Fare una Session IPA in casa (Metodo All Grain)
Quando il freddo invernale tende a svanire, sale automaticamente la voglia di alleggerire la bevuta, fosse solo per accusare meno il colpo per le alzate di gomito sempre più frequenti. Tra le birre più appaganti che si possono realizzare in casa con l’arrivo di temperature dolci e gradevoli ci sono sicuramente quelle più session, leggere e gradevoli. La tendenza degli ultimi anni ad abbondare con il luppolo è diventata un’affermata realtà, tanto che parlare di Session IPA è ormai quanto di più naturale ci possa essere.
FUORI DAI CANONI
Per il BJCP non è uno stile, ma Brewers Association e tanti altri organi che si occupano di concorsi internazionali sono più che abituati all’idea. Nonostante non stiamo parlando di un modo di far birra ereditato dalla tradizione del passato, nessuno tra produttori e consumatori ha difficoltà a riconoscere ormai in questa categoria una serie di produzioni ben definite, caratterizzate da una gradazione alcolica in un range 3,5-5,0 %alc e da una copiosa presenza di luppolo. Solitamente la lista di prerogative finisce qua, anche se con una certa facilità ci si trova spesso di fronte a birre di colore chiaro, al più leggermente ambrate.
SESSIONABILITY
Per assicurarsi di trovarsi con bassa gradazione non ci sarà bisogno di prevedere molto materiale fermentabile. Il difficile, però, arriva su altri fronti, soprattutto legati all’accuratezza della produzione. Con una presenza di alcol poco rilevante, sono potenzialmente maggiori i rischi e gli effetti legati a eventuali errori, contaminazioni e ossidazioni durante la fermentazione o il confezionamento. Di contro, però, una certa presenza di IBU e di luppolo può compensare in parte questo pericolo, e se si è abituati a lavorare correttamente il problema non sussiste. Dal punto di vista degustativo è il luppolo il protagonista, rilanciando l’esperienza sensoriale su lidi fruttati.
NON SOLO LUPPOLO
Molte delle birre più semplici da bere sono tra le più complesse da immaginare e realizzare e senza dubbio la costruzione dello sfondo maltato non è mai banale. Essendo la famiglia di birre classificabili come Session IPA molto eterogenea, non è facile schematizzare tutte le indicazioni per il grist. Di sicuro le interpretazioni di più facile beva hanno semplicemente un malto Pils o Pale di base: il primo se si vuol far brillare semplicemente il luppolo, il secondo se si vuol dare un minimo contributo più ricco. Dal totale si potrebbe destinare un 10-15% circa a malti base più complessi come Monaco o Vienna, che oltre a tingere il colore di sfumature più cariche possono aggiungere un velo maltato che sostenga meglio la luppolatura e il corpo. Quest’ultimo è un aspetto chiave, soprattutto in una birra potenzialmente anche molto watery. A questo scopo, una piccola parte di malti speciali può essere d’aiuto su una base di solo Pils o Pale, ma sempre su cifre che si aggirano su 3-5% e mai di malti troppo importanti: possono andar bene malti speciali chiari o poco più (Carahell, Crystal 20), tenendosi sul fondo del range se si tratta di caramellati più intensi (Crystal 60, Caramonaco, Aromatic, Special B): il rischio di rubare la scena al luppolo è sempre presente. Un aiuto e allo stesso tempo una variazione sul tema possono essere gli altri cereali, maltati o no. Qui è la conoscenza personale e l’esperienza a guidare la scelta, ma destinare un 10-15% a fiocchi d’avena, di frumento o di orzo stesso può restituire un contributo notevole sulla percezione del corpo anche con densità finali molto basse, scongiurando il rischio di una birra troppo scarica a livello tattile. Alla fine della fiera, bisogna ottenere un mosto che sia di densità tra OG 1045-1035, lavorando su una temperatura unica di ammostamento sui 67-68°C circa: meglio non scendere troppo con le temperature per assicurarle un corpo decente.
QUANTO AMARA?
Avendo a che fare con una densità medio-bassa, non sarà opportuno spingersi molto con le dosi di luppolo in amaro. Ma è pur sempre una IPA, seppur in scala, perciò un tocco amaricante finale deve starci e si può ottenere mantenendosi su un rapporto teorico IBU/OG di 0,6-0,8 circa, il che si traduce in 25-35 IBU teoriche. Le strade sulla tempistica delle gittate possono essere tante: dal First Wort Hopping (FWH) con aggiunta di luppolo nel primo mosto per amaricare più delicatamente e allo stesso tempo estrarre sapori e aromi, fino al Hop Bursting che conferisce le unità di amaro dalle gittate negli ultimi 15 minuti di bollitura. Non si dimentichi che l’opzione di luppolo da amaro per i 60 minuti di bollitura rimane una certezza, ma il motivo per cui si cerca di ammorbidire il contributo amaricante è che in una Session IPA può essere più facile scadere in note vegetali per l’eccessivo uso di luppolo. Le varietà da utilizzare in amaro è bene che abbiano alti alfa acidi, così da permettere di usare minori quantità e quindi abbassando quel rischio di estrazione di componenti vegetali: tra i vari americani Warrior, Columbus, Chinook o anche Cascade vanno più che bene. In Hop Bursting probabilmente è meglio aggiungere ai classici americani varietà che sappiano conferire esplosività aromatica Citra, Mosaic, Galaxy o i sempreverdi Amarillo e Citra.
