Beer Tour in Algovia: in terra bavarese tra castelli, laghi e montagne
Questa carriera, m’ha già reso re ma senza bandiera
La banda tira acqua al suo mulino, sembra Banderas
Tutti mi vogliono risolutivo, ed è una tragedia
Perché io sono come un ladro al Brico, “Frega una se-”
…
Io vedo me come ammutolito, sepolto in catena
Se fossi re sarei Ludovico, secondo in Baviera
Come lui me ne sto nel castello in ciabatte
A sentire il bordello che fa Richard Wagner
Se mi dicono: “Il popolo intero c’ha fame”
Rispondo: “mi spiace, per lo meno c’è l’arte” .
Cos’hanno in comune l’amore per il viaggio, la birra, la poesia dell’inverno e queste sagaci parole del buon Michele Salvemini, più noto come Caparezza, tratte dall’Album Prisoner 709 del 2017? È presto detto. Il nostro birrovagare questa volta ci porta in Germania, più precisamente in Baviera e nello specifico in Algovia, una regione che si trova tra il Lago di Costanza e le Alpi bavaresi. Celebre per i suoi castelli, gli altopiani pieni di specchi e corsi d’acqua, i paeselli da favola, l’alta qualità della vita e, sa va san dire, la birra.
Ma la mia scelta è motivata anche da altro. In occasione di un recente viaggio da quelle parti infatti, sono stato colto da un’epifania fuori stagione e ho avuto l’impressione illuminante che l’Algovia fosse una specie di realtà fuori dalla realtà, una terra discreta, gelosa di se stessa e delle sue tradizioni. Aperta al turismo, ma legata ad una identità che si respira facilmente nei vicoli dei suoi borghi come nei boschi più remoti. Insomma un luogo intrigante che merita di essere raccontato e, magari, riscoperto con occhi più liberi e l’aiuto di un buon traduttore. Già, perché che qui difficilmente parlano inglese e decifrare, ad esempio, un menù può risultare una vera impresa. Io stesso per un paio di giorni ho ordinato a caso, pescando da carte piene di suoni duri per pentirmene poi, amaramente.
Il nostro itinerario si articola in un’area abbastanza ristretta, lungo un tragitto di circa 160 km, distanza percorribile in poco più di due ore di auto, ma che vi consiglio di esplorare prendendovi almeno quattro giorni di tempo, per godere appieno di ogni tappa, birrifici compresi, con la dovuta calma. Un’ottima alternativa, soprattutto in primavera, è fare il percorso in bicicletta. La Baviera possiede una rete di piste ciclabili capillare e ben tenuta. Si comincia sulle rive del Lago di Costanza, bacino di confine per antonomasia tra Germania, Austria e Svizzera, che per millenni è stato crocevia di popoli, tensioni politiche e religiose, senza mai però acquisire una sua propria nazionalità. Nessun popolo infatti è mai riuscito a domarlo, a controllarne realmente ogni sponda.
Ad appena quindici chilometri dalle rive del lago si trova la nostra prima tappa, Wangen im Allgäu, una cittadina situata nella parte sudorientale del Land del Baden-Württemberg, nel circondario di Ravensburg. Il borgo vale una visita per la sua atmosfera, la cinquecentesca Ravensburger Tor, il centro storico con le sue case dalle facciate a graticcio e i vicini impianti sciistici. Il primo documento scritto che parla di Wangen, un tempo chiamata Wangum, è del lontano 815, ma l’abitato è verosimilmente molto più antico.
Nel tempo due sono state le vocazioni locali: il tessile e l’agricoltura, soprattutto a partire dal tredicesimo secolo, con l’aumento dei commerci attraverso le Alpi. La posizione strategica ha fatto il resto. Nei pressi della cittadina meritano una visita anche due manieri in rovina legati da un curioso destino, Praßberg e il castello di Ratzenried. Entrambi furono costruiti nella prima metà del dodicesimo secolo con uno scopo preciso, erano infatti al servizio del potente monastero benedettino di San Gallo, fondato nel 719, per il quale riscuotevano tributi e al quale offrivano protezione. Oggi San Gallo è parte della Svizzera orientale e non è più un luogo di culto da oltre due secoli, ma per gli amanti della birra continua ad avere un significato speciale, perché qui la tradizione birraria è presente da moltissimo tempo. Già su una pianta dell’Abbazia del 820 d.c. infatti sono indicati ben tre birrifici e il produttore locale Schützengarten, fondato nel 1779 da Johann Ulrich Tobler è il più antico birrificio attivo della Svizzera.
