British Golden Ale: caratteristiche e riferimenti
Percorrere la breve storia delle Golden – o Summer – Ale britanniche è una ghiotta opportunità per chi voglia analizzare l’anatomia di uno stile divenuto ormai classico. Motivazioni commerciali, precursori storici, fortuna, successo di pubblico: questi ingredienti indispensabili ci sono proprio tutti. È una tipologia che si è affermata in tempi piuttosto recenti, poco più di una ventina di anni fa, ma il successo è stato così folgorante e immediato da generare anche un po’ di legittima confusione. Spesso, e in fondo non del tutto a torto, queste birre vengono confuse con le “normali” Bitter. Di fatto, pur avendo origine da quella tipologia tradizionale, ne rappresentano una costola ormai indipendente.
Come è facile presupporre, le Golden Ale inglesi sono birre dal colore dorato con un corpo esile, ma di carattere. Il contributo alcolico è leggero, sono birre pensate per un consumo “semplice”, estivo, anche se la gradazione non è sempre da peso piuma: molti esempi arrivano attorno ai 4-5%, nell’intervallo delle Strong Bitter. La luppolatura deve essere importante, con amaro e aromi pepati ed erbacei, a volte agrumati, che devono emergere chiaramente. Il parallelo con le Bitter è interessante perché le differenze, per quanto labili a volte, ci permettono di identificare meglio lo stile. Alcune peculiarità importanti riguardano le materie prime: mentre le Bitter tradizionalmente utilizzano varietà di malti pale inglesi come il Maris Otter e molto spesso anche malti Crystal ambrati, nelle Golden Ale c’è sostanzialmente libertà nell’utilizzo (esclusivo) di malti chiari e quindi le ricette di tanti birrifici prevedono malti lager di origine continentale. La componente maltata è in genere meno rotonda nelle Golden Ale rispetto alle Bitter e ciò può derivare sia dalla scelta dei malti, sia da un ammostamento differente a temperature meno elevate, per privilegiare una maggiore secchezza.
Per la luppolatura viene ammessa l’incursione di luppoli “estranei”, in genere varietà americane agrumate come il Cascade, mentre nelle Bitter dovrebbero essere impiegate da tradizione solo varietà britanniche come Goldings, Challenger o Fuggles, per quanto ormai questa contaminazione sia stata da tempo sdoganata in entrambe le tipologie. Birre di colore chiaro esistono naturalmente dalla notte dei tempi in ogni tradizione birraria, compresa quella inglese, dove da sempre al fianco di Bitter dalle sfumature ambrate esistono diversi esempi di Pale Ale più chiare, di colore oro pallido. Dell’appellativo “Gold” se ne ‘impossessò’ il birrificio Golden Hill nel 1986 quando decise di festeggiare la millesima cotta della loro Bitter proponendo una Ale celebrativa, ben luppolata e prodotta con soli malti lager, chiamata Exmoor Gold, che ebbe un buon successo. Oggi quel birrificio vanta sulle proprie etichette la primogenitura dello stile “Golden”, ma in realtà altre birre con lo stesso aggettivo esistevano anni prima sul mercato inglese senza che nessuna di esse fosse stata in grado di innescare un nuovo trend produttivo autonomo. Nemmeno la Exmoor fu in grado di realizzare questo exploit, e rintracciare in questa etichetta l’origine dello stile appare un po’ una forzatura poiché, insieme alle radici storiche ed al successo, non si può prescindere da un terzo fattore fondamentale: quel processo imitativo che per la Exmoor in verità non si verificò mai.
Tutti riconoscono come padre delle Golden Ale inglesi John Gilbert, birraio della Hop Back Brewery. Quando il birrificio aprì nel 1986, Gilbert disi era già cimentato in precedenti esperienze come birraio. Siamo nell’epoca della conquista del mercato da parte delle multinazionali a colpi di lager industriali, e quella doveva sembrare una buona strategia difensiva per un birrificio artigianale: inseguire i nuovi gusti “appiattiti” del consumatore proponendo qualcosa che fosse simile a ciò che veniva “imposto” dai colossi, benché di qualità ben superiore, anche al costo di discostarsi dalla secolare tradizione delle Ale britanniche. Questa lager della Hop Bach non vide mai la luce, ma fu probabilmente questo progetto che spinse il birraio a ideare una nuova Ale molto chiara, abbastanza secca, generosamente luppolata e di straordinaria bevibilità che potesse piacere ai consumatori di lager. Chiamò quella birra Summer Lightning, nome celeberrimo fra gli appassionati e tutt’oggi inseguito nelle trasferte birrarie d’oltremanica. Il successo di questa birra, ‘ponte’ fra la radicata tradizione brassicola britannica ed un approccio birrario moderno che guarda sia all’Europa Continentale che ai Nuovi Mondi, fu fulmineo e travolgente, consacrato da numerosi premi al Great British Beer Festival a partire dal 1989. Il processo imitativo partì immediatamente, al punto che oggi questo stile, come denuncia qualche grande esperto di birra inglese, sta mettendo in ombra addirittura le classiche Bitter ambrate.
Nel 2005 il CAMRA ha ufficialmente inserito la nuova categoria nei suoi concorsi , ‘ufficializzando’ questo stile divenuto ormai popolarissimo. L’elenco dei nomi presenti sul mercato è piuttosto lungo, sono tantissimi birrifici britannici che ne producono una, così come gli esempi interessanti. E’ uno stile che amo molto e vale la pena provarne le diverse interpretazioni. Per i beer hunters mi limito a segnalare, insieme alla capostipite Summer Ligthning, un altro capolavoro che è stato l’asso pigliatutto di diverse edizioni recenti del GBBF: la Brewers Gold di Crouch Vale, birra straordinaria dai sentori erbacei, agrumati, pepati, persino tropicali, che sta sempre in cima alla lista dei miei desideri ogni volta che metto piede in terra britannica.
Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 4