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Juicy, New England, NEIPA: evoluzione di uno stile

Somiglia alla trama di una soap opera la vicenda contemporanea di quel ramo genealogico delle American Ipa che si differenziano dal profilo delle versioni West Coast, le prime, cronologicamente parlando, ad affermare una propria specificità e a conseguire una solida popolarità. Ecco, a monte degli sviluppi recenti e delle novità in arrivo con ritmo pressoché quotidiano, c’è l’originaria distinzione – agli atti già nel 2015, come riportato su queste colonne – tra le India Pale Ale a stelle e strisce della Costa ovest e quelle della East Coast. Da quel punto di divergenza in poi, la sperimentazione, lungo il fianco orientale del Big Country, è proseguita tanto da dar luogo a una sequenza di definizioni tra le quali è forse opportuno oggi mettere in agenda un qualche intervento di riordino.

Se infatti, in principio, la nozione di una New England Ipa (o più sinteticamente Neipa) coincideva in sostanza con quella di una pinta necessariamente non limpida (per effetto di tutta serie di accorgimenti ben riassunti in un nostro post del 2017 dal titolo La rivoluzione torbida), oggi invece non mancano (anzi, sono in crescita) interpretazioni del genere inclini a rinunciare alle primigenie nebbiosità, per puntare al contrario su un aspetto decisamente più pulito, pur mantenendo le altre identitarie caratterizzazioni gustolfattive. In particolare la possente aromaticità di un dry-hopping vigorosamente pompato; l’apporto olfattivo e la rotondità palatale ai quali dà luogo l’impiego di lieviti come il Vermont (con le sue garbate esterificazioni, la moderata attenuazione e il relativo rilascio di glìcerina); un profilo amaricante contenuto, in virtù di tecniche di luppolatura in caldaia assai riguardose, nonché a un assetto chimico-fisico dell’acqua che privilegi i cloruri ai solfati e soprattutto ai carbonati.

Si avvicina forse il momento, insomma, in cui designazioni quali quella di Juicy Ipa dovranno essere riservate a prodotti effettivamente limacciosi o comunque molto velati, per effetto di quelle opzioni procedurali alle quali si affida l’effetto haziness: colloidi (in quantità) di cereali non maltati; breve o nullo protein rest; rinuncia a significative manovre di chiarifica e scelta di lieviti a bassa flocculazione e/o tali da non dar tempo agli elementi opacizzanti del luppoli di aderire alle proprie cellule, precipitando con esse. 

E poi, volendo essere ancora più precisi, potrebbe essere non superfluo distinguere appunto mediante una locuzione ad hoc, magari quella di Fruit Ipa, se l’effetto opalescenza abbia appunto questa derivazione specifica (come nella Strawberries Hazy IIPA di Mikkeller Oregon); consegnando invece la categorizzazione di Milkshake Ipa o forse di un più rispettoso Milk Ipa alle ricette nelle quali si faccia uso anche di lattosio.