American Imperial Stout: tra hype ed eccellenze
Impossibile oggi approcciarsi all’universo delle Imperial Stout americane senza perdersi nell’universo di birrifici che si distinguono per la produzione del nettare scuro che a noi geek tanto piace. Tra hype, mercato e moda, si potrebbe sciorinare una lista infinita, e qualche nome lo faremo, ma preferisco partire con una domanda: qual è stata la vostra prima Imperial Russian Stout americana?
Chi beve craft da almeno dieci anni sono sicuro che sarà obbligato a scegliere la risposta entro una rosa di birre piuttosto ristretta. Personalmente se dovessi indicare la primissima in assoluto non posso che menzionare lei: la Yeti di Great Divide di Denver (Colorado) che sicuramente ha contribuito a tracciare il sentiero di questa tipologia. Esistono comunque altri nomi che caratterizzano la storia delle IRS del Nuovo Mondo, anche precedenti alla Yeti e che, pur non condividendone l’intricata e profonda amarezza, hanno come denominatore comune quella scala di note organolettiche proveniente dai malti che prorompe, massiccia, nella struttura di un corpo poderoso, quasi viscoso, che non perde mai in unità e coesione. Un’altra birra che prediligo tantissimo nella categoria è la Expedition Stout di Bell’s (Kalamazoo, Michigan). Non v’è traccia di certezza circa l’inizio della sua commercializzazione, ma su internet è possibile trovare documentata l’apertura di bottiglie precedenti al 1990 (è bene ricordiamo che Bell’s, oltre ad essere tra i primi sette birrifici craft più grandi d’America, ha festeggiato quest’anno i trentacinque anni di attività; un fenomeno paragonabile a Sierra Nevada). Una menzione d’onore va poi senz’altro alla Black Chocolate Stout di Brooklyn, lanciata sul mercato nel 1994 e definita da Michael Jackson come the ultimate dessert beer – pur non contenendo alcun ingrediente diverso dal classico quartetto fondamentale. Il beer-hunter per antonomasia ne descriveva il sapore adducendo una forte aderenza al celeberrimo capolavoro di pasticceria viennese, la Sachertorte. Fa riflettere come, ben lontani dalle aberrazioni e derive pastry di oggi, persino il più grande divulgatore e scrittore di birra di sempre non si preoccupasse di lasciarsi andare alla comunicazione di immagini sensoriali immediate, accostate a dolci fatti e finiti senza suscitare scandali (perlomeno, non si riferiva a merendine!). Sia quel che sia la Black Chocolate Stout non ha mai realmente conquistato il mio palato, trovandola sempre un po’ monotona e sullo stucchevole andante; sarà che forse, come sostengono gli appassionati della vecchia guardia, i fasti del birrificio fondato da Tom Potter e capitanato dal famoso Garrett Olivier sono ormai lontani da parecchio, o sarà che la birra non incontra i miei gusti e basta.
Tra le meno storiche – comunque nella linea produttiva da almeno una quindicina d’anni – ho sempre avuto un debole per la Imperial Russian Stout di Stone, esuberante fin nella sua veste grafica e sempre ben rispondente all’invecchiamento nel lungo periodo. Altre di ottimo livello, popolari e ottenibili senza doversi impelagare in giri tortuosi, sono la Old Rasputin di North Coast (Fort Bragg, California), la B.O.R.I.S. di Hoppin Frog (Akron, Ohio), quindi la Imperial Stout e la Breakfast Stout, entrambe di Founders (Grand Rapids, Michigan, partecipato al 30% dal colosso San-Miguel da dicembre 2014). Ci si comincia qui ad addentrare nel territorio delle stout con aggiunte, nato come un sottobosco, un segmento secondario di una macro-categoria, e che ha in seguito preso letteralmente il sopravvento ingerendo l’insieme stilistico che lo conteneva. Sembra un paradosso, ma, che si tratti di vaniglia, cacao, caffè, sciroppo d’acero, cocco, eccetera, oggigiorno è raro trovare un birrificio che non imposti una sua IRS su ingredienti aggiuntivi. Ho a lungo sviscerato l’argomento nel numero precedente della nostra rubrica, ed è per questo che adesso vorrei spostare l’attenzione su un altro vizio statunitense dove – come spesso accade – entusiasmo, cafoneria e perdita del senso della misura si fondono: la gradazione alcolica. Ciascuna delle birre trattate finora è dotata di un ABV che, al massimo, supera di poco i dieci gradi. Le abbiamo classificate come storiche, e ciononostante già di per sé spostavano molto in avanti il livello alcolico dello stile. D’altra parte in Europa, nella fattispecie in Inghilterra, si era abituati a classici come la Imperial Stout di Samuel Smith che fa appena sette gradi. Abbiamo quindi riscontrato un’altra caratteristica delle IRS americane: la spinta sull’ABV, conseguenza diretta di avere birre dal corpo notevolmente denso, pieno, compatto, dove non si è lesinato nel consumo di malti speciali (black/chocolate) e/o melassa, e/o candi syrup. Anche qui, volendo parlare di storia, il nome per eccellenza da richiamare è la World Wide Stout di Dogfish Head: la creazione di Sam Calagione risale al 1999, e oscilla tra i quindici e i venti (!!!) gradi a seconda dell’annata. È caldamente consigliato invecchiarla poiché fresca risente parecchio dell’imponente nota boozy, che con la sua sensazione di calore in bocca rischia di sopraffare la notevole complessità di cui la birra è dotata.
