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Birra e bicchieri: la pinta tulip

In quella linea di discendenza battente bandiera britannica che delle solide (familiari, caserecce, anche rustiche) generazioni di mug arriva alla famiglia delle pinte moderne, uno sguardo specifico – tra queste ultime – merita, nella nostra collana di ritratti dedicati al tema birra e bicchieri, la pinta cosiddetta tulip. Entrata in scena dagli anni Cinquanta del Novecento e così battezzata per ragioni di immediata evidenza morfologica – la sagoma, nella sua parte superiore (diciamo da metà altezza in avanti) si dilata in larghezza per poi tornare parzialmente a chiudere nell’avvicinarsi al bordo superiore (richiamando il disegno di un tulipano) – questo ulteriore spin off della genealogia d’appartenenza è nota anche come Irish Imperial Pint o, direttamente associata al nome di un produttore, come Guinness Glass.

Di pratica impugnatura, offre una capacità che oscilla attorno ai canonici 56,8 per scendere fino ai 45 o salire fino ai 60 centilitri. La svasatura sommitale – secondo un principio affine a quello che lega la geometria del Weizenbecker all’ampia schiuma formata, in mescita, dalle Weissbier – risulta funzionale a contenere e a lasciar espandere le dense coperture di fittissime bollicine che sono tipiche delle spillature a carboazoto.

Quest’ultima annotazione (per non parlare della connessione esplicita al marchio Guinness dove gli esemplari serigrafati hanno un volume specifico pari a 46 centilitri) è infine di per sé indizio inequivocabile circa l’indicazione delle tipologie più frequentemente legate al bicchiere di cui parliamo: le Stout (a basso grado alcolico) e le Irish Red Ale. Volendo allargarne il raggio d’azione, la più che discreta dimensione di questo  modello propende in generale verso ambiti stilistici comunque caratterizzati da taglie etiliche su latitudini session.