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Hall of Fame. Capitolo XXI. Sierra Nevada Pale Ale

Tra le birre che hanno fatto la storia, non necessariamente indietro nei secoli bisogna cercare. Anzi, vicina nel tempo, troviamo l’origine di diverse etichette che hanno segnato svolte profonde nel costume brassicolo; e per alcune di esse è lecito affermare che ne abbiano rivoluzionato l’intero sistema, anche economico. Senz’altro è così per la Sierra Nevada Pale Ale: la prima American one lucidamente pensata come tale; capostipite di uno stile la cui codifica ufficiale (quella di APA, appunto) sarebbe arrivata anni dopo. Insomma stiamo parlando della titolare ante litteram di un acronimo destinato ad assurgere tra i dominatori (insieme alle cugine AIPA) di una stagione la cui parabola stava iniziando proprio con quella lungimirante precorritrice.

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La Sierra Nevada (il fatto che abbia anticipato la classificazione di APA è dimostrato da come ancora oggi circoli con la qualifica del debutto: semplicemente Pale Ale) vede la luce nel 1980, contestualmente con l’avvio della microbrewery omonima, fondata da due ex homebrewers, Paul Camusi (poi pensionatosi nel 1988, cedendo le proprie quote al socio) e Ken Grossman, quest’ultimo il papà della nostra protagonista (anche se attualmente il ruolo di head brewer è esercitato da Steve Dressler, che peraltro ha annunciato il proprio ritiro per il 2017).

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Negli anni settanta Grossman aveva imparato a brassare in casa dal padre di un amico; quando i fornelli della sala cottura furono accesi, decise di metterne a punto il funzionamento con una cotta di prova, puntando su una Stout (la quale uscì con il nome sic et simpliciter della tipologia, conservandolo identico, al pari, sostanzialmente, della ricetta d’esordio). La Pale Ale sarebbe venuta subito dopo. Sulla sua gestazione, Ken si trattenne a lungo, volle essere meticoloso fino alla pignoleria, forse alla paranoia. Aveva in mente la nitida volontà di lanciare una luppolata; ma prima ancora gli era chiara  la consapevolezza di dover proporre una bevuta che avesse il requisito, cruciale, della costanza nel profilo sensoriale. Così investì le ultime risorse rimaste, dopo il salasso per l’apertura dell’impianto, al fine di ottenere il risultato che cercava ovvero la riproducibilità della ricetta. Tra storia e agiografia, si narra che, prima di essere soddisfatto, abbia gettato nello scarico dieci cotte. Sacrificio enorme, ma che, a conti fatti, valse la pena sostenere.