Pensando a queste birre ci si chiede sempre se, all’aumentare dell’ABV non si rischia di dilatare e trascendere il concetto di birra, facendolo sfumare via via verso il distillato, ma, riguardo la WWS posso dire che la risposta è un secco no. Ad ogni modo, per diverso tempo è stato un episodio più unico che raro. Nemmeno cinque anni dopo (2004), però, nacque un secondo esemplare di IRS dalla gradazione alcolica che avrebbe assurto a pietra miliare: la Dark Lord di Three Floyds (Munster, Indiana). Stiamo parlando di una birra che ha il merito di aver inaugurato il filone delle one-day beer, ovvero birre rilasciate una volta l’anno in un determinato e prefissato giorno, con tanto di evento-party presso la locazione del birrificio. Il Dark Lord Day è una manifestazione esistente dal 2005, anno in cui la birra venne prodotta per la seconda volta, e allora contava un pubblico di circa un centinaio di persone; nel 2017 si sono stimati tra gli ottomila e i diecimila partecipanti. Se non è un successo questo. Alla DL seguirono tante altre one-day beer: nel 2007 la Darkness del birrificio Surly di Minneapolis, che più ha attinto alla fenomenologia della fortunata di casa FFF (ricordate gli acronimi? Mai confondere FFF con 3F, che è invece 3 Fonteinen) con la sua grafica tenebrosa in tema horror e il festival commemorativo al birrificio, avendo però dalla sua una concezione IRS diversissima: elegante, vellutata, complessa e ricca di note quasi vinose – io la considero una specie di europea nata per sbaglio in America. Nel 2009 arrivò la Hunahpu’s Imperial Stout (per gli amici Huna) di Cigar City (Tampa, Florida), concepita addirittura come Specialty Ale per l’ispirazione alla mitologia Maya e un impiego di fave di cacao, vaniglia, cannella e due varietà diverse di peperoncino, anch’essa celebrata con l’omonimo Huna Day.
Dalle one-day possiamo legarci alle barrel-aged (BA) IRS. In passato su queste pagine ho scritto a lungo riguardo la storia della BCBS (Bourbon County Brand Stout) di Goose Island, la prima vera IRS passata in botte e imbottigliata e distribuita con gran successo dal 2005, dopo anni e anni di batch una tantum solo per il brewpub di Goose Island in quel di Chicago. La stella della BCBS ha camminato lenta verso un triste tramonto, dopo l’acquisizione del birrificio da parte di Ab-InBev avvenuta nel 2012, e però ha dato il via alla specializzazione degli americani nell’adozione di botti d’ogni sorta (di norma bourbon, secondariamente si va dal vino rosso all’apple brandy passando per il rum) per invecchiare le proprie IRS e diventando così degli utilizzatori di prim’ordine, con risultati impressionanti. Tra i tanti che hanno raccolto l’eredità lasciata dalla BCBS, è importante ricordare The Bruery, che a partire dal 2009 imprime la propria firma nel firmamento delle BA IRS con la loro premiata Black Tuesday (e le sue varianti Chocolate Rain, Grey Monday, Mocha Wednesday). Un percorso quello delle Imperial Stout americane, che le ha viste crescere nel tempo in corpo, alcool contenuto, varietà di ingredienti, invecchiamento e pure, ahimè, in prezzo e rarità. Da una manciata di dollari, che bastava a portare a casa un 4-pack di Yeti o Expedition Stout, si è passati a decine e decine per le one-day beer che, peraltro, non vengono vendute mai da sole ma sono comprese nel pacchetto completo del biglietto dell’evento celebrativo, che può costare anche oltre trecento dollari (vedi lo Huna Day) per le formule che prevedono un allotment di otto bottiglie insieme a tutto il resto. Si tratta solo della punta dell’iceberg. Huna, Dark Lord, Darkness, Black Tuesday, eccetera, tralasciando alcune varianti limitatissime sono “tradabili” a poco e le loro quotazioni sul secondary market sono relativamente basse, sempre che si possa considerare basso