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Hall of Fame. Capitolo XXXVIII. Le IGA: Barley BB10 e Montegioco Tibir

Una corona per due. Così potremmo intitolare questa nuova tappa lungo la nostra Hall of Fame, sorta di tempio laico consacrato a prodotti il cui valore storico è stato, anche e soprattutto, quello di creare le premesse, con la loro stessa genesi, per ipotizzare l’individuazione o per definire specificamente il profilo di una nuova tipologia brassicola. Ebbene, esattamente come, parlando di Trappist Quadrupel, si è optato per l’elezione di due etichette di riferimento, medesima è la scelta in ordine al più italiano (unico inserito nel Bjcp) degli stili birrari: quello che risponde alla denominazione di Italian Grape Ale (Iga). Stiamo parlando dell’anello di congiunzione tra il reame di Gambrinus e quello di Bacco, prevedendo l’utilizzo di acini o mosto d’uva, nonché l’eventuale inoculo, accanto a quelli normalmente applicati a orzo e cereali, anche di lieviti da vino.     

Oggetto di indagini retrospettive che rappresentano un campo aperto, l’origine di questa peculiare esperienza di genere è in modo presumibilmente più ragionevole da collocare in un ambito geografico sul quale sventola, in senso lato, la bandiera dei Savoia. Sì, parliamo del quadrante nordoccidenlate e altotirrenico della nostra carta nazionale: quello in cui troviamo Piemonte e Sardegna, realtà tanto diverse storicamente e antropologicamente, quanto lungamente unite, nella loro vicenda politica, sotto il governo, appunto, della dinastia sabauda. È infatti il 2006 quando, dalle officine del marchio isolano Barley (Maracalagonis, Cagliari), il deus ex machina Nicola Perra fa uscire la prima bottiglia di BB10 (una Imperial Stout con mosto cotto di uve Cannonau); e due anni più tardi, dalla stessa scuderia abbiamo il lancio della BBevò (un Barleywine con mosto cotto di uve Nasco),

Intanto, nel medesimo arco temporale, più a nord, in Piemonte, Riccardo Franzosi, birraio del Birrificio Montegioco (che prende il nome dal comune di residenza, in provincia di Alessandria) – fa conoscere, e apprezzare, alla platea di pubblico e critica la sua Tibir (Iga al Timorasso, vitigno che è gloria enologica del Tortonese), alla quale seguirà non molto dopo la Open Mind (con Barbera, identica la procedura). 

Coraggiosi e fortunati esperimenti, quei crossover genetici non immaginavano con quale solidità avrebbero affermato la propria posizione, dimostrando – in alcuni casi anche con l’invecchiamento – di essere apripista di un’ampia e variopinta progenie (il protocollo Grape Ale è declinabile secondo tagli assai diversi l’un dall’altro), innesco, insomma, di una piccola-grande rivoluzione made in Italy.