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Luppolo e birra: alle origini di un connubio indissolubile

Luppolo: il racconto dei suoi esordi punta la lancetta verso nord. Lo abbiamo accennato tempo fa nel post il cui contenuto, riprendendo alcune recenti conclusioni o supposizioni degli archeologi birrari, rendeva conto della riscrittura in corso di quella parte del romanzo della nostra bevanda che riguarda la comparsa e la diffusione, in Europa, prima delle spezie (nella forma del gruyt) e poi, appunto, del luppolo. Adesso torniamo sul punto specifico, riportando ulteriori elementi e una serie di indicazioni temporali più o meno precise, procedendo dalle quali è possibile tracciare una sorta di cronistoria.

luppolo

Ed ecco qua, subito una sorpresa. Se niente sembra dover smentire la data del 736 dopo Cristo e la cornice del monastero benedettino di Weihenstephan (Baviera) come coordinate relative alla prima menzione di uno hopping process quale unico trattamento stabilizzante, occorre tuttavia saltare al secolo successivo, e alla Francia settentrionale, per trovare il primo riferimento di una coltivazione stabile della nostra pianta cannabinacea. Siamo per l’esattezza in un altro monastero benedettino, quello di Corbie (in Piccardia, nei pressi di Amiens), dove l’abate Adalhard, nell’822, firma una serie di regole di conduzione della comunità, tra le quali alcune riguardanti la riscossione delle decime ovvero i tributi riscossi tra gli abitanti delle terre controllate: e tra i beni ai quali è applicato il principio del prelievo figura proprio il luppolo.

birra e monaciE non è tutto. Se è vero che quei fiori potevano essere raccolti con altre finalità (la confezione di cordami, con i tralci; o la preparazione di tinture: di color bruno, dalla linfa, e di color giallo, dalle foglie se non dai fiori stessi); è comunque altrettanto vero che la consacrazione del luppolo tra gli ingredienti cardine della birrificazione poggia su evidenze documentali che portano in Renania e per l’esattezza alla ben nota vicenda di Ildegarda, futura santa e in vita (1098-1179) badessa benedettina di Rupertsberg, nei pressi di Bingen. Insomma, tenendo conto della collocazione, sulla carta, della regione tedesca di cui si sta parlando e sommando questo indizio a quello francese, la bussola della ricostruzione degli eventi sembra ancora indirizzarsi verso le alte latitudini.

Peraltro, tale teoria diciamo nord-centrica fa perno su ulteriori elementi. Uno di essi è che le prime piantagioni di luppolo a carattere economicamente organizzato (cioè su disposte superfici ampie e condotte sistematicamente) sono quelle attestate sempre in Germania, e sempre tra la stessa Renania e il mare. Filari che, a partire dal XII secolo (non si parla di epoche antecedenti) alimentarono le sale cottura delle Brauerei attive nelle città anseatiche, come Brema e Amburgo.

Inoltre, è assai probabile che proprio in un ambiente come questo, ovvero di fitto fermento manifatturiero, si sia rivelato con chiarezza il fattore decisivo per determinare l’efficacia del luppolo in termini di presidio contro le batterizzazioni: la bollitura dei suoi coni, con gorgogliamento vivace e prolungato, per almeno un’ora e mezzo. Solo così le sue resine, poco inclini a sciogliersi, vanno a distribuirsi nel mosto; ma mai e poi mai a qualcuno, nel brassare, sarebbe venuto in mente di testare un procedimento così elaborato e dispendioso. Ci volle (è un’ipotesi, ma appare assai presumibile) un episodio casuale; forse l’accidentale assaggio, da parte di un artigiano tintore, dell’acqua in cui aveva fatto, appunto, bollire del luppolo per preparare del colorante per tessuti: quel sorso dev’essergli sembrato insolitamente e gradevolmente amaro, tanto da indurlo a riferire l’accaduto a un amico braumeister.

Il resto di questa cronologia è una sequenza di riferimenti temporali abbastanza circostanziati. Le città anseatiche esportano con slancio già a metà del Trecento, facendone rotolare i loro barili anzitutto nei Paesi Bassi e nelle Fiandre; dove, per reazione prevedibile, si avviano analoghe produzioni hopped-style tra 1360 e 1390. Quindi tocca all’Inghilterra, dove le birre alla continentale mettono piede a loro volta nei primi anni Sessanta del XV secolo, aprendo la strada a imprenditori provenienti dall’Olanda che inaugurano, anche qui, esperienze di brassaggio in loco secondo la nuova moda. Neanche secolo dopo, entro il primo quarto del Cinquecento, i tralci fatali, tanto invisi a Shakespeare avevano cominciato a crescere nel Kent…