Hall of Fame. Capitolo VIII. La Paulaner Salvator Doppelbock
Avendo, nella nostra Hall of Fame, parlato della Einbecker e dello stile Bock, si può a questo punto – anzi, lo si deve – dedicare una puntata specifica alla tipologia che, della Bock stessa, rappresenta l’immediata derivazione. Parliamo chiaramente della Doppelbock (mediamente dai 7 gradi alcolici in su; tradizionalmente bruna ma arricchitasi nel tempo con varianti cromatiche che spaziano dall’oro al caffè); e, con essa, parliamo della capostipite della progenie in questione, la ben nota Paulaner Salvator.
L’origine della ricetta rimanda all’ambiente religioso: per l’esattezza al convento di Neudeck ob der Au, a Monaco di Baviera, dove viveva – dal 1627 – una collettività di frati appartenenti all’ordine dei Minimi, detti in tedesco paolani, (in Italia “paolotti”), appellativo dovuto al nome della città d’origine del fondatore dell’ordine stesso, San Francesco di Paola (in Calabria). Nel loro sito in terra tedesca, i consacrati avevano avviato, alquanto rapidamente, la loro propria produzione brassicola: nel 1630, nel 1651 o nel 1670, stando alle fonti disponibili, tra loro non concordi. Al di là dell’incerta datazione relativa all’attivazione dell’impianto, comunque, quel che conta è l’allineamento del calendario delle lavorazioni alle consuetudini consolidatesi appunto all’interno delle comunità di chierici regolari. Tra esse, quella di preparare birre particolarmente sostanziose (detti pani liquidi) da consumare durante i periodi di digiuno (l’obbligo di astinenza dal cibo riguardava infatti i soli nutrimenti solidi): e in particolare durante le lunghe settimane della Quaresima, ovvero i quanta giorni contati dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo (quello precedente la domenica di Pasqua).
Ciò detto, la genesi della Salvator si compie in una cornice di ricostruzione storica tra cronaca e leggenda. Si narra che – avendo avuto i paolani di Monaco qualche dubbio circa la liceità di scolarsi in Quaresima dei boccali a tutti gli effetti di gran prelibatezza (sai la punizione…) – si fossero decisi a far assaggiare una di quelle cotte speciali nientemeno che al Papa, così da averne la legittimazione o (eventualità malaugurata) da riceverne un divieto: o la va o la spacca, insomma. Ecco, dopo aver spedito la loro botte del giudizio verso Roma, il caso volle che, durante il trasporto, il carico – sottoposto a scuotimenti e sbalzi termici – arrivasse in Vaticano inacidito: tanto che, alla prova del sorseggio pontificio, risultasse effettivamente una bevuta a pieno titolo… penitenziale. Ergo, il Santo Padre decretò il suo imprimatur, apponendo il sigillo ufficiale sulla nascita di uno specifico stile birrario.
Vera o meno questa narrazione (comunque suggestiva), tornando alle vicende effettivamente accadute, altro elemento non precisamente definito è il momento, o il periodo, in corrispondenza del quale quella produzione quaresimale raggiunse le gradazioni alcoliche oggi proprie delle Doppelbock. Probabilmente il contenuto etilico andò aumentando: fino a quando, essendosi attestata su valori di decisa importanza, ricevette un nome d’arte, quello di Salvator, in quanto degna di essere associata a Nostro Signore Gesù Cristo, salvatore del mondo.
Se tale battesimo risale probabilmente alla fine del Settecento, la sua formalizzazione storiografica è spostata in avanti di una cinquantina d’anni. Per incontrare la prima menzione inoppugnabilmente documentata della Salvator occorre attendere il 1835, quando – a quel punto – di acqua sotto i ponti (e in sala cottura) ne era passata. Sintetizzando: sotto Napoleone (ai primi del XIX secolo) la fraternità paolana di Monaco era stata sciolta e il birrificio chiuso; fortunatamente, già nel 1806, la struttura era stata affittata a Franz Xaver Zacherl, che l’avrebbe acquistata definitivamente nel 1813. Sotto la sua proprietà il marchio Paulaner crebbe ulteriormente in prestigio e diffusione: tanto, purtroppo, da suscitare invidie e da procurargli grane con la giustizia. Nello specifico, denunce per turbativa della quiete pubblica: a motivo – sostenevano i detrattori – della condotta molesta indotta, nei consumatori, proprio da quei boccali di eccessiva gradazione. Ecco, è esattamente nel corso di un’udienza relativa a quel periodo di frequenti convocazioni in tribunale, che uno dei testimoni a favore utilizza per la prima volta, il 10 novembre 1835, l’espressione Zacherl Salvator.
Uscito dal tunnel degli attacchi legali nel 1837, quando a garantirgli il permesso di somministrare (in quest’epoca ancora solo stagionalmente: cioè durante la Quaresima) era stata un’ordinanza di concessione emessa dallo stesso re Ludovico I di Baviera, Zacherl proseguì al timone della propria impresa fino alla sua morte, nel 1846: a continuarne l’opera furono, dopo di allora, i suoi eredi e successori, i fratelli Schmederer, ai quali spetta il merito di aver messo a posto l’ultimo tassello di questo racconto. Il nome Salvator, assurto a enorme popolarità, stava diventando una designazione genericamente tipologica: e nello scorcio finale dell’Ottocento erano in molti i birrai che vendevano la propria Lager ammiraglia firmandola con il loro cognome seguito da tale qualifica. I titolari della Paulaner, vedendo da vicino il rischio di uno scippo, passarono alla controffensiva e nel 1894 (grazie a quanto stabilito dalle nuove norme in materia di brevetti e di tutela del diritto d’autore) poterono registrare quello della Salvator come marchio di fabbrica, costringendo i concorrenti a ripiegare sulle… assonanze. Da lì in poi, sono stati in molti i produttori che, per la loro Doppelbock, hanno scelto un nome commerciale caratterizzato dal suffisso –ator, inaugurando una consuetudine che dura ancor’oggi.