Sahti, alla scoperta della storica “non birra” finlandese

546700_274277666015609_1293862209_nChi ama le birre in modo sano e appassionato studia, viaggia, studia, caccia, studia, degusta, studia, abbina, studia e divulga e non fa alcuna fatica a studiare, studiare, viaggiare, cacciare, degustare, abbinare e divulgare Ogni volta si aggiunge un tassello e non si smette mai di imparare. Una cosa è certa: nessuno di noi può rimanere immune al fascino di voler approfondire la conoscenza di bevande legate alla cultura di un popolo, ai suoi usi e ai suoi costumi. Bevande a volte simili tra loro, a volte molto differenti, altre ancora “vicine” al mondo delle birre. D’altronde anche il lambic non è birra ma… lambic! Tra queste mi ha sempre affascinato, sin dai primi approcci con le nostre adorate birre, il Sahti finnico, della cui esistenza venni a sapere, come di tante altre cose, dalla penna del mio Maestro Michael Jackson nel suo fondamentale “World Guide to Beer” del 1977. Non voglio dilungarmi sugli aspetti tecnici del processo produttivo ma piuttosto darvi una botta di adrenalina, facendovi partecipi della folgorazione che ebbi in una delle più straordinarie visite fatte in vita mia. Novembre 2004. Approfittando del meeting EBCU (European Beer Consumers Union) un nutrito gruppo di delegati provenienti da mezza Europa parte alla scoperta del Sahti più verace con destinazione Hollola, non lontano da Lahti, dove predica il verbo il leggendario Illka Sipilä. Personaggio del quale si narrano episodi legati al suo carattere scontroso e alla sua propensione alla vita isolata, che ama spartire solo con le adorate alci.

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Si parte di buon mattino in bus da Helsinki, con un freddo bestiale ma un cielo terso che non lascia presagire la bufera interminabile che ci stava aspettando e che ci avrebbe regalato, per quasi tutta la giornata, inquietanti ma suggestivi scenari polari che avevo visto fino ad allora solo nei documentari. Solo betulle ed abeti innevati per un paio d’ore, un bel pezzo di sterrato ed eccoci davanti a una costruzione di pietra e legno che ben presto si rivelò essere un vero e proprio Tempio. Sipilä ci dice tutto su come fa il suo Sahti di pietra, un mosto miracoloso di malto d’orzo e segale coltivati in proprio, ginepro, luppoli autoctoni, acqua pura di sorgente e… lievito del panettiere, fatto bollire con pietre roventi e poi fermentato in vasche di pietra.

download (1)Resto folgorato da questa descrizione e, subito dopo, ho davanti a naso e bocca un magnifico boccale di ceramica marrone picchiettato di nero con bordi color cobalto colmo di Kivisahti. Finalmente! Sarà stata l’eccitazione dell’attesa, la magica atmosfera, l’inevitabile suggestione o chissà cos’altro, ma quello che ho provato sin dalla prima sorsata è stato molto vicino al piacere sessuale o a un goal del Genoa. Quasi mi dispiaceva dover tirar fuori un taccuino e scrivere due note gustative, volevo solo godermi una serie di boccali (gli altri, annichiliti dal gusto inusuale di quella sconosciuta bevanda, erano passati a bere solo birre) e parlare con Sipilä, per tirargli fuori l’anima e la personalità che trasparivano dai suoi occhi di ghiaccio sciolto. Abbiamo parlato a lungo, e non solo di Sahti: della cultura del suo popolo, che ha una concezione del tempo diversa da noi, del rispetto per la natura e del viverci in compenetrazione, del buio e della luce che qui durano a lungo e condizionano umori e abitudini di vita. Mi disse che non aveva mai chiacchierato così tanto e di queste cose con uno straniero, ma con un italiano che aveva scolato uno dietro l’altro una dozzina di boccali del suo Sahti si sentiva un po’ latino e meno ugro-finnico!


Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 4