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Si può parlare di Belgian Stout? Scopriamo le stout in Belgio

La stout è uno stile di birra che trova interpretazioni anche in Belgio, ma prima di affermare se si possa o meno parlare di un Belgian stout style appare opportuno soffermarci brevemente sull’origine stessa della tipologia. L’uso del termine “Stout” viene associato alla birra già nel 1677, quando un manoscritto della Collezione Egerton ne fa menzione per indicare una “birra forte”. Il termine “Porter” appare invece per la prima volta nel 1721, utilizzato per descrivere una birra scura realizzata con malti tostati: come tutti sanno vista la grande popolarità di questa tipologia, i birrai ne produssero ben presto un’ampia varietà, chiamando stout porter, o più semplicemente stout, le produzioni con gradazioni superiori. È da quel momento che il termine fu associato, oltre che alle birre con alto apporto alcolico, anche a quelle scure. Il più grande birrificio a produrre stout fu, ovviamente, la Guinness di Dublino: la società di John Martin avviò l’importazione in Belgio a partire dal 1912 e, come per altri stili internazionali, l’aumento di popolarità fece sì che diversi birrifici locali cominciassero ad imitarla. Molti riadattarono ad esempio le ricette delle proprie scure cercando di avvicinarle alle caratteristiche tipiche della stout, utilizzando orzo tostato a richiamare l’aroma del caffè e ricercando quella secchezza finale che ne definisce gran parte del carattere. Prima della Seconda Guerra Mondiale esistevano letteralmente centinaia di interpretazioni di stout, e anche se manca una vera e propria descrizione dell’intera gamma, possiamo stimare che venissero prodotte tutte le varietà di stout, dalle gradazioni basse a quelle più alte, da quelle più amabili alle versioni amare. A conflitto terminato i grandi birrifici scelsero di concentrarsi sulla produzione delle lager, banche attraverso l’acquisizione delle realtà più piccole, portando di fatto ad una enorme riduzione della scelta per i consumatori.

Gradualmente anche la stout scomparve dalla scena belga, pur con qualche eccezione; i quattro esempi che ricordo erano brassati da birrifici a dimensione familiare, e riguardavano in particolare quelle sweet stout un tempo pensate principalmente per anziani e donne in allattamento: la Callewaert Extra Stout (5%), originariamente prodotta da Callewaert (Zwevezele) e ora da Strubbe (Ichtegem); la Leroy Sweet Stout (5%) di Leroy (Boezinge); la Wilson Mild Stout (5,2%) di Bios (Van Steenberge, Ertvelde); e ancora la Pony Stout (5.2%) di De Brabandere (ex-Bavik, Bavikhove). Non ci si deve insomma stupire se Michael Jackson scrisse il suo famoso libro “The Great Beers of Belgium” senza fare riferimento ad uno specifico stile chiamato porter o stout. La prima stout belga del nuovo millennio venne lanciata da Philippe Gérard della Brasserie Ellezelloise (Quintine) nel 2000. Era una birra forte, con una gradazione vicina ai 9%, chiamata Hercule in onore di Hercule Poirot, il famoso detective creato da Agatha Christie nato da tra- dizione il primo aprile del 1850 proprio ad Ellezelles. Il birrificio è stato poi acquisito dalla Brasserie des Légendes.

La rivoluzione della birra artigianale negli USA iniziò con la produzione di birre ispirate ad antichi stili, comprese le porter e le stout. Si può citare a titolo di esempio la Sierra Nevada Stout (del 1980). Ci volle un po’ per farle decollare negli Stati Uniti, ma i consumatori pian piano si abituarono a questo gusto. Così, quando gli importatori statunitensi iniziarono a guardare alle specialità belghe, chiesero delle birre che potessero adattarsi al palato dei consumatori americani. Quindi alcuni birrifici iniziarono a produrre delle Stout. Vi riporto tre esempi interessanti. La Brouwerij Van Den Bossche (St.Lievens-Esse) dal 1907 produce una birra scura chiamata Buffalo (il nome deriva da Buffalo Bill’s Circus che stanziava vicino al birrificio): localmente era un successo, ma gli importatori statunitensi non la considerarono sufficientemente speciale, tanto che nel 2006 ne ordinarono una versione più potente con un gusto più tostato e una gradazione più elevata (9%), nonostante il birrificio avesse già aumentato il tenore alcolico (dal 5 al 6.5%). Anche De Struise Brouwers (Oostvleteren) è stato tra i primi a specializzarsi in birre estreme in abito scuro. Avendo contatti con Chris Lively dell’Ebenezer Pub nel Maine, nel 2007 decisero di creare una birra speciale per loro. Così nacque la Black Albert, una miscela di due birre con una gradazione di ben 13%. Anche la De Dolle Brouwers (Esen) ricevette la richiesta di creare qualche cosa di speciale, così venne fuori la Export Stout da 9%.

