Come scegliere il bicchiere: ad ogni birra la sua forma

Nel campo delle basse fermentazioni, i flûte sono partner ricorrenti delle eleganti ed equilibrate Pils. Diversamente, le più rotonde Münchner Hell e Dunkel sono servite generalmente nelle ergonomiche colonne biconiche, modelli la cui architettura può essere descritta, semplificando, in questo modo: due tronchi di cono sovrapposti, uniti l’uno all’altro mediante la rispettiva base maggiore. Fisionomie invece più ambiziose, come il pokal (colonna troncoconica, ma con piede e stelo) o il sempre appropriato calice, vanno talvolta a braccetto con le taglie alcoliche superiori ovvero le Bock e le Doppelbock. Infine, altro abbinamento canonico e decisamente iconografico è quello tra le Lager mitteleuropee e dei Paesi dell’Est (chiare o scure che siano) e una nutrita varietà di boccali cilindrici, dai disegni e dalle misure differenti.

Restiamo in Germania, ma passiamo nel territorio delle alte fermentazioni. Come ben sappiamo, il quadrante nordoccidentale del Paese è quello in cui si incontrano le “regionali” Kölsch e Altbier, tipiche l’una di Colonia e l’altra di Düsseldorf. In entrambi i casi si tratta di prodotti dalla personalità garbatamente semplice, e allo stesso modo semplice è la sagoma dei bicchieri in cui le si degusta, rispettivamente gli stange e i becher. Ovvero dei cilindri – il primo più snello e slanciato, il secondo leggermente più basso e largo – entrambi da 20 centilitri di capienza ed entrambi caratterizzati da uno sviluppo perfettamente regolare e neutro. Curiosamente simile, un cilindro, anche qui, ma ancora più schiacciato e largo, è il bicchiere delle Berliner Weisse. Agli antipodi della forma troviamo i bicchieri per le Weissbier, le specialità al frumento della Baviera, che sono servite negli scenografici Weizenbecker, alti e capienti, adatti a contenere birre molto schiumose e confezionate in bottiglie da mezzo litro. Grossolanamente, si può definirli come una sorta di vasi slanciati dal piede snello e dal fusto rastremato in basso, per farsi invece via via più panciuto, man mano che si sale, fino a dar luogo a una decisa dilatazione sommitale, salvo infine restringersi di nuovo leggermente all’imboccatura.

Uscendo dai confini tedeschi, troviamo altri bicchieri tipici destinati ad accogliere famiglie stilistiche di estrazione britannica. Le Ales e le Stout, sia inglesi che irlandesi, si servono inderogabilmente, o quasi, nelle classiche pinte troncoconiche, talvolta provviste di una sporgenza bombata ai tre quarti dell’altezza, in parte per facilitarne la presa, in parte per impedire il contatto tra i bordi dei bicchieri allineati, diminuendo così la possibilità sbeccature da urto (Nonic, da “no nick”, ovvero “niente scheggiature”).

Spostandoci in Belgio troviamo le forme sinuose, dal fianco ondulato e dalla testa dilatata del Tulip, capace di valorizzare schiuma e ventaglio olfattivo di birre più ricche e pimpanti dal punto di vista aromatico. Le Blanche belghe invece si sposano tradizionalmente con semplici bicchieri a colonna troncopiramidali, che nel caso dell’Hoegaarden (forse la più nota della categoria) sono a sezione esagonale. Restando nella sfera d’influenza belga, in posizione eminente ecco le Abbaziali e soprattutto le Trappiste; che in quanto espressione della più elevata aristocrazia e potenza sensoriale, non possono non esigere recipienti di pari levatura, come coppe e calici, dotati di ventre capiente e di apertura generosa.

E gli Stati Uniti, ovvero l’avanguardia del mainstream birrario contemporaneo? Qui – anche se per alcuni stili si opta per forme necessariamente diverse- a dominare la scena è una silhouette e una soltanto, quella della pinta americana, o shaker, sagoma svasata e fianchi rettilinei, senza bombatura alcuna e capienza pari a 16 once, ovvero circa 48 centilitri. Un bicchiere quest’ultimo dal quale è stata mutuata una versione più piccola, chiamata Pinta romana per la sua diffusione iniziale nella Capitale, molto in voga nei pub italiani per resistenza e trasversalità di bevuta. Tra i bicchieri italiani famosi merita ricordare anche il Teku, un bicchiere tecnico da degustazione, diventato un simbolo della craft revolution italiana e non solo.

Per quanto riguarda la fermentazione spontanea per i Lambic si usano modelli di varia foggia, come i signorili flûte, ma anche sobri tulipani di contenute dimensioni, se non addirittura linearissimi e frugali bicchieri a colonna o i tipici troncoconici di sezione poligonale.