I difetti della birra: i solfiti
A tutti sarà capitato di essere raggiunti dall’odore di un fiammifero appena spento. Non proprio gradevole, vero? E a molti sarà successo di notare come la zaffata in questione corrisponda a quella esalante da un vino (bianchi i maggiormente indiziati) per la preparazione del quale si sia esagerato con le dosi di anidride solforosa (SO2 la formula; antisettica e antiossidante le funzioni) conferibile sotto varie forme, ad esempio quella di un suo sale, il metabisolfito di potassio.
Anche nella birra è possibile sentire questo difetto molto spesso causato da fenomeni di autolisi del lievito al termine della fermentazione primaria (con conseguente fuoriuscita del materiale citoplasmatico interno), qualora le sue cellule esauste non vengano separate dalla birra in tempi convenientemente tempestivi. Fenomeni di autolisi possono verificarsi anche sul prodotto finito, nel caso si tratti di una procedura con rifermentazione in fusto o bottiglia: l’esposizione a colpi di calore nuoce infatti al lievito, le cui cellule ne vengono sostanzialmente uccise, avviandosi successivamente a decomposizione.
Mentre nel mondo del vino può accadere che la presenza di solfiti possa generare il problema, nella birra questa casistica è più rara. Nel caso specifico lo ione solfito costituito da un atomo di zolfo legato a tre atomi di ossigeno (SO 3 – ) a un pH tipico della birra intorno a 4, tende ad andare in soluzione creando ione bisolfito. I solfiti e i bisolfiti sono entrambi potenti agenti riducenti, in grado di attrarre atomi di ossigeno da altri composti e formare anidride solforosa e acqua. Quando presente in alte concentrazioni nella birra (tipicamente superiori a 20 ppm), l’anidride solforosa conferisce l’aroma di un fiammifero acceso. Questi composti possono essere usati come additivi anche nella birra ma è pratica più enologica, quantomeno esclusa nelle produzioni brassicole artigianali. Il metabisolfito può essere usato nella birra per la sua azione antiossidante e quindi come azione successiva al passaggio di prodotti sanitizzanti ad alto potere ossidante e un risciacquo inadeguato può portare a concentrazioni di solfiti nel mosto indesiderate.
Infine episodi in cui si verifichi la liberazione di anidride solforosa, perlomeno in dosi tali da poter avvertirne la compagnia molesta, possono registrarsi contestualmente all’utilizzo di Isinglass (colla di pesce), un chiarificante molto utilizzato soprattutto dalla scuola anglosassone. Un difetto che non deve essere confuso con il solfidrico (sensazione di uova marce, acqua termale) e nemmeno con il metallico/ferroso.