Birra e bicchieri: il flûte
E venne il momento dell’odiato e amato flûte, per la nostra rubrica birra & bicchieri. Perché se è vero che questo modello, con le sue lunghe leve aristocratiche e il suo ventre smilzo, non suscita nel nostro ambiente entusiasmi poi tanto vibranti, è vero altrettanto che alcune tipologie incontrano, in certe peculiarità funzionali di questo manufatto, elementi di indiscutibile valorizzazione sensoriale. Ma cerchiamo, come sempre, di andare con ordine. La storia del flûte appare piuttosto recente. Lo si trova citato come tale in bibliografie francesi, all’altezza del primo Settecento; e nel giro di un secolo, quindi all’inizio dell’Ottocento, lo vediamo già affermarsi, quale partner privilegiato, se non obbligatorio, dello Champagne (sebbene in costante competizione con la coppa).
D’altra parte, al di là di ciò che è registrato negli annali degli ultimi secoli, interessante sarebbe trovare documenti attestanti la parentela del flûte con qualcuno dei bicchieri più antichi che abbiamo passato via via in rassegna in questa nostra rubrica. Pur in assenza di riscontri oggettivi, la morfologia sembrerebbe interpretabile come una stilizzazione man mano più accentuata di sagome già incontrate, quali il pokal e il tulipano, dunque – attraverso di essi – riconducibile a medesimi ascendenti.
Queste però sono ipotesi. Quel che è certa è la propensione dello Champagne glass a esaltare determinate caratteristiche organolettiche del più nobile e charmant tra i vini mossi: la sua silhouette allungata (il nome, in francese, significa flauto), dallo stelo alto e fine, favorisce la conservazione della temperatura di servizio della bevanda, tenendo a distanza le dita della mano, con il loro influsso termico; e quindi aiuta una regolare diffusione dei contenuti aromatici, preserva a lungo le correnti acide del sorso, contribuisce alla migliore stabilità delle effervescenze. E allora, alla luce di tali prerogative, perché scartarne a priori l’impiego in ordine a stili birrari che possano giovarsi di tali regole d’ingaggio? Magari puntando, da un lato, su un novero di generi fortemente imperniati attorno al già citato temperamento frizzante (Pils) o acido (Lambic e derivati, Wild e Farmhouse, Gose e Berliner Weisse, Sour in genere a partire da Oud Bruin o Flemish Red).