Chiarita l’importanza del contesto e gli intrecci storici tra il birrario, il mistico e l’economico, immagino anche a voi sia venuta sete; ergo dirigiamoci al primo birrificio di giornata, Edelweissbrauerei Farny, una vera istituzione locale, leader di mercato per le Weizen nelle regioni del Lago di Costanza, dell’Alta Svevia e del Westallgäu. Il birrificio, fondato nel 1833 da Konrad Kugel a Hofgut Dürren, sul fiume Argen si trova tra Wangen im Allgäu e Kißlegg. Nel 1856, grazie ad un proficuo matrimonio la proprietà passa alla famiglia Farny, ma è nel 1924, pochi anni dopo che il futuro Ministro Oskar Farny ne entra in possesso che arriva la svolta: al birrificio viene messa appunto la ricetta della prima kristallweizen, birra di frumento filtrata e limpida all’aspetto.
Il successo di mercato è enorme e il brand acquisisce una posizione di assoluta rilevanza, come specialista delle Weizen. Ad oggi Farny produce ben otto tipologie di birra di frumento, con grani differenti (compreso il saraceno), cui si aggiungono tre etichette a bassa fermentazione. Tra le mie preferite la Alt Durrener, una Dunkel Weizen da 5.3% vol., adatta ad accompagnare la sostanziosa cucina della zona e la super classica Hefe Weizen (5.3% vol.), davvero ben fatta, per la quale viene utilizzato un lievito sviluppato in birrificio fin dagli anni settanta del novecento. Impossibile poi non citare la Kristall Weizen, fresca, floreale e piacevolmente agrumata (5.3% vol.), disponibile anche in abito light, con appena 3.2% vol. Sul fronte delle basse, bene la Premium Pils da 4.9% vol., dedicata fin dal 2001 al fondatore Oskar Farny.
Lasciamo ora la parte più occidentale dell’Algovia per raggiungerne il cuore, ovvero la bella città di Füssen alle pendici delle Alpi bavaresi. Il tragitto è breve, contate poco più di un’ora di auto, prendendo l’autostrada A7 e uscendo direttamente a destinazione. Füssen, 808 metri s.l.m., è una celebre località turistica posta all’estremo lembo meridionale della Romantische Strasse (itinerario meraviglioso, di cui riparleremo magari in estate), base ideale per la visita dei leggendari castelli di Ludwig II, ovvero Neuschwanstein e Hohenschwangau, che distano da qui solo quattro chilometri.
Per non parlare delle opportunità per gli amanti degli sport invernali, anche se le altitudini da queste parti non sono paragonabili a quelle del versante italiano o francese. Dovete immaginarvi una sorta di grande altopiano tra i seicento e gli ottocento metri di altitudine, con colli rotondeggianti che sfiorano i mille metri e qualche guglia pietrosa in qua e là, capace di superare i duemila. Un modo decisamente diverso di vivere la montagna, ma che porta con sé un fascino unico, anche grazie al clima che regala copiose nevicate che coprono laghi e foreste conferendo a tutto un ‘atmosfera quasi fiabesca. Nell’Algovia Orientale si contano dodici comprensori sciistici, tra cui due veramente a portata di mano, quello di Tegelberg-Schwangau a 5 km e quello di Buchenberg-Buching (Halblech) a circa 10 km dal centro di Füssen.
Il bello è che il primo si intreccia anche con il Parco dei Castelli, ma ne parleremo tra poco. Prima di tuffarci nella natura infatti, prendiamoci il giusto tempo per visitare la città. Foetes, questo il suo primo nome, è di origine romana e nasce in funzione dell’antica Via Claudia Augusta, che collegava il nord Italia alla capitale regionale della provincia Castra Augusta, oggi Augusta (Augsburg in tedesco).
