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Caccia al tesoro: scavare nel passato alla ricerca di birre perdute

La storia della birra accompagna quella dell’uomo da sempre, si modella sui cambiamenti, si plasma secondo i suoi bisogni, si adegua ai tempi. La creatività moderna è senza dubbio frutto della voglia, in un mondo ormai globalizzato, di ripartire dalle origini e da quanto di curioso e interessante si è lasciato indietro nel corso dei secoli passati, riproponendolo e calandolo nel presente.

Forse fu proprio questo sentimento, tra storia e futuro, che spinse Fritz Maytag di Anchor Brewing a produrre nel 1975 la Liberty Ale, progenitrice di APA e IPA: rivisitando le leggere e luppolate ale inglesi, che stavano minacciosamente arretrando anche sul suolo d’origine, tirò fuori una birra all’epoca follemente luppolata con Cascade  e con il nuovo (anzi, vecchio) metodo del dry hopping su una pale ale di grande semplicità, indicando così la direzione della rinascita allo scenario americano fino ad allora dominato da popolari Lager commerciali di bassa fattura.

Il piacere della riscoperta di uno stile è qualcosa di viscerale che sprona il birraio curioso a domandarsi che gusto possa avere una birra le cui fattezze possono solo essere raccontate o raffigurate. Probabilmente fu proprio quella la molla che scatenò la ricerca di Lothar Goldhahn, publican di Lipsia, il quale rintracciando un ex dipendente della Friedrich Wurzler Brauerei, uno degli ultimi siti produttivi di Gose in Sassonia, e combinando conoscenze tecniche con informazioni storiche, ridiede vita a uno degli stili birrari più caratteristici dell’intera tradizione tedesca, adesso rivisitato sempre più anche in modalità non convenzionali.

Oggi è relativamente facile recuperare informazioni: c’è il web, la possibilità di interagire in tempo reale e di condividere preziose informazioni; per questo sono ancor più degni di menzione quei personaggi che hanno ridato linfa ad alcuni stili perduti credendoci fortemente e andando avanti soltanto con le proprie forze. Uno di questi fu senza dubbio Pierre Celis: dopo che nel 1954 chiuse l’ultimo birrificio che produceva Blanche in Belgio, avviò la produzione della sua Hoegaarden nel 1966 fino a farla diventare il riferimento univoco per tutte le Blanche del mondo.

Le tradizioni possono perdersi per moltissimo tempo oppure risalire in superficie dopo poco, dipende molto dal loro potenziale, da una serie di fattori ambientali o semplicemente da una combinazione fortuita di avvenimenti. Piuttosto c’è da chiedersi perché certe volte si perdono, anche se spesso le motivazioni sono un mix di cambiamenti socio-culturali, difficili da individuare. Una delle cause che opera una forte selezione è probabilmente di carattere economico e commerciale: stili britannici come Burton Ale e Imperial Stout, apprezzatissimi in Russia, sono stati massacrati da tassazioni penalizzanti, fino a scomparire come birre di esportazione ed evolvendosi in tipologie più aderenti ai gusti dei consumatori inglesi. E poi le guerre, che, oltre a distruzione e morte, hanno causato cambiamenti di equilibri e di disponibilità di materie prime.

Dopo il secondo conflitto mondiale in Belgio sono andate quasi perse tipologie come le Bière de Garde, che hanno faticato tantissimo per non soccombere definitivamente. In qualche caso non sono serviti grandi cambiamenti o novità per determinare un’estinzione, ma al contrario una sorta di immobilismo, dovuto a congiunture storiche o posizioni geografiche. Birre come le Rauchbier, ormai rilanciate sulla scena mondiale, non avrebbero potuto resistere come tali se non avessero goduto della placida tranquillità della zona rurale attorno a Bamberga, di certo non l’unico luogo dove in passato, prima dei progressi industriali, maltare l’orzo aveva come effetto collaterale la sua affumicatura. Ancor più lampante è il caso della tradizione scandinava, isolata dalla modernità, ma di recente balzata agli onori delle cronache birrarie per essere una miniera di stili ancestrali e insoliti, caratterizzati da lieviti detti Kveik.

Il concetto del viaggio nel tempo alla ricerca di birre in via di estinzione porta con sé un grande dilemma: fino a un paio di secoli fa le birre erano tutte affumicate e acide? È un interrogativo che non porta a risposte nette, perché, nonostante tutte le ricerche possibili, nessuno in passato ha lasciato dettagliate tracce degustative. In realtà bisogna usare un certo realismo: quando attualizziamo certe tipologie, stiamo anche sottovalutando gli enormi progressi tecnologici del nostro presente, la cui mancanza in passato comportava necessariamente che le birre fossero molto contaminate, con bassa shelf life e bevute poco consapevolmente. Tra l’altro non è neppure detto che uno stile capace di attraversare la storia sia rimasto tale e quale a sé stesso, anzi è molto probabile il contrario, come del resto è accaduto per Saison, Porter, Stout. Più che chiedersi cosa fosse una birra in passato, bisogna domandarci quando aveva determinate caratteristiche: solo così si pongono le basi per conoscerle, apprezzarle e riportarle al posto che meritano. Il sottosuolo della storia birraria è ricchissimo di giacimenti stilistici che affiorano appena, fondamentale è ripulire questi reperti e portarli al loro splendore.