Spice story: il legame tra birra e spezie
Molto spesso, nelle vicende birrarie moderne riguardo le novità prodotte da birrifici, la nostra attenzione è rapita spesso dal tipo di ingrediente extra aggiunto più che da eventuali riferimenti stilistici. La consuetudine di inserire qualcosa di non convenzionale, prima ancora che giusta o sbagliata, non è solo caratterizzante dell’epoca birraria in cui ci troviamo, ma è sempre esistita e contemplata. Anzi, ha persino contribuito a diffondere e allargare confini e usanze. In passato le aggiunte extra erano perfino la norma. Se non si vuol tornare troppo indietro agli albori delle grandi civiltà del passato, basti pensare solo a quello che era il gruit nel Medioevo: questa strano mix di erbe e spezie era quanto di più utile ci fosse per bilanciare la parte maltata di una birra e conferire un contributo amaro e leggermente aromatico. Le aggiunte più utilizzate erano per lo più erbe amare, ma si trova traccia di foglie come quelle di alloro e di aghi di rosmarino, mentre sulle spezie più propriamente dette spiccano l’anice stellato, il coriandolo e sicuramente il ginepro. Una volta sopraggiunto il luppolo, il ginepro è rimasto tradizionale solo in aree molto isolate del continente come il bacino baltico, restando nell’ossatura delle farmhouse scandinave e del sahti.
La presenza di spezie è sopravvissuta anche nell’Europa continentale soprattutto nell’area belga, dove da modesta comparsa in grado di completare il gusto e l’aroma di birre non certo qualitativamente perfette, è diventata sempre più parte integrante della tradizione stessa. Complice lo storico passato che vuole il Belgio al centro di traffici di beni e merci, l’abbondanza di spezie si è riversata nella produzione birraria restando in piedi anche nell’era “post-gruit”. La funzione delle tante varietà di pepe era solo in un secondo momento quella di arricchire il profilo organolettico generale, ma il loro impiego non era certamente all’ordine del giorno perché il pepe era qualcosa di più di un ingrediente ed era usato anche come vera e propria moneta di scambio. Nella maggior parte dei casi di spezie aggiunte si trattava produzioni di birre di maggior valore e significato simbolico, come quelle più alcoliche realizzate in previsione del periodo invernale e nello specifico per la festività del Natale, tanto che in qualche kerstbier è rimasta l’usanza di aggiungerne alcune (anice stellato, cumino, cannella le più comuni). Anche in tempi più recenti spesso non è possibile capire se e quali siano le aggiunte, considerata anche la rinomata diffidenza dei birrai belgi nel confessare le proprie scelte produttive, scegliendo di lasciare aloni di mistero su chi tra il birraio e il lievito abbia conferito piacevoli aromi fenolici. Il luogo comune che vede anche nelle saison del passato l’uso di spezie, invece, si dimostra piuttosto fallace, se non per qualche eccezione solo vociferata riguardo all’uso di fiori di campo in qualche farmhouse contadina. Talvolta veniva utilizzato anche il miele, ma il valore economico di questo bene di certo non lo portava ad essere un elemento fondamentale nella produzione birraria belga. Una delle spezie che più si è distinta da quella particolare mescolanza che era il gruit, è senza dubbio il coriandolo, che anche nel tardo Medioevo dopo l’avvento del luppolo si è mantenuto in pianta stabile in un paio di stili. Parlando ancora di Belgio è uno degli elementi caratterizzanti delle birre di frumento, che nel tempo si sono ridotte a farsi rappresentare dalle sole blanche, in cui l’aggiunta anche di scorza d’arancia proveniente dalla colonia caraibica dell’isola di Curaçao è elemento fondamentale ed è un’ulteriore conferma di quanto siano le rotte commerciali ad aver influito sulle disponibilità di spezie, spesso utili per la conservazione dei cibi più che per l’esaltazione dei sapori.Il coriandolo, a quanto pare, serviva anche a lenire dolori di stomaco e si cominciò ad usare sempre più già nel Medioevo per questo motivo. Sembra essersi conquistato una certa notorietà anche nelle tratte commerciali di quella che era la Lega Anseatica, quella alleanza di città che dalle valli del Reno fino al Mar Baltico si scambiava beni e merci. Questo dovrebbe spiegare il perché dell’uso di coriandolo nelle gose, stile produttivo che nella Sassonia si sviluppò in barba al Reinheitsgebot, l’Editto di Purezza che dal 1516 valeva per la sola Baviera e che impediva l’uso di altro che non fosse orzo, luppolo e acqua nella produzione di birra. A differenza dei tempi moderni, in queste produzioni che da Goslar crebbero di popolarità fino a sbocciare nell’area cittadina di Lipsia, il sale non era inizialmente un elemento aggiuntivo ma era presente nelle acque della zona una certa mineralità naturalmente estratta dalla roccia. Vista la ricchezza di questa risorsa nelle vicine cave, a un certo punto i birrifici nati a Lipsia cominciarono ad impiegarlo direttamente in aggiunta alle loro acque più neutre.
