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Birra e bicchieri: il mug

Tipicamente associato alle iconografie tedesche e mitteleuropee, il bicchiere con manico ha tuttavia alcune interpretazioni veracemente britanniche. Si tratta di un gruppo di modelli aventi come comune denominatore il termine mug: letteralmente tazza, in realtà un corrispettivo del boccale a cui assomiglia per un fusto grossomodo cilindrico di corporatura tarchiata, ma comparso e sviluppatosi, appunto, nell’area anglosassone. Design e obiettivi semplici. Si tratta infatti di prodotti realizzati a partire almeno dalla metà del XVII secolo, tesi a soddisfare una serie di esigenze di basilare praticità: permettere una presa salda mediante l’impugnatura; garantire uno stabile appoggio sul tavolo grazie al proprio fondo piatto; durare a lungo, in virtù di architetture robuste e di un bordo superiore smussato, dunque poco incline a sbeccarsi.

mug bicchiere

Le prime versioni erano in ceramica, cotto o peltro; poi il vetro – anticamente più costoso – prese il sopravvento sugli altri materiali, non solo consentendo una migliore valorizzazione dei requisiti visivi della birra spillata, ma anche  dando l’opportunità di lavorazioni più fantasiose del bicchiere in sé; anche a costo di dover avere a che fare con un margine sommitale più delicato, in virtù sia della natura stessa del vetro, sia della scelta generale di rendere le pareti più sottili. Così, tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, la variante più popolare divenne quella detta fluted o scanalata, presentando essa una sezione trasversale a sagoma poligonale, di norma con dieci lati, ciascuno però non perfettamente rettilineo, ma leggermente curvo e concavo sulle tre dimensioni: in sostanza, un poliedro dalle facce leggermente rientranti e somiglianti appunto a scanalature. Il suo fu un piccolo dominio. La Brewers Society lo adottò per le proprie campagne pubblicitarie e il pubblico lo percepiva come il miglior veicolo per le Ales tradizionali, in specie le Dark Mild.

Poi, attorno al 1938, entra in scena di un mug diverso: un poco più basso; con una sezione longitudinale caratterizzata da fianchi non rettilinei, ma convessi, a evocare i contorni di una botticella; e soprattutto con pareti esterne più fittamente elaborate, essendo coperte (come un soffitto a cassettoni) da fossette disposte regolarmente. Lapalissianamente detta dimpled (fossettata), questa evoluzione aveva un paio di prerogative interessanti: punto primo, la forma a barilotto ne rendeva il bordo superiore più protetto da scheggiature (anche quando due o più bicchieri venivano a contatto reciproco, si toccavano in corrispondenza del girovita e non della bocca. Punto secondo, gli avvallamenti delle pareti davano al colore della birra una diffusione cangiante e illuminata da bagliori più accesi, valorizzando al massimo le tonalità ambrate delle Bitter, in questa fase vincenti nei confronti delle più scure e già citate Dark Mild. Entrambe queste tipologie di mug hanno peraltro poi dovuto segnare il passo, emarginate dall’avanzata delle pinte (troncoconiche, nonik o tulip). La versione fluted ha continuato a circolare fino alla metà degli anni Sessanta, finendo poi relegata nelle riserve del collezionismo; la dimpled resiste invece tutt’ora, sebbene in dimensioni numeriche molto circoscritte, sostenuta dai publican appassionati di servizio vintage.