Dubbel Wit o Double Blanche: storia e caratteristiche
Double Blanche: uno stile non stile. O, meglio, uno stile senza riconoscimento formale. O, meglio ancora, un genere birrario non classificato come stile ma, nella cognizione comune, riconosciuto nelle sua specifica identità. Parliamo di una variazione sul tema riferita a uno tra i più rappresentativi archetipi del repertorio belga: quello della Bière Blanche (per dirla alla francese) o della Witbier (secondo la dicitura fiamminga). Una categoria brassicola già trattata nelle nostre pagine dedicate agli identikit tipologici; e rispetto alla quale, in questa sede, ci piace mettere in luce la versione potenziata: perché, sebbene non sia (appunto) censita ufficialmente da alcun repertorio di classificazione, fa valere una percezione di sé tutto sommato consolidata e definita (pur non a livelli specifici di dettaglio), presso la platea dei produttori, dei consumatori e della critica. Si tratta, per l’esattezza, di un un’interpretazione che declina il canovaccio di riferimento in una dimensione ad alto grado alcolico: per questo battezzata con l’appellativo di Dubbel Wit o Double Blanche.
Identica alla genitrice sotto il profilo dei fondamentali della ricetta (malto Pils, frumento crudo fino al 50%, eventuale frazione minoritaria di avena; luppolo col contagocce, in bollitura scorze d’arancia amara e semi di coriandolo; inoculo di lieviti selezionati, confezionamento in assenza di filtrazioni intense), la figlia maggiorata della Birra Bianca belga esibisce di conseguenza un corredo organolettico simile. Dal quale ovviamente diverge soprattutto per una maggiore spinta etilica a livello nasale, per una più energica intensità in fase sia olfattiva sia gustolfattiva, per una certa inclinazione warming in fase di sorseggio.
In sintesi, potremmo tratteggiarne i contorni come segue. Colore variabile tra dorato tenue e carico; aspetto velato; schiuma bianca copiosa e discretamente persistente; profumi freschi di ascendenza floreale (peonia, tiglio, zagara), fruttato (polpe bianche, talvolta in versione sotto spirito), speziati (chiodo di garofano, vaniglia) e agrumati (arancia, coriandolo); corpo medio-leggero, bollicina vivace, palato in equilibrio tra calore alcolico e affilata freschezza dolce-acidula, finale secco senza vigorie amaricanti degne di tal nome (da 8 a 20 le Ibu).
Etichette da assumere come esempi pregnanti del genere? In Belgio, la Jan De Lichte della scuderia Glazen Toren; in Italia, la Hangover di Altotevere e la Wit Wit targata Nix Beer, tanto didascalica nel battesimo, quanto significativa come riferimento.