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Hall of Fame. Capitolo XIV. La Hoegaarden Bière Blanche

Un prodotto prettamente industriale nella nostra Hall of Fame? Ebbene sì, giungendo al capitolo riguardante le Bière Blanche, come non riconoscere il titolo di capostipite moderna della tipologia alla Hoegaarden? Peraltro, come tutti gli appassionati ben sanno, si tratta di un marchio la cui parabola esistenziale solo in una fase avanzata del proprio tragitto è finita nell’orbita di un grande gruppo multinazionale (oggi nel pacchetto di AbInBev), mentre all’inizio, per un lungo periodo (un ventennio, in sostanza) aveva avuto caratteri tipicamente micro-imprenditoriali. E dunque, accingiamoci a incoronare l’etichetta simbolo delle Witbier, documentando i tratti salienti della sua storia.

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Una storia che inizia nel 1966, quando nell’omonimo comune (poco più di 6mila abitanti) del Brabante Fiammingo, l’ex lattaio Pierre_Celis rileva quella che era stato l’ultimo birrificio vocato alle bianche. Per la comunità locale si era trattato di un duro colpo: quel villaggio, in un passato neanche così remoto, aveva per molto tempo detenuto il ruolo di capitale della tipologia. Sorto attorno a un monastero stabilitosi nell’area durante il XV secolo, era divenuto successivamente una sorta di polo di condensazione delle esperienze condotte nella regione in ordine al brassaggio di ricette al frumento, fino a ospitare, nell’Ottocento, ben 13 impianti del genere. Fu questo l’apice di un percorso pluri-centenario nell’arco del quale quel territorio aveva coltivato e massimamente valorizzato le proprie inclinazioni e le proprie peculiarità alimentari. Qui – dove la Bière Blanche era attestata, in ambito claustrale, fin dal Trecento – non solo si erano da sempre utilizzati, per la miscela secca, tutti i cereali disponibili in loco (orzo, avena e, appunto, grano); ma si era anche continuato a produrre secondo il canone del gruyt, utilizzando cioè un mix di erbe e spezie (in affinità a ciò che accadeva nel vicino Hainaut con le Saison): un mix preferito al luppolo anche dopo l’avvento di quest’ultimo nella filiera produttiva.

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In particolare – quali che fossero state in precedenza le essenze botaniche impiegate in bollitura (originariamente è molto probabile ci fosse anche un concorso di batteri lattici) – da un certo punto in poi il disciplinare di preparazione delle Witbier consacrò il tandem formato da coriandolo (i cui semi  nel bacino mediterraneo erano conosciuti e usati, sia in cucina sia in medicina, già nell’antichità) e buccia d’arancia amara, quest’ultimo un apporto esotico evidentemente legato all’espansione coloniale del Paesi Bassi, di cui il Belgio stesso faceva parte. In particolare le scorze adottate erano infatti quelle della varietà laraha provenienti da Curaçao, occupata dagli olandesi nel 1634 e ancor oggi, insieme ad altre due isole caraibiche (Aruba e Bonaire), tra le Nazioni costitutive del Regno orange.

Ebbene, dopo i fasti del XIX secolo, il filone delle bianche a Hoegaarden si era esaurito rapidamente (il Novecento è l’era della massificazione e della diluviale avanzata delle Lager), fino a estinguersi, letteralmente, in quel fatidico 1957. La cittadinanza però reagì, decise di organizzare un salvataggio della propria tipologia identitaria e ad assumere la guida dell’operazione fu appunto Pierre Celis, un lattaio come detto, che aveva frequentato il birrificio dismesso (dando, di tanto in tanto, anche una mano in sala cottura) e che, nel 1966, ne rilevò l’eredità, sotto le insegne di un nuovo brand, battezzato De Kluis. Gli affari andarono bene, e nel 1980, per allargare i propri spazi, acquisì la Hougardia (ex manifattura di limonate), dando luogo a una fase di ulteriore espansione.

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Poi, nel 1985, l’incendio allo stabilimento che lo costrinse a chiedere appoggio (nella forma di un prestito) a Interbrew (il gruppo industriale dal quale, nel corso degli anni, avrebbe preso vita l’attuale mastodonte globale AB InBev. Un abbraccio soffocante dal quale Celis decise di divincolarsi cedendo in toto ai suoi “sostenitori” l’attività (era il 1988), per fondarne qualche anno dopo, nel 1992, una nuova, a Austin (Texas), con il nome di Celis Brewery. Sotto le insegne del nuovi proprietari la Hoegaarden è divenuta un best seller planetario, anche se, inevitabilmente, perdendo la sua anima primigenia e il suo fascino romantico d’un tempo.