Professione blender. Intervista a Raf Souvereyns di Bokkereyder
Quando all’inizio dell’anno a Santa Rosa, California, sono stati annunciati i vincitori dei Ratebeer Best in una cerimonia che premia i migliori classificati – secondo i voti ottenuti sull’omonimo portale – si è percepita una certa scossa, ne sono stato testimone, all’annuncio del numero uno di questa classifica: Bokkereyder, un blender belga.
Dalle nostre parti, non si sono fatte attendere le reazioni. Pochissimi conoscevano quel nome, per lo più per sentito dire. Così, diversi commenti si sono attestati sul solito refrain che spesso aleggia attorno ad ogni notizia che abbia a che fare con RateBeer: ma chi è questo sbarbatello, lo avranno bevuto in trenta e sarà amico di qualcuno, il solito sopravvautato, per poi chiudere con la lapidaria frase che rappresenta la quadratura del cerchio: tutta colpa dei raters! Forte del rumore mediatico anche la mia curiosità aveva ricevuto una considerevole spinta verso l’alto; soprattutto, ero interessato a sapere quanto davvero valesse questo fenomeno, e se, spogliato dal suo hype, ci fosse sotto una solida e reale qualità. Sapevo che Bokkereyder non sarebbe mancato all’ormai ex CBC (ribattezzato Mikkeller Beer Celebration Copenhagen), e non mi sono fatto scappare l’occasione di provare tutte le bottiglie servite durante il festival. Il bilancio è andato oltre le aspettative. Ciò che mi ha colpito in primo luogo, è la qualità media. Se certi grandi nomi trovano solo in alcune birre le loro punte di diamante, che spiccano in una linea di produzione dove magari non mancano alti e bassi, nel caso di Bokkereyder tutti i blend partono da un livello di per sé almeno ottimo.
Restano tanti punti interrogativi: chi c’è dietro Bokkereyder? Da dove viene, quando nasce? Com’è arrivato sul tetto del mondo brassicolo mondiale? Raf Souvereyns – così si chiama la mente e l’anima del nome più chiacchierato del 2017 – mi ha fatto una buona impressione. La sua ultima partecipazione all’Arrogant Sour Festival, oltre ad essere una grandissima occasione per gli italiani di poter finalmente bere i suoi assemblaggi, mi ha dato lo spunto e la voglia di potergli strappare una piccola intervista. Raf ha confermato quell’impressione di disponibilità e senso di partecipazione avuta a Copenhagen meno di un mese prima: la chiacchierata si è svolta sul filo della mezzanotte di un caldo sabato sera, seduti letteralmente per strada – portando due sedie di plastica – per ritagliarci uno spazio meno incasinato e lontano dalla folla. Affabile, calmo, sguardo profondo e non troppe parole, poca stravaganza e zero attitudine da rockstar: per un ragazzo appena trentaduenne, ritrovatosi proiettato in un (seppur piccolo) olimpo di notorietà, è di certo un punto a favore. Sentiamo cos’ha da dirci.
Ciao Raf e benvenuto in Italia. Prima dell’Arrogant Sour, la maggior parte degli italiani ti conosceva per sentito dire; molti consideravano Bokkereyder un nome spuntato dal nulla. Così ti chiedo di raccontarci un po’ di storia: come nasce Bokkereyder? Quando hai cominciato ad appassionarti al blend, e dove?
La mia città natale è Hasselt, che è il capoluogo del Limburgo Belga (la provincia più orientale delle Fiandre, al confine con i Paesi Bassi ndr). È una regione molto famosa per la frutta e i produttori di vino. Nel 2013 ho affinato in botte un lambic per la prima volta, utilizzando amarene fornite da un amico. Non sapevo nulla circa la produzione del lambic, non avevo la minima idea di come realizzarlo. Avevo giusto un’esperienza in campo vinicolo, così ho voluto fare un tentativo con una botte avuta grazie a un produttore locale. Posso dirti tranquillamente che il risultato fu disastroso, una vera schifezza (ride)! Man mano, però, ho iniziato a ottenere miglioramenti, specie dopo il primo anno.
Eri già noto a molti dall’anno scorso, per via del Copenhagen Beer Celebration, ma è stato alla fine di gennaio 2017 che il tuo nome è rimbalzato un po’ in tutto il mondo grazie ai RateBeer Best. Che effetto ti ha fatto essere stato considerato il numero uno? Le cose adesso sono cambiate per te e, se sì, come?
