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Passione Sidro: storia, curiosità e paesi produttori

Probabilmente molti di voi hanno letto Madame Bovary di Gustave Flaubert, o almeno ne hanno sentito parlare. Cosa c’entra col sidro? Beh, qualcosina c’entra. Uno dei personaggi del libro infatti, Papà Roualut, padre di Emma, amava questa bevanda e pretendeva sempre sidro forte in tavola, per dimostrare di non badare a spese quando si trattava del suo tenore di vita. È solo un piccolo esempio, ma d’altra parte in qualche modo bisogna pur cominciare una storia. E quella che vi racconto oggi credo sia molto interessante, anche perché probabilmente non tutti la conoscono e, come recita una canzone, “le storie che non conosci non sono mai di seconda mano”.

Il sidro ha origini antiche, anche se la sua diffusione è relativamente recente. Come è noto si tratta di un fermentato a base di mele, quindi la sua odissea (perché di questo si tratta) affonda radici nella pratica agricola della coltivazione di questo frutto. Ma prima di proseguire a ritroso intendiamoci sulle parole. Cos’è in realtà sidro? Un fermentato di mele; e su questo siamo d’accordo. Ma c’è di più. Già sul nome stesso della bevanda c’è da divertirsi: quello attuale “sidro” per l’appunto, nasce formalmente dalla lingua d’oil attorno al 1130-1140 dopo Cristo, (prima veniva chiamato auppegard o épégard) come derivazione dal latino “sicere”. Parlar di mele inoltre non basta, dato che in alcuni paesi, Francia in testa, vengono utilizzate anche le pere. È il caso del “Perry” o “Poirè” (gusto secco, simile a certi vini bianchi del nord). La differenza sostanziale nell’impiego delle pere sta nel fatto che mentre le mele vengono fatte sostare nei solai per un breve appassimento, le pere vengono spremute subito perché marciscono più velocemente. A dirla tutta su base mondiale le pere costituiscono solo il 5-6%, ma sono pur sempre una minoranza dignitosa… E poi, beh, paese che vai usanze che trovi! Nel senso che le tradizioni produttive, le differenze climatiche, le tipologie di mele a disposizione e i gusti locali hanno creato molte varianti sul tema. Senza contare che in alcuni territori la cultura del sidro si sviluppa a partire dalla necessità di non mandare sprecati i raccolti di quelle tipologie di mele considerate non adatte al consumo cosiddetto “da mensa”.

Le prime notizie sulle piantagioni di melo risalgono al XIII secolo a.C., epoca in cui era certamente coltivato in Egitto e in Asia Minore, cosa che fa ipotizzarne il consumo già in età classica. Il sidro fu menzionato da Strabone e poi da Plinio al suo ingresso in Austria, quando testimoniò che era tipico del luogo, utilizzato per fini curativi. L’aceto di sidro di mele, inoltre, veniva utilizzato dai romani per dissetare e dagli Egizi per curare. Furono gli arabi però che, grazie a più avanzati sistemi agricoli, ampliarono le varietà di mele e le tecniche per produrne in tutto il continente. Anche Virgilio, per la verità senza dilungarsi troppo nei dettagli, ne parla nelle Georgiche. Il fatto è tuttavia, che i romani preferivano di gran lunga il vino, che tentarono senza grandi risultati di produrre anche in Inghilterra, ergo al sidro relegarono un ruolo assai marginale. Per trovare qualche scritto ufficiale dobbiamo attendere il 790 dopo Cristo, in Spagna e più precisamente nelle Asturie (viciono ai Paesi Baschi) dove la bevanda si è diffusa tra i Celti col nome di Sagardoa (vino di mele) per poi approdare al nord della Francia, grazie ai mercanti del tempo. Anche qui nell’VIII secolo troviamo ad esempio cenni sulla macerazione delle mele a Landevennec, in Bretagna, la cui celebre abbazia fu fondata da San Guènolè nel 485 d.c. La cultura celtica gioca un ruolo fondamentale nella storia del sidro. Furono i Celti infatti ad introdurre l’uso della botte di legno per la maturazione, ma andarono anche oltre attribuendo al consumo di sidro un valore altamente simbolico. Berlo costituisce, secondo la loro tradizione, una sorta di rito collettivo che si rinnova durante le feste, in occasione dei matrimoni o più semplicemente a mo’ di ristoro dopo una dura giornata di lavoro nei campi. Lo dimostra l’abitudine antica e salda di versare le ultime gocce rimaste nel bicchiere come gesto di restituzione alla madre terra di quanto gli è stato tolto. Posso testimoniare che anche oggi certe abitudini non sono andate perdute, con buona pace dell’igiene nei pub, anche se non so quanti giovani siano effettivamente consapevoli della sacralità del loro agire, quando impiastrano i pavimenti al quarto litro di sidro! Tornando all’epopea di questa bevanda c’è da dire che a qualcuno potrebbe suonare strano il fatto che sia, tempi remoti a parte, ogirinario della Spagna e non delle più consone lande bretoni ad esempio. Ma a ben vedere bisogna considerare che nell’alto medioevo il nord della Francia era decisamente spostato sulla coltura della vite e quindi sulla produzione vinicola. E se è pur vero che già ai tempi di Carlo Magno si coltivavano mele e qualche produzione di sidro per gli Ostelli è documentata, la cosa rimase per secoli assai marginale, con alcune eccezioni eclatanti come un celebre pranzo che Teodorico II diede nell’Abbazia di San Colombano dove i resoconti storici parlano di sidro servito assieme al vino. Fu un’imponente gelata a far intuire in modo inequivicabile che sarebbe stato sensato dedicarsi alla mela, decisamente più resistente al clima locale. Fu così che il “succo pomis” spopolò in Normandia e in Bretagna dove tutt’oggi è bevanda “nazionale” e da lì nel 1066 grazie a Guglielmo il Conquistatore, giunse alle sponde opposte della Manica per radicarsi saldamente anche in Inghilterra, a cominciare da Cornovaglia e Sussex. Per la precisione i primi documenti parlano di produzione di sidro nelle campagne dello Herefordshire. Il primo trattato degno di questo nome sul sidro fu scritto nel 1588 da Le Paulmier, un medico francese alla corte di Enrico III che, preoccupato di analizzare gli effetti delle bevande alcoliche sulla popolazione del tempo, scrive “De vino et pomaceo” dove sostiene il fermentato di mele al posto del vino perché più leggero e lo raccomanda per le sue presupposte proprietà terapeutiche, digestive e diuretiche. Il resto è storia recente e vale la pena capirci qualcosa di più dando uno sguardo a consuetudini e caratteristiche delle produzioni locali.

