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Hall of Fame. Capitolo XXXVI. My Antonia Imperial Pils

Dopo le Stout, dopo le Ipa, dopo le Porter e, talvolta, le Red Ale se non addirittura le Mild, a ricevere l’appellativo di Imperial è toccato anche alle Pils. Eh già, la tipologia portabandiera della Rivoluzione Lager ha visto consacrata, un secolo e mezzo circa dopo la sua venuta al mondo, una propria gemmazione diretta: generatasi lungo la direzione della muscolarizzazione, in primis delle gradazioni alcoliche. Si parla appunto della Imperial Pils: categoria non contemplata dalle pagine delle Styles Guidelines in appendice al Bjcp (Beer Judge certification Program) eppure più o meno univocamente percepita, nei suoi tratti distintivi, dalla comunità brassicola dei produttori, somministratori e consumatori.

In questo caso, una tantum, l’identificazione della capostipite della tipologia – discendente diretta (per la precisione) dell’American Pils (dunque caratterizzata dall’impiego di luppoli oltreoceanici), configuratasi nel corso dei primi anni Duemila, caratterizzata da doratore intense e da un ventaglio alcolico di 7/11 gradi – risulta sostanzialmente agevole (sebbene forse non del tutto immune da considerazioni di tipo dubitativo). 

Da queste colonne, comunque, per l’incoronazione del volto da inserire nella nostra Hall of Fame, si punta senza esitazioni sulla My Antonia, etichetta varata nel 2008 come esecuzione a quattro mani firmata dall’italiano Leonardo di Vincenzo (Birra del Borgo, Borgorose, Rieti) e dallo statunitense Sam Calagione (Dogfish Head Brewery, Milton, Delaware). Quali le peculiarità di questa ricetta? Detto di una spalla etilica importante  (pari al 7.5%), va considerata l’incisiva procedura del continuous-hopping (ovvero gettate in sequenza, separate da intervalli di 60 secondi l’una dall’altra), con Simcoe, Warrior e Saaz.