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Come maltare in casa in maniera semplice ed economica

La produzione casalinga di birra prende spesso derive curiose. Se inizialmente ci si limita a brassare partendo da semplici kit, ben presto la passione sconfina in ambiti limitrofi del fai-da-te. C’è chi finisce ad autocostruirsi l’attrezzatura di produzione, mettendo insieme veri e propri sistemi automatizzati in grado di gestire passaggi delicati come l’ammostamento o la fermentazione. Ma perché non autoprodursi anche gli ingredienti come luppolo o malto d’orzo? Qualcuno potrebbe giustamente pensare che non ne valga la pena, specialmente nel caso dell’orzo, la cui coltivazione e raccolta sono processi piuttosto complessi e onerosi. Ma la curiosità e la voglia di conoscenza spingono molti homebrewer a sfidare i propri limiti. Se è piuttosto comune imbattersi in coltivatori di luppolo, usato come ingrediente fresco nelle aggiunte in aroma, è meno frequente incontrare chi si produce l’orzo nelle produzioni casalinghe. Ma esistono alcuni stoici eroi. Anche perché non è necessario partire dalla coltivazione del cereale: è possibile acquistare la materia prima e operare in casa i passaggi successivi di maltazione, essiccatura e tostatura, producendo in pochi giorni cereali maltati “personalizzati” da impiegare direttamente in produzione, partendo magari da varietà locali con un profilo aromatico particolarmente interessante (orzo ma anche grano, segale, avena e altri cereali). 

Non avendo mai provato a maltare cereali in casa, ho pensato di chiamare Davide Arzarello, meglio noto sul web come Arzaman. Davide è il cervello dietro a SmartPID, un controller elettronico molto versatile progettato per aiutare i birrai casalinghi, ma non solo, nella gestione e nell’automazione di diverse fasi del processo produttivo. Partendo dal cuore del controller Davide è andato oltre, progettando e realizzando una vera e propria malteria casalinga. Grazie a questo macchinario è possibile gestire in modo automatico la maltazione e la tostatura di piccoli lotti di malto, replicando su scala ridotta il processo di produzione industriale che le malterie, poche in Italia, applicano all’orzo appena raccolto. Vediamo quali sono le principali fasi da gestire per convertire l’orzo in malto ma soprattutto quali sono i passaggi maggiormente critici. Davide mi ha dato diverse informazioni interessanti e molti consigli utili.  

Se il processo di maltazione può sembrare a prima vista difficile, nella realtà i passaggi da seguire non sono molti né si rivelano eccessivamente complicati. Con un po’ di dedizione e manualità, l’intero processo è gestibile anche con attrezzatura casalinga. Ovviamente un macchinario automatizzato rende tutte le operazioni più lineari e meno impegnative, ma non è strettamente necessario per la buona riuscita dell’impresa. Prima di entrare nel dettaglio delle singole fasi del processo, è bene sottolineare un aspetto che molti tendono a trascurare quando decidono di maltare l’orzo in casa: la materia prima. Se comprare orzo maltato in piccole quantità (nell’ordine dei chilogrammi) è ormai abbastanza semplice e alla portata di tutti grazie alla diffusione dei negozi online di materiale per l’homebrewing, acquistare orzo non maltato è molto più difficile. Un veloce giro sui principali negozi online rivela subito come l’orzo base non sia disponibile solo in fiocchi o nella forma torrefatta, entrambe non adatte per la maltazione casalinga. A differenza del grano, impiegato diffusamente per la produzione di farine per pane e pizza, l’orzo viene utilizzato per la maggior parte come alimento per gli animali da allevamento oppure per la semina di nuovi raccolti. In questo formato, l’orzo non è purtroppo adatto al consumo alimentare per gli uomini perché viene “conciato” pesantemente, ovvero addizionato di sostanze chimiche per prevenire muffe. Piccole quantità di orzo adatte al consumo alimentare sono acquistabili da produttori locali, spesso localizzati in cascine rurali, ma il reperimento della materia prima non è affatto semplice. Per questa ragione molti homebrewer mettono alla prova i processi di maltazione sul grano, più facilmente reperibile. Terminata questa dovuta e importante premessa, andiamo al processo vero e proprio.  

Per maltare 5 Kg di grano non serve un’attrezzatura eccessivamente complicata. Ci si può facilmente arrangiare con quello che l’homebrewer medio ha già in casa: un contenitore di plastica per le fasi umide (una vaschetta, un fustino, ma anche un vecchio fermentatore va benissimo) e il forno ventilato di casa per le fasi di essiccatura e tostatura. In piena estate la prima parte dell’essiccatura si può anche effettuare al sole. Un essiccatore sarebbe più indicato per le fasi più delicate (quelle gestite a temperature più basse), ma è improbabile che in casa se ne abbia a disposizione uno con una capienza sufficiente. Se ne trovano comunque facilmente di buoni a costi non elevati. Vediamo quali sono i principali passaggi da seguire.