Pian piano altri birrifici presero nota e, alle volte aiutati dagli importatori, iniziarono a creare delle proprie stout. Tre birrai, i più testardi tra tutti, continuarono a cercare un prodotto beverino. Infatti Dupont (Tourpes) fece una stout fino agli anni Cinquanta chiamata Monk’s, ricreata poi nel 2011 dalla ricetta originale, arrivando ad una gradazione del 5.2%. Anche Brasserie de la Senne è nota per la “Stouterik”, una scura particolarmente leggera (4.5%). Seguita poi dalla Brasserie Authentique che per la sua apertura al pubblico nel 2007 ha presentato una stout (7%), oggi prodotta regolarmente. Naturalmente anche le brewfirms sono saltate su questo carro, specialmente agli inizi del 2010. In quegli anni Musketeers (Ursel) lanciarono la loro Troubadour Imperial Stout (9%), prodotta da De Proefbrouwerij (Lochristi). La Big Mama Stout (6,2%) è stata invece prodotta da Jandrain-Jandrenouille per NovaBirra.

I grandi produttori di lager al momento non sembrano interessati alla produzione di porter o stout, concentrandosi invece sulle IPA e lasciando ai piccoli birrifici il compito di sperimentare. Sono due le iniziative degne di nota: la prima è la “Rulquin”, una miscela sorprendente di lambic di Tilquin (Bierghes) con una stout di 7° alcolici prodotta da Gregory Verhelst da La Rulles (Habay); la seconda riguarda le varie Black Damnation di De Struise, che combinano innovazione ed “overdose” di gusto. Attualmente ci sono circa quindici etichette prodotte in Belgio chiamate stout, coprendo l’intero spettro di ingredienti e gusti. Ci sono alcuni esempi poco conosciuti come la Brouwerij Pirlot’s (Zandhoven) con la Kempisch Vuur Haverstout (6.5%) e la Oesterstout (8.5%) di De Schelde brouwerij (Meer). Secondo me ci sono alcune birre che potrebbero indossare la maglia delle stout, ma non lo fanno: per esempio la Bellevaux Black (Malmédy) e la Tournay Noire di Cazeau (Templeuve). In conclusione possiamo affermare che al momento non esiste uno stile Belgian Stout. Questo è anche provato dalle maggiori competizioni birrarie (World Beer Cup, European Beer Star, etc.) dove non esiste tale categoria. Giustamente quindi, l’ispirazione e l’innovazione rimangono alla base delle stout belghe.

 

ALBERT LE COQ E LE IMPERIAL STOUT
In alcune pubblicazioni il Belgio viene legato alle Imperial Stout, attraverso la figura di Albert Le Coq. Ecco la storia. In Inghilterra veniva prodotta una versione di stout molto forte per il viaggio verso la Corte degli Zar. Questa vantava una gradazione alta, un carattere molto legato al malto, da bassi a moderati livelli di carbonatazione e da un forte aroma tostato. Per questo è stata soprannominata (Russian) Imperial Stout. Questo per circa due secoli, fin quando non saltò fuori Albert le Coq, che acquistò questo tipo di birra da vari produttori inglesi, per poi spedirla sotto suo nome. I suoi clienti vivevano in Russia e resero il marchio A. Le Coq & Co molto conosciuto, fino a farne spostare il quartier generale a San Pietroburgo. Nel 1912 la società venne investita del titolo di produttore ufficiale della Corte Imperiale Russa. Nello stesso anno venne aperto un birrificio per la produzione della Imperial Stout anche a Tartu, in Estonia. Le informazioni pubblicate su Albert Le Coq sono irregolari. Senza un resoconto dettagliato della sua vita, molti hanno affermato che avesse origini belghe, visto il suono francese del suo cognome. Nonostante questo il British Museum ha ritrovato un necrologio, scritto dal Ernst Waldschmidt, riferito ad Albert Von Le Coq (1860-1930), nato a Berlino e discendente da una famiglia ugonotta. E quindi, tanti saluti al collegamento con il Belgio.