È stato un grande onore. Devo dire che non me lo aspettavo affatto. Quando hanno annunciato il primo posto ero a lavoro, alle prese con l’imbottigliamento. L’ho saputo soltanto ore dopo. Ho preso il telefono e la batteria era quasi scarica per le notifiche di tutti i messaggi, una marea di gente che mi faceva complimenti, congratulazioni… mi sono detto: ehi, ma che cazzo succede? Come ti dicevo: ne sono onorato, ma per me le cose continuano come prima. Preferisco dedicare il premio ai produttori di lambic, penso che lo meritino molto più loro. Sono i prosecutori di una conoscenza e una tradizione secolare, incarnano una parte di cultura del Belgio. Per me, il riconoscimento va a loro che producono birra. Io mi limito ad utilizzarle, in fondo.
C’è qualcosa che di sicuro sarà cambiata negli ultimi tempi, ovvero la richiesta per le tue birre. Purtroppo sei entrato ufficialmente a far parte di quella cerchia di nomi, come Cantillon o 3F, di primissima scelta sul mercato. Dico “purtroppo” perché attorno a birre del genere si creano meccanismi anche malsani, come un aumento insensato dei prezzi o, peggio ancora, un’incredibile corsa per accaparrarsele sul mercato nero a prezzi ancora più folli. Che idea ti sei fatto di tutto questo?
Come si dice: libero mercato in un mondo libero, no? Battute a parte, non posso dirmi sostenitore di questo fenomeno. Le mie birre hanno un controllo molto stretto in termini di distribuzione, che seguo in prima persona. Soltanto in pochi locali (quattro nell’intera Europa: Akkurat a Stoccolma, Muted Horn a Berlino, Grote Dorst ad Eizeringen, Koelschip a Copenhagen) puoi trovarle, e anche lì puoi berle giusto sul posto. Trovo bello che vi si riunisca la gente per dividerle e condividerle insieme. Inoltre mi piace molto servire le birre durante i festival, mi piace dare l’occasione di provarle al maggior numero possibile di persone nello stesso luogo.
Come vedi il futuro? Ancora più nero? Dobbiamo rassegnarci che il lambic stia diventando come certi vini proposti a prezzi irragionevoli? Eppure il lambic storicamente non era proprio un bene di lusso, la gueuze veniva anzi considerato lo champagne dei poveri…
Non ne ho la minima fottuta idea (ride)! È difficile poter prevedere come andranno le cose, ad essere sincero. Cosa dirti? Le mie bottiglie non sono economiche, è vero. Tuttavia, cerco di vendere in maniera ragionevole, in proporzione al costo del mio processo produttivo: materie prime, botti, tempo.
Spero di non chiedere troppo se la domanda che adesso ti faccio riguarda le tue risorse. Per quanto ne so, non utilizzi lambic di un singolo produttore. Ci potresti dire da chi solitamente ottieni il lambic?
Girardin, De Troch, Lindemans. Ciascuno ha il suo pregio, la sua nota distintiva, e immette nei miei blend un sapore e un profilo del tutto diverso. Li ritengo addirittura complementari fra loro.
Molti ritengono che fare blend sia una pratica meno nobile e che, in un certo senso, sia più semplice assemblare del lambic piuttosto che produrlo. Io non penso che le cose stiano esattamente così, e sono anzi piuttosto curioso, per cui ti chiedo: quali sono le problematiche più difficili per un blender?
Trovare i prodotti giusti. Ciascun lambic ha la sua evoluzione, il suo tratto a seconda del birrificio, del batch o dell’anno, e ciascuna frutta ha la sua annata. Così la difficoltà sta poi nel trovare il bilanciamento, l’equilibrio sotto ogni punto di vista. Si parte sempre in piccolo, si comincia con delle quantità minime facendo blend da bicchieri diversi, e quindi si procede per gradi a seconda di ciò che vien fuori, se il risultato è soddisfacente, finché non hai la certezza che si possa terminare sulla scala più grande. L’aspetto più duro è che ogni volta è come ricominciare da zero! Inoltre, se decido di orientarmi per un particolare blend, non è nemmeno detto che sia la migliore scelta possibile. Magari è frutto del momento, ma mi riferisco proprio al momento della giornata, sai, in cui il tuo istinto ti dice di fare così.
Lavori molto con la frutta. Dove la prendi? Pensi che sia fondamentale la qualità o c’è dell’altro?
