Birra e bicchieri: il tulipano
In questa nuova puntata della rubrica dedicata a birre e bicchieri, torniamo a parlare della famiglia dei calici, puntando in particolare i riflettori su un modello la cui versatilità (resa particolarmente ampia, va detto, anche dalla pluralità di forme in cui lo si declina) ne fa uno degli strumenti più largamente utilizzati nella somministrazione: in modo specifico nel servizio delle tipologie ad alta fermentazione, e – su tutte – di quelle appartenenti al repertorio tradizionale belga.
Parliamo del tulipano, cioè di quella derivazione del calice originario (affermatasi soprattutto a partire dalla fine del XIX secolo) che, rispetto ai fondamentali archetipici, si è presa minori e meno importanti licenze, finendo quindi per conservare grossomodo fedelmente i connotati canonici del design storico, quantomeno quelli essenziali, tanto che non di rado prende la semplice qualifica di calice a chiudere. Quali allora la peculiarità del nostro protagonista di oggi? Quella di accentuare, o quantomeno di marcare, appunto la tendenza a rastremarsi, a diminuire il proprio diametro nel procedere dal basso verso l’alto, presentando quindi una più o meno sottolineata differenza di apertura tra circonferenza massima del ventre e quella minima del bordo o della fascia ad esso più prossima. Un’architettura la cui immagine complessiva ricorda la silhouette del fiore che a questo esemplare dà il proprio nome. La sua geometria (piede ben saldo sul piano d’appoggio, stelo robusto, bevale arioso e restringimento sommitale) è l’ideale non solo per agevolare le manovre dell’assaggio (in specie la roteazione con gioco di polso e l’ossigenazione della massa liquida), ma anche per raccogliere a sé il potenziale aromatico delle birre più esuberanti e per dirigerlo con vigore verso la superficie di contatto com l’aria (il varco di diffusione dei profumi), assicurando al contempo – giacché facilita, proprio con il suo collo più contenuto, la formazione di un buon cappello di schiuma – quanto occorre a scongiurare il rischio di una rapida dispersione di quel patrimonio odoroso. E dunque, ecco perché costituisce uno straordinario jolly per le Ales, ma anche per alcune Lager particolarmente dotate.
Quanto alle diverse varianti, possiamo identificarne sostanzialmente tre. Il tulipano semplice (l’aggettivo non è una ridondanza, anche se lo si può tranquillamente omettere) è quello il cui orlo superiore rappresenta esattamente il punto di minima ampiezza del bicchiere, rispetto al fusto. Il tulipano slanciato è, molto lapalissianamente, la versione più longilinea dell’esemplare precedente: una differenziazione che non ne modifica significativamente l’applicazione né la resa in termini di indagine organolettica. Infine, il tulipano svasato è quello in cui la sezione longitudinale vede la tendenza alla diminuzione della larghezza del bicchiere culminare non il corrispondenza del bordo, ma qualche millimetro al di sotto di esso (a formare una delicata strozzatura), presentando poi, proprio nell’approssimarsi al bordo stesso, una testa leggermente svasata, appunto. Ecco, quest’ultima prerogativa ha effettivi riflessi pratici: consente infatti un’ancora migliore capacità di contenimento della schiuma, nel caso in cui essa si presenti particolarmente abbondante, tanto da propendere al traboccamento.