In terra britannica, invece, difficilmente le ale hanno mantenuto riferimenti alle aggiunte di cui si faceva uso in passato. Già lo stesso uso del luppolo arrivò molto dopo rispetto alle birre prodotte nel continente, tanto che “beer” era proprio un sinonimo di birra luppolata, contrapposto alle “ale”, ancora prodotte con mix di erbe. Gli ultimi ad arrendersi furono probabilmente i birrifici scozzesi, che nel tardo Medioevo si opponevano ancora alle prime produzioni inglesi che usavano luppolo sia a causa dei dazi che del suo alto costo (oltre al fatto che era inglese!). Sopravvisse per un po’ l’uso di alcune erbe come l’erica in arcaiche scotch ale, ma anche di altre materie prime fermentabili e fonte di amidi convertibili in zuccheri come zenzero, patate, radici e altri tuberi, per poi soccombere all’uso del luppolo definitivamente.
È curioso constatare quanto siano sempre state importanti le aggiunte di altri ingredienti “extra” nella storia birraria, in una fase in cui questo gesto sembra quasi la normalità. Contemporaneamente però questa consapevolezza provoca anche una certa sensazione di stanchezza se si pensa a certe estremizzazioni e a come il movimento italiano, forse erroneamente, ha visto negli anni ‘90 e 2000 l’aggiunta delle tipicità del territorio come chiave di svolta della scena craft italiana. È ancor più sconcertante pensare che anche la stessa renaissance birraria partita dagli USA probabilmente non sarebbe stata possibile senza la ripresa della pratica inglese del dry hopping enfatizzata dalle spregiudicate varietà di luppolo americane che diedero vita alle prime iconiche american IPA. Certamente il messaggio di libertà e creatività venuto fuori da quel momento in poi ha allargato i confini della creatività e della fantasia, che sono e saranno sempre il vero motore della scena birraria mondiale, nel bene e nel male!
Cosa si intende per spezie?
Tale termine indica, nel vocabolario gastronomico, un elenco di sostanze odorose di origine vegetale (ricavate da diverse parti botaniche di una pianta: foglie, semi, bacche, radici), generalmente di provenienza esotica, utilizzate per aromatizzare cibi e bevande (cannella, noce moscata, chiodi di garofano, timo, dragoncello, zafferano). Attenzione però, sotto il cappello di tale definizione trovano pieno diritto di cittadinanza le spezie in senso proprio, ma anche quei prodotti cui normalmente ci si riferisce parlando di erbe aromatiche (aglio, cipolla, basilico, prezzemolo, menta, etc..). Quale allora la differenza tra le une e le altre? In genere, le seconde vengono impiegate da fresche, mentre le prime una volta subito trattamenti di essiccazione.
Il profumo speziato
Le sensazioni speziate possono generarsi in virtù di un’aggiunta diretta, come il binomio coriandolo e scorza d’arancia nel “disciplinare” classico delle Witbier belghe, oppure per via dell’azione metabolica dei lieviti (o dei fermenti “meno convenzionali”) durante la fermentazione primaria, fase in cui le molteplici e complessi reazioni chimiche innescate dai microorganismi impegnati nella conduzione del rispettivo ciclo riproduttivo dà luogo alla comparsa di sostanze chimiche alle quali corrispondono sensazioni di matrice non solo fruttata, ma anche, speziata. Emblematico è il caso dei fenoli (in primis l’eugenolo, principale latore di un “naso” da chiodo di garofano) generati, in misura diversa a seconda dei ceppi selezionati di Saccharomyces Cerevisiae inoculati per brassare ad esempio una Weissbier, una Bière Blanche, una Saison, una Belgian Ale. Vedi approfondimento sul tema.