Hall of Fame. Capitolo XX. Cantillon Gueuze
Non avrebbe potuto mancare, in questa Hall of Fame birraria, almeno un ritratto dedicato a qualche rappresentante dell’antica e nobile famiglia dei Lambic. E infatti non manca. L’esito, forse scontato, vede premiare la Gueuze firmata Cantillon.
Una valutazione che oltre a tener conto della maggiore antichità d’attestazione della tipologia e delle opinioni relative alla qualità delle varie Gueuze circolanti attualmente sul mercato, considera anche il rilievo avuto dall’etichetta in questione nel sospingere la rinascita d’interesse verificatasi in questi ultimi anni rispetto alle fermentazioni spontanee: un risveglio di curiosità (non solo teorico, ma anche pratico, in termini sia di produzioni, sia di consumi) le cui proporzioni erano senza ombra di dubbio inimmaginabili solo alle soglie del Duemila. E dunque ecco che incoroniamo la Gueuze di casa Cantillon, nome che – nei tempi (appunto non lontani) della strenua resistenza per non scivolare nell’oblio e, ad andar bene, nelle pagine dei soli libri di storia – ha rappresentato una sorta di primus inter pares, di punto di riferimento per gli altri esponenti dell’irriducibile nucleo del Payottenland. Perché, poi, la Gueuze? Perché la sensazione è che, a fronte della particolarità estrema degli Straight Lambic, così come dei Fruit Lambic più tradizionali, degli Jong e dei Faro, sia stata proprio la Gueuze a creare le prime significative brecce in abitudini sensoriali ancora alla fine del secolo sorso così poco propense ad accettare provocazioni organolettiche a colpi di note lattiche, acetiche, muffite, animali, solforate e così via.
Chiudendo con un breve cenno alla genesi della Gueuze, le stesse fonti Cantillon riportano come la pratica del blend tra Lambic di varie età – a fini di rifermentazione in vetro – si sia affacciata sullo scenario belga nell’Ottocento, sulla scorta dell’esperienza della nascita del processo di spumantizzazione vinicola operata, nel Settecento, ad opera di Dom Pierre Pérignon in Fancia.