WH – DH – DDH…WTF?
Il rischio di una esagerata nota vegetale è ancor più critico quando ci spostiamo a ragionare sull’aggiunta di luppolo da aroma: sicuramente le aggiunte a fuoco spento, in whirpool e/o in hop-standing aiutano a estrarre e lasciare in soluzione preziosi olii, ma è necessario (a differenza che in una APA, per esempio, dove può anche essere opzionale) ricorrere al Dry Hopping: il primo qualche giorno prima che termini la fase di fermentazione più tumultuosa (orientativamente tra il terzo e il quinto giorno), il secondo a bocce ferme quando ormai la fermentazione della Session IPA è compiuta. Il travaso non è quasi mai necessario con fermentatori convenzionali. Se si lavora in isobarico si può saturare di anidride carbonica un secondo fermentatore e spostare la birra liberandosi dei pellet del primo Dry Hopping e dei residui di lievito. Sistemi come il Fermzilla offrono la possibilità di effettuare il bubbling per entrambe le aggiunte di luppolo e di massimizzare l’estrazione di composti aromatici in tempi brevi, presumibilmente senza la comparsa di componenti vegetali. Fermentare in pressione è di sicuro una chiave importante per una birra luppolata così delicata, perché trattenere gli aromi migliori fin dall’inizio e non sottoporli alla rifermentazione in bottiglia (se non fatta con tutti i crismi), può far perdere un po’ di spinta a queste birre. Comporre il mosaico delle varietà è a propria discrezione, ma un buon mix dovrebbe essere composto da 3-4 varietà al massimo, cercando combinazioni assonanti e dallo spettro più largo possibile. La lista da cui attingere sarebbe infinita, piuttosto bisogna tenere a mente le quantità: in whirlpool ci si può anche posizionare su 3-5 g/L, mentre in totale nei Dry Hopping è bene stare tra 6-8 g/L. Andare oltre queste soglie può sembrare esaltante, ma il rischio che una nota di pellet rovini tutto diventa più probabile.
LIEVITO
Certamente non sono birre in cui il lievito lascia un’impronta importante. I ceppi più indicati sono quelli neutri con alta attenuazione, per cui i vari American Ale e California Ale che tutti i produttori hanno in lista: l’immancabile US05 fa alla grande il suo lavoro, come il WLP 001e il WY1056. Se si vuol lavorare con un mash molto fermentabile si può pensare di affidarsi a un lievito meno attenuante per lasciare zuccheri residui: in questo caso, qualche ceppo inglese poco caratterizzante può essere d’aiuto, con un London III o simili. Per tutti, i 17-18°C in fermentazione vanno più che bene per ottenere un profilo pulito.
BILANCIAMENTI
Come in tutte le birre caratterizzate dal luppolo, si dovrebbe scegliere l’acqua in modo da esaltarlo, ma senza accentuarne eccessivamente il carattere amaricante. Motivo per cui probabilmente non sarà il caso di tenere alti i solfati, fermandosi su un rapporto con i cloruri che sia circa di 1. È necessario non trascurare i cloruri e quindi l’esaltazione del sapore maltato, a maggior ragione su una Session IPA, che con un corpo leggermente esile e secco tenderebbe a scoprire di più la coperta e mostrare il fronte amaro nelle sue sembianze più grezze e vegetali. Deve essere una birra dal forte impatto aromatico e dall’aroma fruttato, ma deve restare una birra che trovi una certa corrispondenza con il gusto, un minimo di struttura portante e che resti facile e veloce da bere, per cui tutto deve risultare integrato.
ACCORTEZZE
Per ragioni puramente tecniche e organolettiche, l’ideale sarebbe imbottigliarla o infustarla in isobarico. Se la rifermentazione è l’unica possibilità, mai come in questa birra è importante evitare il contatto con l’aria portando il fermentatore a temperatura ambiente dopo la lagerizzazione (bastano anche 7-10 giorni) per formare una sorta di scudo di anidride carbonica durante la operazioni, utilizzare un sifone, fare un priming basso (2,0 vol sono sufficienti) e inoculare in bottiglia (insieme allo zucchero, magari con una siringa usa e getta o del tipo “vaccinapolli”) qualche grammo di lievito specifico per la rifermentazione per far sì che il poco ossigeno presente venga subito neutralizzato.
L’ultimo consiglio è quello più piacevole: una Session IPA va bevuta e finita il prima possibile!
RICETTA SESSION IPA (23 L)
OG 1040 – FG 1010
26 IBU – ABV 4,0
Efficienza 75%
Acqua Mash 20 L – solfati/cloruri 1,0 – pH 5,3
Acqua Sparge 12 L – solfati/cloruri 1,0 – pH < 5,8
Mash
3,5 kg Pils (90%)
0,3 kg Monaco (10%)
68°C – 50’
77°C – 10’
Boil 60’
5’ – Columbus – 16 IBU
0’ – Columbus – 3 g/L (ipotetiche 10 IBU)
Lievito Fermentis US05 – American Ale
Primo Dry Hopping: 3 giorni – 3 g/L con Cascade e Ekuanot
Secondo Dry Hopping: 5 giorni – 4 g/L con Cascade e Ekuanot