Ammollo. Questa prima fase serve per far assorbire acqua ai chicchi di cereale. Il tasso di umidità interno va portato intorno al 45%-47%. Considerando che mediamente si parte da chicchi con un tasso di umidità interno pari a circa il 14%, è facile calcolare l’acqua assorbita dai chicchi pesandoli su una qualsiasi bilancia prima e dopo l’ammollo, per verificare di aver raggiunto il giusto livello di assorbimento. I chicchi vanno ammollati in acqua, rimescolati e ossigenati per evitare di creare un ambiente umido anaerobico che favorisce la proliferazione di muffe e altri microrganismi. L’ossigenazione si può praticare manualmente mescolando i chicchi immersi nell’acqua di tanto in tanto, oppure usare una semplice pompa da acquario collegata a una pietra porosa immersa nell’acqua per insufflare aria senza soluzione di continuità. In genere un singolo ciclo di immersione dura tra le 4 e le 8 ore. I cicli di ammollo devono essere ripetuti due/tre volte al giorno cambiando l’acqua, alternandoli a fasi di aria in cui i chicchi vengono esposti all’aria per qualche ora. Mediamente l’umidità dei chicchi arriva ai valori desiderati dopo un paio di giorni, prevedendo più o meno 4 cicli di immersione e areazione al giorno. È importante che la temperatura non salga troppo (idealmente dovrebbe assestarsi intorno ai 16°C) per limitare l’attività microbica. 

Germinazione. Una volta raggiunto il giusto livello di umidità, si stendono i chicchi su una superficie sufficientemente ampia per formare uno strato alto circa 2-3 centimetri per favorire la germinazione, ovvero lo sviluppo delle radichette che in condizioni naturali darebbero poi vita alla spiga del cereale. Il calore generato dalla germinazione può stimolare la crescita di muffe, quindi è meglio continuare a tenere i chicchi in un luogo fresco dove la temperatura non superi idealmente i 16-17°C. È importante mescolare i chicchi 2-3 volte al giorno con le mani per favorire la circolazione di aria. Se la germinazione sta andando bene senza produzione di muffe o interferenza di batteri, dal malto arriverà un aroma di erba tagliata/cetriolo fresco. Puzza di muffa o di stantìo, invece, sono un chiaro indice di attività microbica indesiderata. Il punto critico di questa fase è valutare il momento giusto in cui fermare la germinazione: una crescita sproporzionata della radichetta porterebbe a un consumo eccessivo del contenuto amidaceo del chicco, mentre un arresto precoce renderebbe difficile l’estrazione degli amidi durante la fase di ammostamento. Per capire quando fermarsi è importante tagliare un chicco a metà per controllare l’effettiva lunghezza della radichetta che si estende anche all’interno: quando la radichetta è cresciuta per una lunghezza pari a circa 2/3 rispetto a quella del chicco, la germinazione può considerarsi completata. In alternativa, o per ulteriore conferma, si può mordere il cereale maltato per valutarne morbidezza e friabilità. È importantissimo testare costantemente lo stato di modificazione dei grani per evitare di prolungare troppo la fase di germinazione, che in media dura 2-3 giorni. 

Essiccatura. Per bloccare la germinazione e asciugare i chicchi si applica calore. Questa fase è chiamata essiccatura ed è divisa in diversi passaggi che si possono condurre secondo temperature e tempi diversi. In rete sono disponibili “ricette” specifiche, ma mediamente si procede per step. Si applica prima un calore moderato (intorno ai 35-38°C) fino a ridurre il tasso di umidità dei chicchi intorno al 25% (circa 12-16 ore). Successivamente si alza la temperatura a 45-50°C fino a raggiungere un tasso di umidità interna del chicco intorno al 10% (circa 6-12 ore). Nell’ultimo passaggio si sale ancora con la temperatura (arrivando anche a 75-80°C) fino a raggiungere un tasso di umidità interno del chicco intorno al 4% (3-5 ore) e un lieve livello di tostatura che varia a seconda del malto base che si vuole produrre e della temperatura applicata. È importante procedere per step perché una temperatura iniziale troppo elevata ridurrebbe notevolmente la carica enzimatica dei malti. Temperature e tempi possono essere variati per produrre diverse tipologie di malto base come Pilsner, Pale, Vienna o Monaco. Sempre tramite essiccatura si possono produrre anche malti Caramel come Aromatic e Biscuit, caratterizzati da uno spettro organolettico dominato dalle reazioni di Maillard e da aromi di pane (crosta di pane, cracker, pretzel). In questo caso la gestione di umidità e calore è piuttosto complicata e non facilmente controllabile con il forno di casa. Nella malterie l’essiccatura viene praticata nei “kiln”, enormi stanze riscaldate dove il malto viene tenuto a terra e mescolato da grandi braccia meccaniche. 

