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Come sono cambiati i consumi di birra in Belgio?

Il Belgio ha una storia lunga e complessa per quanto riguarda il consumo di birra. Alcuni elementi sono in linea con quanto accaduto a livello globale, come ad esempio il dominio delle lager, l’aumento dei prodotti premium nella grande distribuzione, etc. Ma ci sono anche altri fenomeni, tipicamente belgi, che hanno giocato un ruolo importante.

Inizio ‘900

Vorrei iniziare la mia storia dal 1900, quando il Belgio contava 3.223 birrifici, che producevano ben 14.617 milioni di ettolitri di birra. L’esportazione era praticamente inesistente (5.000 hl).  L’importazione era di soli 149.000 hl, prevalentemente dall’Inghilterra (bitter, pale ale, stout), dalla Germania (lager) e, in misura minore, dalla Cecoslovacchia (pilsner).
In tutto il Belgio si consumavano 14.761 milioni di ettolitri di birra per 221 litri pro capite (bambini e lattanti inclusi). La birra nazionale, tutta ad alta fermentazione, veniva bevuta quasi interamente nei pub locali. In realtà, quell’anno il Belgio poteva contare ben 167.000 locali per bere per circa 6.700.000 abitanti, in pratica uno ogni 40 persone (bambini e neonati inclusi). Tuttavia, il Belgio contava solo 2.617 comuni, in pratica molte realtà territoriali presentavano più di un birrificio all’interno.

Questo è abbastanza facile da spiegare da una prospettiva politico-economica. Infatti, la comunità era divisa in un massimo di tre frazioni (zuilen in fiammingo), una “cattolica”, una “socialista” e una “liberale”. Ciascuna mirava ad attrarre più persone possibili all’interno della loro fazione, e lo faceva creando e gestendo cooperative come negozi e panetterie, garantendo una prima forma di sicurezza sociale, amministrando scuole, bande musicali, etc.
Uno degli strumenti di successo era anche quello di avere un birrificio affiliato, del resto siamo in Belgio. Il birrificio avrebbe avuto i suoi pub dove le persone potevano riunirsi per parlare di sport, di quanto era accaduto nel paese, politica, e così via. E il birraio offriva regolarmente giri gratuiti, aumentando la popolarità. Leggendo molti documenti storici sui birrifici passati e presenti, è chiaro che i birrai erano piuttosto popolari e molti di loro sono diventati sindaci, membri del consiglio comunale, etc. E così è stato per molto tempo.

Un’altra bevanda popolare era il jenever (il gin originario dei paesi bassi), economico da fare, facile da servire e molto efficace per ubriacarsi velocemente. Data la povertà in gran parte del paese (per maggiori informazioni si veda il libro di Auguste De Winne Through Poor Flanders), si beveva jenever per dimenticare preoccupazioni e dolori.

La prima guerra mondiale e il periodo tra le due guerre

Poi venne la prima guerra mondiale (1914-18) con i tedeschi che si appropiarono praticamente di tutto il rame dei birrifici per fabbricare macchine da guerra e bombe. Solo pochi vennero autorizzati a produrre, in gran parte per fornire birra alle truppe di occupazione tedesche. Quel poco di birra che circolava era di scarsa qualità, visto per i tedeschi requisivano per loro i migliori ingredienti, tanto che la birra prodotta per i locali era poco alcolica e poco bevibile visto che prevedeva l’uso di ingredienti di scarto come barbabietole e cicoria. Ovviamente in quegli anni i consumi diminuirono drasticamente.

Quando la guerra finì, parecchi birrifici non riaprirono. Nel 1920 i birrifici attivi erano solo 2.013, e producevano 10.408 milioni di ettolitri, con un consumo pro capite di 143 litri. L’anno prima, nel 1919, in continuazione con le norme tedesche sulle bevande ad alto contenuto di alcol, fu approvata una legge per frenare gli effetti sociali del jenever. La legge fu chiamata “Vandervelde”, in onore di Emile Vandervelde, l’allora ministro della Giustizia. Stabiliva che nessun superalcolico potesse essere servito nei caffè e in altri luoghi pubblici. Un’altra restrizione era che gli spirits potevano essere venduti solo in quantità di almeno due litri. L’idea di fondo era che i forti bevitori non avrebbero avuto così tanti soldi a loro disposizione (nota a margine: questa legge è stata abrogata solo nel 1983).