La principale attrazione del centro storico è il Castello Alto (Hohes Schloss), costruito in età tardo gotica e ancora oggi molto ben conservato e adibito a museo. Fu la prima residenza dei Vescovi-Principi di Augusta e dalle sue mura si gode una vista spettacolare sulla città, il fiume Lecht e i monti circostanti. A me ha sempre colpito molto il fatto che sia coloratissimo. La strada d’ingresso ad esempio ha i merli bordati di rosso e la piazza interna è ricca di affreschi che coprono quasi per intero parte degli edifici che vi si affacciano, con giochi prospettici di forme e di luce. Subito sotto il castello c’è un bel parco pubblico e a due passi si trova il complesso barocco dell’Abbazia di San Magno, Sankt Mang, la cui costruzione risale al IX secolo. Ma Füssen non la si può ridurre alle sue icone monumentali, perché è soprattutto un luogo davvero piacevole da scoprire. Basta camminare per le vie del centro, fermarsi in un caffè o in uno dei suoi tanti bistrot per respirarne l’atmosfera.
La si può visitare durante tutto l’anno, ma secondo me i periodi migliori sono le mezze stagioni e l’inverno, per vederla sotto una coltre di neve o con le luci natalizie. I birrovaghi poi, troveranno soddisfazione esplorando le salette del Bier Souvenir, in Schrannengasse 8, un gran bel beer shop che si trova praticamente accanto ad una delle birrerie più ruspanti della città, il Gasthof Weizenbrauerei Woaze, location perfetta per gustare la cucina tipica, accompagnata da birre del territorio, come la AKT, la Allgäuer e noti brand di origine bavarese come la godibile König Ludwig Schloßbrauerei di Kaltenberg.
Le vere sorprese birrarie tuttavia si trovano poco fuori dal centro cittadino, con ben tre birrifici artigianali nel raggio di appena venti chilometri. Il primo ha sede a Nesselwang, comune montano di tremila anime, nato forse già in epoca romana (si trova sulla via per l’antica città di Cambodunum, oggi Kempten), ma menzionato in alcune carte del 1302 e legato ad un vicino castello dell’XI secolo. Qui la famiglia di Karl Meyer, diplomato a Weihenstephan, gestisce dal 1968 un’azienda composta dal birrificio Post, il Gasthof Hotel Post e il Brau-Manufactur Allgaeu. Quest’ultimo distribuisce tutte le linee “della casa” ed è curato dalla giovane e volitiva Stephanie Carla Meyer, sommelier e mastra birraia formata dalla Doemens Academy.
Stephanie ha intrapreso anche un suo percorso personale sullo studio dei luppoli che l’ha portata ad avviare la produzione di una referenza a vocazione territoriale, la Hopfen Royal, da 7.3% vol. La ricetta prevede orzo della Baviera, luppolo Tettnang dell’azienda agricola Georg Bentele, fresh hop di Cascade, lievito di Freising-Weihenstephan e l’acqua della locale sorgente di Nesselwang. Il resto delle birre sono molto più tradizionali, ma di sicuro interesse. Tra le 16 etichette in carta, vi consiglio la robusta Pils Nesselwanger Gold (5.2% ABV), con malto 100% Pilsener, luppoli Tettnang e il tradizionale Hallertau Mittelfrüh; la Nesselwanger Weizen da 4.9% vol. con frumento, malti Pilsner e Monaco e luppolo Tettnang e la Nesselwanger Bock, precisa e pulita, con una tostatura da manuale.
Ciò detto, rimettiamoci in marcia. Vi garantisco che la prossima tappa non ci stresserà troppo in termini di viaggio, poiché dista appena 15 minuti di auto, giusto il tempo di raggiungere il ridente abitato di Eisenberg, piccolo comune immerso nel verde, che deve la sua notorietà al turismo di montagna e ad una sorta di millenaria faida tra castellani, che vede le nobili famiglie locali di volta in volta opposte a sovrani tirolesi, aristocrazia del nord, o alle parti in causa in conflitti più grandi di loro, come la guerra dei trent’anni che ha tinto di sangue l’Europa tra il 1618 e il 1648.
Il Castello – Museo di Eisenberg fu edificato dai potenti Von Hohenegg intorno al 1315, ma compare nel primo documento ufficiale nel 1340, col nome di Isenberch. Durante il trecento fu oggetto di contese, passò di mano e divenne perfino un enclave austriaca. Nel 1525 fu persino occupato durante una rivolta contadina. Nel quattrocento viene costruito non lontano una specie di castello gemello, Hohenfreyberg. Friedrich von Freyberg-Eisenberg zu Hohenfreyberg, figlio maggiore del proprietario del castello di Eisenberg, lo fece erigere dal 1418 al 1432 a un’altitudine pazzesca per l’epoca, con costi e difficoltà tali da farlo cadere in miserie e costringerlo a venderlo pochi anni dopo.