Solo la qualità fa davvero la differenza. Testo sempre la mia frutta, studio i periodi migliori, la assaggio assieme ai contadini che la coltivano, la vado personalmente a scegliere – e anche a raccogliere, in ogni momento dell’anno. Anche la freschezza è ovviamente importante. Ti faccio un esempio: spesso vado a cogliere i lamponi direttamente dal cespuglio e neanche quattro ore dopo sono già pronti per la botte. È forse l’aspetto che curo di più, sapere di avere la migliore frutta possibile e utilizzarla al massimo della loro freschezza e potenzialità.
Adesso una curiosità per capire anche quali sono i tuoi gusti. Cosa beve Raf quando finisce una giornata di lavoro?
Ehm… acqua? Sai… dopo aver lavorato per un’intera giornata, difficilmente bevo birra. Tra l’altro non ho l’abitudine di bere da solo, preferisco farlo tra amici. Non amo bere molto, per dirti, mi basta un bicchiere. Preferisco assaggiare più birre diverse che bere un’intera bottiglia. Mi piace molto anche il vino: per ovvie ragioni di lavoro ho continui rapporti con tanti vignaioli e mi fa piacere bere i loro prodotti.
Ecco, ci diresti da dove prendi le tue botti?
Principalmente prendo botti dalla Borgogna, e non le compro mai se non ne conosco prima vita, morte e miracoli! Devo sapere che vino hanno contenuto, per quanto tempo, se sono compatibili con la frutta, e così via. Ad esempio, per una Kriek scelgo botti di Pinot Nero. Impiego 100 kg di ciliegie per una botte da 228 litri, lasciandole almeno otto mesi – a volte dodici, dipende dai casi. Si tratta di una grande quantità, perché il mio obiettivo è estrarre dalla botte la massima contaminazione, il massimo contributo in termini di aromi e sapori. Tieni presente che le ciliegie vengono lasciate per intero. Dopo sei mesi di macerazione il nocciolo cade giù e si deposita sul fondo, questo conferirà delle belle note di vaniglia e di mandorla. Passati gli otto mesi comincio a testare man mano, per capire se tutto è pronto per l’imbottigliamento. Là dove noto la necessità di avere un maggior corpo aggiungo lambic di Girardin, se invece richiede un sapore più intenso mi oriento verso De Troch. Come ti dicevo, sono complementari tra loro.
Mi hanno detto che non ti aspettavi un tale pubblico, soprattutto amanti di sour/acide. A quanto pare l’impatto è stato più che positivo. Che idea ti sei fatto degli appassionati italiani?
Sono stato sorpreso da quante persone avessero un buon palato! Un palato allenato a questo tipo birre, intendo. Non ho avuto bisogno di dovermi dilungare più di tanto in spiegazioni. Sai, per me un pubblico così è molto importante, perché posso avere dei feedback significativi sul mio lavoro.
Ci sono state delle birre italiane che ti hanno colpito favorevolmente?
Uh… questa. È una birra di Ca’ del Brado, mi piace, anche se non mi hanno detto come si chiama. Ieri ero da Oldo, per fare una cotta collaborativa, e ho apprezzato molto una delle loro birre, una saison, mi pare si chiami Round Trip.
Hai progetti di nuove birre in cantiere?
Sì, e te la racconto in anteprima. Sarà una birra basata sul Rubus Arcticus, ovvero ciò che chiamiamo comunemente lampone artico. Carl von Linneé, lo scienziato e botanico svedese che ha gettato le basi per la classificazione delle specie e organismi viventi, frutta compresa, lo considerava la migliore bacca esistente. Purtroppo non è così semplice da trovare. Due settimane fa, però, sono riuscito a trovarne un piccolo quantitativo mentre ero in Svezia; sarà poco più che un piccolo esperimento, ma ti dico che sono molto, molto entusiasta all’idea di lavorarci!
Quale futuro avrà Bokkereyder? Hai in mente di espanderti, di dedicarti a qualcosa di più grande?
Ho sempre lavorato da solo, tranne che per l’aiuto di un caro amico che mi dà una mano fin dall’inizio. Non credo di voler continuare in un modo diverso da così. Per cui il mio proposito è take it easy. Siamo persone semplici, vogliamo lasciare le cose così come sono. La mia blendery è un posto dove ci sono botti e qualche tank (circa 230 mq e una dozzina di botti ad Hasselt, ndr), nulla più. Non ho un angolo bar dove servire le birre e non mi interessa averlo. Ho cominciato a fare i primi blend in cucina, a casa, ora sto soltanto seguendo una scala più grande ma i miei propositi restano gli stessi di prima: trovare i migliori lambic, le migliori botti, la migliore frutta e affinare meglio tutti i processi.