Partiamo naturalmente dai sidri normanni. Nascono dalla selezione di ben 30 tipi diversi di mele e si suddividono in numerose tipologie: da quello secco, a quello pur jus, cioè senza aggiunta di acqua, mousseux, frizzante naturale o bouché con fermentazione in bottiglia. Sono solitamente di buon corpo, sebbene poco alcolici, dai 2 ai 5 gradi, anche nella verisone rosè. Il modo migliore per scoprire l’Appellation d’origine contrôlée (AOC) des Cidres du Pays d’Auge (una delle denominazioni più interessanti della regione) è forse quello di perdersi lungo le stradine della Route du Cidre che attraversa la bassa Normandia tra Caen e Lisieux. Tra le tappe “obbligate” cidrerie come Les Vergers d’Auvillars e Cambremère Geràrd Desvoye; senza dimenticare Cidrerie Val de Rance e Cidrerie du Val de Vire. In generale tenete presente che qui c’è veramente da sbizzarrisrsi. La Normandia pullula di cidrerie e il consorzio dei produttori è un vero potentato, al punto da possedere il controllo dell’intero raccolto di alcune varietà di mele utilizzate per la fabbricazione del sidro. Se ci spostiamo in Bretagna troviamo sidri che arrivano a toccare i 6 -7 gradi con maggiore apporto zuccherino, pertanto più abboccati, anche nelle versioni brut. Penso all’AOC di Fouesnant, che comprende ben 38 comuni della Cornovaglia francese a sud del Finistère. Ma anche alle ottime produzioni artigianali della foresta di Paimpont, il “cidre du Broceliande”. Quelli inglesi, in genere di Cornovaglia e Sussex, ma no solo, si dividono in versioni che spaziano dall’extra dry, con acidità evidente, a tipologie quasi dolciastre, molto aromatiche e di buona alcolicità. A mio gusto personale più frugali di quelli francesi. Tra le più importanti Cider Farm ci sono Orchard Pig, Cornish Orchards, Thistly Cross Cider, fino al sidro Rocksteady, nato dall’intesa tra l’artigiano di sidri Hogan e il mastro birraio Tiny Rebel. Tutte aderenti al CAMRA.

Ma se dedichiamo la nostra attenzione al nord della Spagna, Asturie, Cantabria e Paesi Baschi tutto inevitabilmente cambia. Iniziamo col dire che dal 2003 esiste un disciplinare di produzione che elenca le 22 tipologie di mele ammesse e le classifica in base all’acidità. Ma quel che veramente colpisce è l’amore di queste genti per la socialità legata al sidro, che rappresenta una sorta di stile di vita. Basta farsi un giro per il centro di Oviedo, lungo il “Boulevar de la Sidra”, affollato di ristorantini e bistrot dove si beve rigorosamente soltanto sidro, abbinato a crostacei bolliti e altre prelibatezze locali. Oppure a Gijòn, località costiera impreziosita da una grande spiaggia in faccia all’Atlantico, dove la spumeggiante bevanda viene servita in grandi bicchieri di vetro sottile. E l’aggettivo “grandi” è determinante, visto che vi sarà servita con la tradizionale tecnica detta “escanciar” per accrescerne la spuma. In pratica si tiene la bottiglia alta sopra la testa e si versa dietro la schiena direttamente nel bicchiere. Va da sé che una parte finisce sul pavimento… e difatti nei locali ci sono le canalette di scolo! Soprattutto in passato la bevuta era condivisa con lo stesso bicchiere, ragion per cui ogni bevitore lasciava un po’ di liquido sul fondo per permettere a chi lo seguiva di sciacquare il bordo dove erano state appoggiate le labbra. Il sidro asturiano è solitamente molto amaro e spigoloso, anche se recentemente ne sono state messe in commercio versioni cosiddette “da tavola” un poco più facili e beverine, apprezzabili anche dai palati meno esperti. Altri paesi produttori e consumatori di sidro sono la Svizzera, la Germania, la Svezia e la Finlandia. Senza dimenticare gli Stati Uniti con i loro sidri di fattoria, capaci di stupire per originalità e grado alcolico. Mi è capitato di provarne persino uno da oltre undici gradi. Ma questo mondo richiede una trattazione a parte. E a casa nostra? Qualcosa si sta muovendo, ma di questo ne parleremo nella prossima puntata…

Un commento

  1. Interessante articolo… anche io credo che in Italia qualcosa si stia muovendo intorno a questo prodotto che risponde alle più attuali esigenze di ricerca della tradizione, di vicinanza al territorio, salubrità e naturalità, ma anche di “novità”, contaminazione con altri Paesi e culture.
    Conosco alcuni piccoli produttori locali che trasferiscono la loro passione per il territorio in un sidro di eccellenza, che alla prima degustazione ti conquista.
    Mi piacerebbe molto condividere con te alcune idee sul futuro di questo prodotto in Italia…