Alcuni storici ritengono che questa norma sia il punto di partenza della fortuna delle birre ad alta gradazione in Belgio. Ma questo non è del tutto corretto, dato che molti documenti storici (anche medievali) dimostrano come c’era sempre stata una produzione di birra forte nel corso dei secoli. L’unica cosa che cambiò è che la birra alcolica divenne più facilmente disponibile per le masse, invece che essere una birra per pochi. Comunque, questo contesto ha davvero aiutato la produzione e il consumo di birra.
Nel 1930 il numero dei birrifici era sceso a 1.546, principalmente per l’avvento delle lager che richiedevano grandi investimenti e non tutti riuscivano a stare al passo con i cambiamenti. I volumi prodotti avevano toccato quota 16.099 milioni di ettolitri, mentre il consumo pro capite era tornato a 202 litri, con la stragrande maggioranza dei birrai dedita a produrre ancora birre ad alta fermentazione.

La seconda guerra mondiale

Ma poi, naturalmente, arrivò la seconda guerra mondiale, che ancora una volta ebbe un effetto dannoso sulla produzione e sul consumo di birra: nel 1950 si contavano solo 663 birrifici che producevano 10.140 milioni di ettolitri di birra, con un consumo di 118 litri pro capite. A poco a poco cominciò a manifestarsi il fenomeno della concentrazione di birrifici, dove i più grandi cannibalizzavano i più piccoli.
Allo stesso tempo, le importazioni cominciarono a crescere in maniera importante, in particolare le Pilsner provenienti dalla Germania e dalla Cecoslovacchia. Tutto ciò indicava chiaramente che anche il Belgio stava soccombendo inesorabilmente alla lager-mania, birra che era percepita come una bevanda moderna e alla moda, rispetto alle vecchie birre ad alta fermentazione belghe (= bevanda del nonno). I grandi nomi nazionali erano Stella, Jupiler, Maes, Haacht, affiancati da nomi regionali come Cristal, Bockor, Bavik, Safir, ecc. Questa tendenza è continuata fino alla metà degli anni ’80.

L’epoca post bellica

Due elementi poi hanno avuto un discreto impatto. Nel 1986 il governo ha dichiarato “l’anno della birra”, e tutti i media hanno puntato i riflettori sui birrifici tradizionali che producevano birre ad alta fermentazione. Sempre in quell’anno vide la luce OBP (Objectieve BierProevers = Objective Beer Tasters), un’associazione di consumatori di birra, simile all’inglese CAMRA, nata sempre nel 1985. La stessa OBP agiva come un gruppo di pressione nei primi anni della sua esistenza, con manifestazioni di dissenso come l’acquisizione e la chiusura di un birrificio, la scomparsa di marchi iconici, etc.

Inoltre, l’allora presidente Peter Crombecq era un appassionato degustatore che scriveva libri con descrizioni dettagliate su birre, birrifici e stili di birra. Questi libri hanno avuto un discreto successo e hanno contribuito a far riscoprire la birra tradizionale. L’impatto globale è stato importante e ha creato un rinnovato interesse e consapevolezza per gli stili storici. Infatti, se non fosse stato per queste iniziative, penso che il Lambic e le Gueuze tradizionali si sarebbero estinte.

Un altro effetto positivo a cascata è stato che i birrifici tradizionali a seguito del crescente interesse hanno lanciato nuove birre o riscoperto vecchie ricette, mentre alcuni temerari hanno persino avviato nuovi birrifici come La Binchoise, Blaugies, Fantôme, Kerkom, Steedje e Piessens oltre a De Dolle, Abbaye des Rocs, Achouffe, etc. I bevitori hanno cominciato a richiedere birra di qualità nei negozi e nei pub comportandosi da consumatori responsabili. Sono nati così i caffè indipendenti, non legati a nessun birrificio (nazionale o regionale), che selezionavano le loro birre personalmente presso i vari birrifici.

Tuttavia questi elementi positivi non hanno potuto fermare la contrazione del numero dei birrifici che nel 1999 segnava il suo picco più basso, vale a dire 112 unità (dati Belgian Brewers). Anche il consumo era sceso a 100 litri pro capite in quell’anno, molto meno dei 131 litri del 1980. Il motto del bevitore era diventato: meno ma meglio. Scelta che ha avuto una ripercussione nel tempo fino ad oggi con una tendenza al ribasso che ha spinto il consumo pro capite ai 121 litri nel 1990, ai 99 nel 2000, fino ai 78 litri del 2010. Dato che è rimasto stabile fino agli 80 litri registrati prima dell’arrivo del covid.

