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Gemellaggi golosi: parmigiana di melanzane e Belgian Blond Ale

Mettetevi comodi, perché prima di arrivare all’abbinamento perfetto tra parmigiana di melanzane e birra dobbiamo risolvere la questione della dicitura esatta: parmigiana di melanzane o melanzane alla parmigiana? Ebbene, in questo senso non esistono una posizione ortodossa e una eretica: si tratta di due denominazioni equivalenti, entrambe suffragate da solide attestazioni documentali.

Secondo punto, una domanda più che lecita: cosa caspita ha a che fare un riferimento a Parma (nel cuore dell’Emilia) con un piatto rivendicato da tre diverse scuole gastronomiche del Sud Italia? Eh già, perché la sua paternità è contesa tra Campania, Calabria e Sicilia; per portare la pace tra la quali (almeno a livello normativo) il nostro Ministero per le politiche agricole ha catalogato la ricetta come prodotto alimentare tradizionale (PAT), inserendola in ciascuno dei tre elenchi regionali rivali.

Ecco, a dispetto delle diverse centinaia di chilometri che la separano dalla punta dello Stivale, la città del Teatro Regio e del Battistero di san Giovanni, con questa storia tutta meridionale c’entra eccome. Perché da queste parti della Val Padana è storica la consuetudine di cuocere vegetali a strati: tanto radicata da generare un’antonomasia e dare luogo a espressioni quali cucinare alla maniera dei parmigiani; o, appunto, alla parmigiana. Quanto alla vexata quaestio sull’effettiva origine della preparazione di cui ci occupiamo oggi, il groviglio è probabilmente impossibile da districare, né è da scartare l’ipotesi che l’idea possa essere stata formulata in tre settori diversi di un medesimo quadrante geografico, nel quale le contaminazioni culturali tra provincia e provincia sono sempre state decisamente intense.

Preparazione

Sostanziosa e appagante, la parmigiana è un grande classico della cucina mediterranea. Per servirne su un tavolo da 4 coperti, si procederà così. Anzitutto procurandosi l’occorrente: un chilo di melanzane e uno di pomodori pelati; tre cucchiai di olio extravergine d’oliva; mezzo chilo di mozzarella, 100 grammi di Parmigiano Reggiano grattugiato; e ancora olio di semi d’arachide, farina, basilico, sale fino e grosso, tutto in quantità commisurate alle esigenze del caso.

Espletati i preliminari, è il momento di darci dentro. Si parte con l’ortaggio protagonista: da lavare, asciugare e sbucciare; poi da tagliare nel senso della lunghezza, ricavandone fette (uno, due millimetri lo spessore) che saranno adagiate in un recipiente, formando strati su cui (uno ad uno) spargere sale grosso per favorire lo spurgo della sostanza amara. Quindi, sul ripiano superiore sarà appoggiato un piatto e sopra di esso un peso (a schiacciare il tutto), prima di lasciar riposare il castello per una mezz’ora almeno.

Si avrà così il tempo di preparare il sugo, versando i pelati con un po’ d’olio in una padella e lasciandola scaldare, coperta a fuoco lento, appunto per una trentina di minuti. Ora sciacquare le melanzane, lavando via il sale; asciugarle accuratamente con carta assorbente; infarinarne tutte le fette; friggerle nell’olio; scolarle e metterle ad asciugare, a loro volta, sempre su carta assorbente.

A questo punto, in una teglia da forno, stendere, alternatamente, strati di sugo e di melanzane fritte (questi ultimi guarniti con Parmigiano grattugiato e mozzarella a cubetti), terminando la sequenza con una copertura di sugo e Reggiano. Dopodiché infornare a 200 °C per un’altra mezz’ora, attivando la modalità grill negli ultimi 5 minuti così da far gratinare bene la superficie; quindi lasciar raffreddare, decorare con qualche foglia di basilico e dedicarsi ai piaceri del palato. 

Nel bicchiere

Da bere, ovviamente, una birra all’altezza della sfida. La quale presenta una serie di precise chiavi d’accesso, corrispondenti ad altrettante caratteristiche sensoriali del morso in questione. Il quale è ben dotato in grassi (dunque chiede, se non acidità, quantomeno bollicina e gradazione entrambe aitanti); porta con sé le acidità del pomodoro e della frittura (pretendendo con ciò, nel bicchiere, non un’inclinazione speculare oppure una diffusa morbidezza maltata); rivela un’intensità gustativa elevata e orientata alla sapidità (esigendo una sorsata non indulgente a finali eccessivamente amaricanti, ma al contrario costruita attorno a una robusta dorsale di dolcezza).

Sì, sono diversi i profili tipologici che possono riuscire adatti all’abbinamento; tra essi, scegliamo quello di una Blond Ale di ascendenza belga. Tra le tante suggeriamo: la Blond della gamma La Trappe; la JBlond targata J63; la Trappist Ale di casa Spencer; la Beela della scuderia Filodilana.