludwig I di Baviera e la principessa Teresa d’Asburgo. Secondo questa versione, chi non era stato abbastanza fortunato da rientrare nel novero degli invitati al regale banchetto si consolò organizzando una festa in un grande prato al limitare della città, ribattezzato da allora Theresienwiese ovvero “prato di Teresa”. Un’ipotesi plausibile, non fosse che la prima edizione consistette essenzialmente in una fiera agricola coronata da una corsa di cavalli senza alcuna traccia di birra e che ancora per alcuni anni a seguire la spumosa bevanda non fu in alcun modo la principale protagonista della festa sul prato. Gli storici a questo punto sono in difficoltà a comprendere e spiegare come la fiera agricola si sia via via trasformata nella più sfrenata celebrazione della viscerale passione bavarese per il nettare di malto e luppolo. In realtà la soluzione è molto semplice, da manuale d’uso del rasoio da Ockham. La festa sul prato si è infatti fusa con una ben più radicata e popolare che si celebrava dentro le mura della città e aveva la birra come principale protagonista ed è proprio questa più antica celebrazione che è strettamente legata non solo alla nascita dello stile birrario che per secoli ha legato il suo nome all’Oktoberfest, ma anche alla genesi della bassa fermentazione.

 

Ironicamente, pensando all’attuale dinamica dell’Oktoberfest, che, come già detto, privilegia decisamente l’aspetto quantitativo e godereccio, tutto nacque nel nome della qualità. Nel Basso Medioevo, infatti, in numerose città del Sud della Germania si ebbero problemi legati alla qualità scadente delle birre che generava rivolte popolari difficilmente controllabili e potenzialmente molto pericolose per il potere costituito, perché una volta accesa la scintilla del malcontento l’oggetto della protesta poteva rapidamente passare dalla birra cattiva alle tasse e al governo della città. Furono emanate leggi e create istituzioni finalizzate a garantire la bontà della bevanda d’orzo. Fin dal 1156 la costituzione della città di Augsburg, la Augusta romana, la più antica municipalità della Baviera, prevedeva che la birra mal brassata fosse confiscata al produttore e distribuita gratis ai poveri o gettata via se era proprio pessima. A Monaco, per fare un altro esempio, dal 1363 i dodici consiglieri muncipali si assumono l’onere (e il piacere) di supervisionare la produzione dei birrifici cittadini e dal 1420 decretano che qualunque birra debba essere maturata almeno otto giorni prima di essere messa in vendita. Inoltre è dello stesso anno un documento del consiglio cittadino che parla, per la prima volta nella storia, di “birra fermentata al freddo”, con buona pace di chi, ancora oggi, ripete la falsa leggenda che, prima del lavoro di Pasteur, tutte le birre sarebbero state a fermentazione spontanea. L’attenzione per gli ingredienti è naturalmente prioritaria per garantire l’elevata qualità dei prodotti e per questo, fin dal 1447 la municipalità di Monaco raccomanda ai birrai di produrre birra solo con acqua, orzo e luppolo. È il primo nucleo del celeberrimo Reinheitsgebot (tale nome nascerà però solo nel 1918 ad opera di un oscuro funzionario del ministero dell’agricoltura della Repubblica di Weimar), la “calda raccomandazione” diventerà infatti obbligo per la città di Monaco dal 1487 e per l’intera Baviera dal 1516. Nel 1551 un’altra ordinanza cittadina afferma che “orzo, buon luppolo, acqua e lievito (sic!) opportunamente brassati e fatti raffreddare possono produrre una birra fermentata a bassa temperatura”, l’osservazione empirica che le birre brassate nei mesi invernali erano migliori e più stabili di quelle prodotte in estate, inoltre, porta nel 1553 ad un’ulteriore legge che proibisce la birrificazione nei mesi più caldi, limitando la stagione brassicola al periodo compreso tra il giorno di San Michele, il 29 settembre, e quello di San Giorgio, il 23 aprile.