Ma c’era un motivo per tanta follia: Friedrich voleva salvare lo spirito cavalleresco, ormai decadente e annebbiato. Si aggrappava a un suo costrutto ideale da mostrare nelle forme possenti di mura e torri, a vista dei suoi nemici. Ma tutti loro dovettero cedere alla storia. Il 15 settembre 1646 infatti, poco prima della fine della Guerra dei Trent’anni, Eisenberg, insieme a Hohenfreyberg e al vicino (e bellissimo) Falkenstein, fu bruciato dal governo tirolese nel corso di quella “politica della terra bruciata” che doveva mettere ordine nella regione, e da allora è rimasto in rovina.
Ovviamente non è solo per fare un fascinoso e romantico tour dei castelli maledetti che vi ho portato qui, a Eisemberg ci aspetta Kössel-Bräu, un birrificio con annessa locanda, il tutto a gestione familiare. La storia di questo birrificio è rocambolesca e legata alla cappella di Christian Steinacher, dedicata a Maria Ausiliatrice e meta di pellegrinaggio, fin dalla sua costruzione nel 1636. Anche per questo infatti nel 1698 viene avviata la produzione di birra in paese, che a fine ottocento si trasferisce nell’attuale edificio.
Seguirono decenni di continui ampliamenti e ristrutturazioni finché, nel 1929, entra in scena Otto Stolz di Kempten, che rileva l’attività, salvo poi farla chiudere nel 1963, dieci anni esatti prima di morire. Poi nel 1986 Adolf Kössel compra l’ormai ex birrificio e cinque anni più tardi cede tutto al figlio Anton, che nel 1992 riapre il brewpub “Mariahilfer Sudhaus“, chiuso negli anni sessanta. Le cose vanno bene e recentemente, nel 2016, Anton ha comprato un nuovo impianto (Kaspar Schulz e Albert Frey) e aperto nel 2018 una nuova sala degustazione, nella storica locanda rinnovata, in Kirchplatz 2. Insomma, magari non si direbbe, ma a Eisenberg non ci si annoia.
Ora, qualcuno potrebbe chiedere: “sì, ma le birre come sono?” Un attimo, che ci arrivo: sono buone. E spaziano tra stili molto diversi tra loro. La cosa di per sé non dovrebbe stupire, almeno se utilizziamo il metro e l’approccio creativo del Bel Paese, ma in questa parte della Germania vi garantisco, come sanno i beer lover più smaliziati, che le cose funzionano diversamente. Quindi godiamoci questa parentesi di fantasia, seduti a uno dei tavoli in legno della locanda, magari con un bella ruota di formaggi locali o un sostanzioso piatto di Käsespätzle o di squisiti Canederli di fegato.
Tra le ben 17 birre in carta, le mie preferite sono la super classica Mariahilfer Vollbier, una Helles di buona beva, la Schwarze Madonna, stout succosa da 5.5% vol. e la ricca Mariahilfer Mariator Weizenbock. Molto interessanti anche la calda e complessa Maria-Hilfer Eisbock (10,6 % vol.) e la fresca e croccante Mariahilfer Keller-Pils (4,6% vol.), disponibile anche in versione fresh hop, con Hallertau. Bisogna precisare che comprensibilmente molte etichette sono stagionali e sul sito del birrificio trovate il calendario delle produzioni suddiviso per mesi.
Ed eccoci alla tappa che tutti aspettavano, quella iconica, da cartolina avremmo detto un tempo. La “location da selfie” bavarese per antonomasia, insomma: i Castelli di Ludovico II, primo tra tutti il celebre Neuschwanstein, magnificato perfino dalla Disney, che si è ispirata proprio a questa dimora ottocentesca per la sua iconografia fiabesca.
Il Parco dista una ventina di minuti di guida da Kössel Bräu, prendendo la B310 che costeggia il Forggensee, lago suggestivo perfetto per una sosta romantica a tratti piacevolmente malinconica (a parte in estate che è delirante per via delle moltitudini di turisti). Una volta arrivati considerate la spesa, praticamente obbligatoria, per il parcheggio (8€ di forfait giornaliero) e per la visita al castelli, quello di Neuschwanstein costa 13€ per 45 minuti.