Tostatura. Con la tostatura si raggiungono temperature più elevate per tempi variabili, producendo un ampio range di tipologie di malto. Questa fase nelle malterie avviene nel cosiddetto “roasting drum”, un tamburo rotante in grado di portare i chicchi a temperature alte mescolandoli continuamente. Temperature e step sono vari e spesso queste ricette vengono gelosamente custodite dai vari produttori. Il processo varia a seconda del malto che si vuole produrre. La tostatura dei malti Crystal è piuttosto complicata perché passa per una fase simile a un ammostamento: i chicchi, ancora con un alto tasso di umidità interna, vengono portati nel roasting drum e mantenuti a temperatura intorno ai 70°C con un tasso costante di umidità interna. Questo favorisce il lavoro degli enzimi che convertono gli amidi custoditi all’interno del chicco in zuccheri semplici. Al termine di questa fase (che dura circa un’ora) la temperatura viene alzata per favorire la cristallizzazione degli zuccheri. Si ottengono così malti crystal a diversa tostatura con un profilo aromatico tendente al caramello e al toffee. Aumentando ulteriormente la temperatura si producono malti molto tostati come Chocolate e Black. Tutti i malti tostati non hanno enzimi residui per via delle alte temperature a cui vengono sottoposti dopo la fase di conversione degli amidi in zuccheri semplici. La tostatura del malto può essere fatta in forno (in essiccatore non si riesce) ma è molto difficile (e sconsigliato a livello casalingo) produrre malti crystal per via del delicato processo di conversione degli amidi in zuccheri. È tuttavia possibile produrre malti tipo Brown o Chocolate partendo da una base di malto Pale, anche se quando si alza molto la temperatura si rischia l’autocombustione del chicco nel forno.  

Il macchinario progettato e sviluppato da Davide Arzarello utilizza proprio il principio del tamburo rotante per gestire i passaggi di maltazione, essiccatura e tostatura. Durante la fase di ammollo e germinazione, una serie di valvole favorisce l’ingresso e l’uscita dell’acqua mentre i chicchi vengono continuamente mescolati e insufflati con aria. Per la tostatura si sposta il tamburo rotante in un’altra scatola che funziona da forno, alimentata da resistenze elettriche. Il tutto è programmabile tramite controller con apposito software per seguire determinati step di temperatura. Il macchinario è dotato anche di un ingresso per una eventuale affumicatura. Una malteria casalinga pensata per batch fino a 20 Kg. 

Un commento

  1. Mi sembra giusto sottolineare alcune cose: l’orzo destinato all’alimentazione zootecnica non viene “conciato”, in quanto è assolutamente (e giustamente) proibito alimentare gli animali con materie prime non rispondenti ai parametri igienico-sanitari (residui di antiparassitari, aflatossine, ecc,, solo per fare alcuni esempi) dettati dalla normativa vigente.
    Un problema che si potrebbe incontrare rifornendosi direttamente da chi coltiva orzo può essere un altro: un agricoltore quando coltiva orzo spesso lo destina poi, appunto, all’alimentazione animale e le caratteristiche qualitative dell’orzo cosiddetto “zootecnico” sono in completa antitesi con quelle dell’orzo da birra.
    Infatti nell’orzo zootecnico si ricerca una elevata quantità di proteine, in modo che l’alimento sia nutriente per gli animali, e questo risultato si ottiene con adeguate concimazioni azotate che favoriscono l’accumulo di proteine nelle cariossidi.
    Al contrario, nell’orzo da birra la quantità di proteine deve essere minima, in quanto un eccesso proteico influisce negativamente sull’andamento della fermentazione (ciò accade anche nel vino, dove la concimazione azotata della vite deve essere calcolata alla perfezione proprio per non avere troppe proteine nell’uva).
    Quindi l’orzo da birra deve essere coltivato con agrotecniche diverse rispetto all’orzo zootecnico, con particolare attenzione alla quantità di azoto somministrata in fase di coltivazione (che nell’orzo da birra è nettamente inferiore a quella per l’orzo zootecnico).