La proibizione estiva ha importantissime conseguenze. Per poter disporre di scorte sufficienti a placare la proverbiale sete bavarese, infatti, veniva prodotta molta birra nei mesi di marzo ed aprile. Al fine di conservarla senza rischi le ultime birre prodotte erano più scure e più alcoliche di quelle ordinarie, che erano le antenate delle odierne Dunkel. La birra di fine stagione venne chiamata popolarmente Märzen perché la sua produzione iniziava appunto a marzo. La conservazione avveniva in magazzini (Lager) refrigerati con ghiaccio recuperato da fiumi e laghi nei mesi invernali, in tal modo, con birre prodotte e conservate sempre al freddo, vennero selezionati, naturalmente in modo solo parzialmente consapevole, lieviti che lavoravano a bassa temperatura. I magazzini potevano essere collocati in cavità naturali o in cantine e terrapieni scavati artificialmente, in questo secondo caso spesso il suolo veniva coltivato a ippocastani per consolidarlo. Nei caldi mesi estivi, quale idea può essere migliore di recuperare una botte dal magazzino sottostante e berla all’ombra degli ippocastani? Nasce così il Biergarten, fondamentale istituzione che è tra i cardini della cultura birraria bavarese e francone. In prossimità della data di inizio della nuova stagione brassicola, infine, era opportuno svuotare i magazzini di tutte le rimanenze: è così che nacque l’Oktoberfest “popolare”, che andò poi a fondersi negli anni Venti dell’Ottocento con la fiera agricola sui prati di Teresa.

boccale

La prima birra dell’Oktoberfest era dunque questa Märzen storica, una Ur-Märzen per dirla alla tedesca, oggi totalmente perduta: si trattava di una birra scura e di media gradazione alcolica, attorno ai 6% ABV, più forte, corposa e strutturata rispetto alle ordinarie birre monacensi, che erano comunque scure perché in Europa continentale erano ancora ignote le tecniche per produrre malti chiari. La prima svolta stilistica delle birre della grande festa avviene proprio a causa di innovative tecniche di maltazione. Nel 1833, infatti, Anton Dreher, proprietario dell’omonimo birrificio viennese, che aveva già filiali a Budapest e Trieste, e Gabriel Sedlmayer il Giovane, discendente della dinastia monacense titolare della Spaten, si recano in Inghilterra per una vera e propria opera di spionaggio industriale: i due sono fortemente interessati a comprendere i segreti delle Pale Ale d’Oltremanica, che stavano vivendo un grande successo commerciale globale. Così, visitando numerosi birrifici apprendono importanti nozioni sulla gestione della fermentazione e, soprattutto, sulla maltazione con carbon coke, che permetteva ai britannici di produrre malti chiari fin dal XVII secolo. Rientrati in patria, Dreher e Sedlmayer sperimentano nuove tecnologie produttive (Spaten diventa il primo birrificio fuori dall’Inghilterra ad utilizzare l’energia del vapore) e nel 1841 fanno debuttare in sincrono le loro rivoluzionarie creazioni: Dreher presenta la prima Vienna Lager e Sedlmayer la prima Märzen moderna, che viene servita, con notevole fiuto commerciale, all’Oktoberfest di quell’anno. L’ingrediente principale di queste nuove produzioni erano dunque i malti ambrati tostati in modo più gentile e meno accentuato che nel recente passato, gli embrioni delle varietà oggi celebri come Vienna e Münich. Sia la Vienna che la nuova Märzen erano più chiare delle birre scure ordinarie in voga tanto sulle rive del Danubio che su quelle dell’Isar e più leggere rispetto alle Märzen “antiche”: entrambe si attestavano infatti intorno al 5-5,5% ABV, con le Vienna leggermente più scure, più secche e più luppolate rispetto alle Märzen “moderne”. Un ulteriore passo viene compiuto nel 1872, quando Spaten utilizza per la prima volta il nome Oktoberfestbier per una versione, leggermente rivista della sua Märzen: l’ulteriore evoluzione è nel segno di un alleggerimento della componente maltata con un incremento della secchezza. Nasce l’antesignana delle oktoberfestbier: la Franziskaner Oktoberfest Ur-Märzen.