pagare cinquanta dollari per una bottiglia di birra. Alcune realtà fortunatamente stanno, complice la crescita e l’espansione dell’impianto o della bottaia, cominciando ad essere più reperibili e se avete dei trade partner nei rispettivi stati potete portare a casa delle più che ottime BA IRS senza svenarvi: è il caso di Fremont (Seattle), Cycle (St. Petersburg, Florida), Bottle Logic (Anheim, California). Altre, invece, sono schizzate oltre le più inimmaginabili vette della follia che solo un geek può vagamente comprendere e (forse) metabolizzare, ma meritano comunque un piccolo approfondimento: mi riferisco a Side Project (St. Louis, Missouri) e a Toppling Goliath (Decorah, Iowa). Da ormai un quinquennio, il piccolo birrificio di Decorah, cittadina che nulla ha attorno per miglia e miglia se non campi e sporadiche fattorie, ha piazzato le sue IRS nell’olimpo della categoria, riscrivendo la storia che un tempo era dominata da Dark Lord e affini. Assassin, Mornin’ Delight, SR-71, ma soprattutto la KBBS (Kentucky Brunch Brand Stout), sono le famigerate creazioni che, per averle, i geek sarebbero disposti a lottare all’arma bianca. Giunta al suo quarto batch il prossimo 15 dicembre, la KBBS sarà venduta a 100 dollari, una per persona, previa vendita di biglietti su internet. È ipotizzabile che sul secondary market il valore vada subito a decuplicarsi, destino che i batch precedenti hanno già subito. Side Project invece nasce, come suggerisce lo stesso nome, come progetto di barrel-aging parallelo a Perennial e attiguo ad esso anche fisicamente. Il curatore, Cory King, forte di un bagaglio di esperienza maturato nel mondo del vino prima di darsi alla birra, si è man mano distaccato da Perennial fino a rendere Side Project una realtà a sé.
I loro lavori in termini di IRS sfruttano ragionate e millimetriche tecniche di blending, partendo da un insieme di ricette che culminano nella fusione di una varietà di affinamenti diversi (bourbon, rye whiskey, ecc.) per aggiungere alla birra finale complessità e robustezza. Un fulgido esempio è sicuramente rappresentato dalla serie Derivation, che presenta il “piccolo” problema di non essere mai venduta da asporto al birrificio. Queste rarità sono consumabili solo in loco e l’unica maniera di portarsela a casa è quella di essere membro del beer-club di Side Project, e tuttora non è dato sapere come sia possibile parteciparvi, visto che la presunta iscrizione è avvolta nel mistero nemmeno si trattasse dell’ingresso in una loggia massonica. Nemmeno a dirlo, sul secondary market le poche bottiglie in the wild, cioè in possesso di privati, viaggiano tra i 1500 e i 1800 dollari. E se la cosa vi sembra fuori di testa, sappiate che quest’anno Side Project ha rilasciato la O.W.K.: una birra ideata e brassata nel 2016, per essere poi affinata per diciotto mesi in botti di bourbon selezionati personalmente dal supervisore capo della Willett Distillery del Kentucky e terminata con l’aggiunta di baccelli di vaniglia dell’Uganda. La O.W.K. è considerata, da Cory King stesso, il culmine del suo lavoro sulle stout; la bottiglia è stata rilasciata in una confezione di legno, anch’essa disponibile solo per il consumo in loco o ai membri del club di cui sopra, e, appena pochi giorni dopo la sua comparsa, sono spuntate raffle (una sorta di gioco d’azzardo privato, che prevede la vincita di una birra in accordo con le estrazioni dei numeri delle lotterie americane) per 4000 dollari. Mi piacerebbe poter spendere due parole sulla O.W.K., capire e farvi capire come venga percepita una IRS valutata diverse migliaia di dollari, ma, purtroppo, ed è il motivo per cui l’ho lasciata alla fine di questo articolo: non l’ho bevuta. O meglio, non ancora. Tempo al tempo, e arriverà il suo momento, ne sono sicuro. Altrimenti, che geek sarei?