Le lager industriali hanno raggiunto negli anni ‘80 la quota di mercato dell’80%, quota che è rimasta invariata fino ad oggi. Ma per me e per molti altri, l’altro 20% è ciò che conta davvero. Quindi, diamo un’occhiata a cosa è successo nella minoranza. Ho già menzionato i termini “nazionale” e “regionale”, ma dovrei aggiungere anche quello di “locale”. Accanto ai big come Interbrew (ora AB inBev), Haacht, Alken-Maes, la cui birra si poteva trovare in tutto il paese, c’erano anche attori regionali, ad es. De Koninck (Anversa) Martens (Limburgo), du Bocq (Namur), la cui birra si trovava solo in un’area limitata del Paese. E poi c’era il birrificio locale, cioè sorto all’interno del paese, con un raggio di vendita di pochi chilometri fuori dal centro. Un esempio perfetto è De Ryck che si trova a Herzele. Altri sono Crombé (Zottegem), Van Den Bossche (Sint-Lievens-Esse), etc. Tutto questo per farvi capire che se volevi godere della grande diversità della birra belga dovevi viaggiare in tutto il Paese e fare uno sforzo non da poco. Ma come canta Bob Dylan: the times they are a changin’.

Il risultato è stato ed è più scelta per i bevitori, con molte più birre nei pub (principalmente indipendenti) e una selezione molto più ampia nei negozi. Allo stesso tempo per i birrifici è cominciata una lotta per accaparrarsi lo scaffale e il rubinetto delle spine dei pub. Una battaglia serrata, dato che il numero di birrifici è aumentato drasticamente, fino a 379 alla fine del 2020 (dato di Zythos). Fortunatamente molti nuovi arrivati ​​mirano a coprire il mercato locale e non hanno alcuna ambizione di diventare attori regionali o nazionali.

Tuttavia, sebbene la quota di mercato del 20% della “birra non lager” non si muova da molto tempo, all’interno di quel 20% si sono registrati molti cambiamenti drastici. Per fare un esempio 40 anni fa andavano per la maggiore le flemish red ale (come Rodenbach), le Wit (Hoegaarden), Spéciale Belge (De Koninck), mentre adesso sono richieste le blond d’abbazia e in generale le Strong Golden Ale, birre dorate con gradazione alcolica tra i 6,5 e 9. Per illustrare il mio punto, niente di meglio che utilizzare le cifre fornite di recente da Swinkels Family Brewers, proprietari di Palm, Rodenbach e Cornet (più molti altri). Al culmine del birrificio, negli anni ’80, Rodenbach produceva 180.000 ettolitri. Nel 2016 era sceso a un minimo di 31.000 ettolitri. Palm ha avuto un enorme successo in passato con una produzione di oltre 500.000 ettolitri, ma nel 2006, le vendite di Palm erano scese a 325.000, mentre nel 2016 la cifra era di 105.000.

Altro elemento importante da segnalare, e attentamente monitorato dai birrai belgi, è la suddivisione dei consumi tra il canale dei locali e la birra acquistata nei negozi e consumata a casa. C’è stato un graduale spostamento dei consumi fuori dai locali. Una grande ragione ovviamente è il fatto che la birra è molto più economica nei negozi che nei bar/pub. Anche il problema della guida in stato di ebbrezza ha spinto in questa direzione. Inoltre la maggior parte dei pub sono legati a un birrificio, e la scelta che possono offrire è molto più ridotta di quella che può offrire una birreria indipendente. Due cifre a titolo esemplificativo: nel 2008 il valore del settore Horeca e di quello delle vendita da asporto erano equiparabili, ma nel 2019 il primo ha registrato 3 milioni di ettolitri, mentre il secondo 4. Questo equilibrio si è spostato ulteriormente dato l’avvento del covid-19. Il canale horeca è stato chiuso per la maggior parte dell’anno, in modo che i consumatori non avessero altra scelta che acquistare nei negozi. Molti negozi online hanno aperto o ampliato e hanno iniziato a spedire ovunque, non più solo in Belgio. I dati del 2020 sono stati appena pubblicati e non fanno altro che confermare la tendenza: il giro della birra nei locali si attesta a 1,5 milioni di ettolitri, mentre l’acquisto con consumo a casa vale 4,2 milioni di ettolitri. Vedo tempi duri per per pub e locali con molte chiusure già annunciate nei prossimi mesi. Ma anche i negozi dovranno assicurarsi di avere una selezione sufficientemente ampia di birre provenienti da diversi birrifici (nazionali e internazionali) e novità frequenti se vogliono resistere alla concorrenza online.