Le Oktoberferstbier vengono dunque ad assomigliare maggiormente alla Vienna di Dreher. Da quel momento, a Monaco il nome Oktoberfestbier tende a fagocitare quello di Märzen, anche se vi sono tracce di birre denominate Märzen prodotte da Pschorr e Hofbräuhaus München negli anni Novanta dell’Ottocento con ricette diverse rispetto a quelle delle Oktoberfestbier degli stessi birrifici, più alte in OG e più corpose. A partire dagli anni Cinquanta del Novecento, poi, sulla spinta di un mercato che richiedeva birre sempre più semplici sul piano aromatico e di colore chiaro, si è assistito a un progressivo impallidimento delle Oktoberfestbier servite sul prato di Teresa e questo processo ha raggiunto il suo culmine negli anni Settanta:il 1976 è stato l’ultimo anno in cui, sotto i tendoni del Theresienwiese, era possibile ordinare, oltre all’Oktoberfestbier già diventata simile alle attuali, anche le Märzen tradizionali, o, per meglio dire, ispirate alla Spaten del 1872.

Oggi il nome Oktoberfestbier è riservato, in Germania, solo alle birre prodotte per la festa dai sei birrifici della città vecchia di Monaco: come tutti sanno, dei sei produttori solo due sono ancora indipendenti (Augustiner e Hofbräuhaus München, che appartiene allo Stato bavarese). L’appartenenza degli altri quattro a grandi gruppi multinazionali ha sicuramente agevolato l’ossequio alle dinamiche di mercato che hanno condotto alla situazione attuale, in cui sui prati di Teresa è servita una birra chiara praticamente come una Helles, piuttosto alcolica per gli standard bavaresi (6-6,2% ABV) e, per agevolarne il consumo in ciclopiche quantità, con un’elevatissima attenuazione, che può arrivare anche al 95% contro il 71-72% delle prime Oktobertestbier di fine Ottocento. Birre simili a quest’ultime sono ancora reperibili in Baviera, anche se le referenze non sono numerosissime, sotto il nome Märzen: la Ur-Märzen di Spaten è in buona parte ancora basata sulla ricetta del 1872 mentre la Märzen di Ayinger è sicuramene la rappresentate più appagante e pregevole dello stile. Nel resto del mondo, invece, il nome Oktoberfestbier è liberamente utilizzabile ed è pressocché sempre associato a ciò che in Baviera viene chiamato Märzen. Ayinger utilizza infatti la dicitura Okotober Fest Märzen – Traditional Bavarian Festival Lager sulle bottiglie della sua Märzen vendute all’estero (poche, purtroppo, arrivano in Italia) e numerosi birrifici craft statunitensi si cimentano con questo stile, in primis Sierra Nevada, che produce la sua Oktoberfestbier una volta l’anno in collaborazione con un celebre birrificio bavarese o francone a rotazione: nel 2017 è il turno di Miltenberger mentre in passato era toccato a Riegele e Mahrs. Anche il BJCP, nel suo ultimo aggiornamento, ha fotografato la situazione distinguendo tra lo stile Oktoberfest-Märzen, le ambrate tradizionali, e Oktoberfest-Wiese, le odierne chiare e attenuatissime. Per complicare ulteriormente la semantica birraria, possiamo ricordare che in Austria, pur non essendoci una confusione terminologica dovuta all’Oktoberfest, il termine Märzen, che nell’Ottocento indicava una lager ambrata più forte e strutturata della Vienna e che subiva una maturazione al freddo anche di 12 mesi prima di essere messa in commercio, oggi denomina una chiara a bassa fermentazione grosso modo analoga a una Helles di Monaco ma con meno rotondità nel corpo e un’identità maltata più leggera.