Ogni struttura ha un biglietto a sé, ma sono previste scontistiche per gruppi e abbonamenti cumulativi per l’ingresso ai vari siti. In generale il luogo è davvero notevole e il suo fascino va ben oltre gli edifici storici. Consiglio di prevedere una giornata intera per esplorare il Parco. Il circuito ad anello attorno all’Alpsee, da percorrere a piedi o in bicicletta merita di per sé, ma ancor più bella è la rete di sentieri sulle montagne circostanti, adatti tanto a famiglie e coppie in relax, quanto ai trekker più esigenti, con tanto di rifugi e punti di ristoro.
Una buona idea è ad esempio quella di salire in funivia al vicino Tegelberg (1881 metri s.l.m.) e raggiungere il panoramico Königsrunde o la cima del Branderschrofen, da cui si gode una vista spettacolare sui castelli e l’altopiano sottostante. Come si intuisce dalla mia velata partigianeria, più che gli interni dei manieri, per quanto interessanti, a mio avviso qui è il contesto ad essere protagonista e lo si intende ancor di più scavando un poco nel nome stesso di Neuschwanstein, che significa “Nuova pietra del Cigno”, o “Nuova roccaforte del Cigno”.
Il riferimento è dovuto alla sua costruzione nel territorio di Schwangau, la Contea del Cigno, avvenuta sui resti di altre fortificazioni di epoca medievale. Lo si raggiunge con una comoda strada servita da carrozze e bus navetta, ma percorribile anche a piedi in un’oretta di dolce salita. La vista che si incontra, soprattutto nell’ultimo tratto spazia dai laghi alle vette alpine, compreso lo spettacolare Zugspitze, cima più alta della Baviera, con i suoi 2.962 metri. Decisamente una location ben scelta.
In realtà l’idea era venuta al padre di Ludwig che nel 1832 comprò le rovine dell’antico Castello di Schwanstein per costruirvi sopra il suo Hohenschwangau, vicino al quale, ma più in alto e in posizione più teatralmente drammatica, il figlio fece costruire la sua dimora, terminata nel 1886. Il castello nel suo complesso si estende per 6.000 metri quadrati, articolati su quattro piani e numerose torri, alte anche 80 metri. Ci sono voluti circa vent’anni di lavoro, centinaia di operai e decine di incidenti mortali per portare a termine la costruzione. Un’opera notevole da ogni punto vista, anche il più disdicevole. Nota di colore: il Parco pullula di gift shop, ristoranti, hotel e chi più ne ha più ne metta. Ecco, rifuggitene.
Una volta terminata la visita, rimontante in macchina o inforcate la bici, perché ho una proposta più interessante da farvi, del solito panino per turisti: che ne dite di concludere il nostro giro in un bel brewpub a due passi dai Castelli? Il luogo in questione, situato sulla statale B17 è lo Schlossbrauhaus, birrificio artigianale di paese, legato a doppio filo con la comunità di Schwangau che oltre al pub, con impianto a vista, conta un bel ristorante specializzato in cucina locale, prevalentemente di carne, un hotel nel centro storico del borgo e una distilleria.
All’interno del brewpub ci sono anche un teatro per spettacoli e concerti, che alla bisogna diventa una seconda grande sala da pranzo e perfino il Bowling. Il cibo è buono e sostanzioso, con qualche tocco gourmet e alcune ricette rivisitate e birra soddisfacente. Molto buona la Festbier (stagionale da 5.6% alc.). Godibilissime anche la Helles (4.8% vol.) e la Weizen. Ma quel che più colpisce qui è l’atmosfera, la quiete, l’aria e poi bere una birra seduti in giardino nei giorni di sole, davanti ai castelli e alle montagne, non ha prezzo.
Dunque quale miglior modo di salutarci, amici birrovaghi, se non quello di ricordare al termine del nostro viaggio, le parole del filosofo Immanuel Kant, che in una frase semplice e potente ha riassunto il desiderio umano più grande, quello di vivere con il cielo stellato sopra di sé e nel cuore la legge morale. Un desiderio altissimo che tuttavia davanti a tanta bellezza oggi, forse, per un istante appena, diventa possibile.