Dai e dai, AB InBev ce l’ha fatta: e ha inglobato Sab Miller. Per la serie Alla fine ne resterà uno solo, il massimo colosso globale della birra ha assorbito il principale rivale, dando vita a un mega raggruppamento che, da solo, vale un terzo del mercato del pianeta. E’ il punto d’approdo – forse non conclusivo: restano in piedi competitors come Heineken e Tuborg Carslberg (e fossimo nei panni dei rispettivi CdA, inizieremmo a guardarci le spalle) – di un processo di concentrazione mai visto prima nel mondo brassicolo.
E’ Il culmine di una storia che potrebbe essere raccontata così. C’erano una volta sette aziende produttrici di chiare, ambrate e scure: la belga Interbrew, la brasiliana AmBev; le statunitensi Anhauser-Busch, Coors e Miller (la terza di proprietà della Altria Company, ex Philip Morris); la canadese Molson e l’anglo-sudafricana Sab. Nel 1999 quest’ultima rileva la Miller, mettendo a segno una prima operazione di grossa portata: il nome del nuovo soggetto è SabMiller, che, nel 2007, compie un’altra mossa di rilievo, dando luogo a una joint venture con Molson Coors, cartello nato, nel frattempo (era il 2005), dalla fusione dei due gruppi nordamericani (appunto Molson e Coors). La maxi-unione genera un colosso battezzato MillerCoors, la cui potenza rappresenta una minaccia pressante per i giganti antagonisti. Che infatti non restano a guardare. Già nel 2004 Interbrew e AmBev si erano a loro volta fuse nella InBev; la quale, nel 2008, vola a nozze con Anheuser-Busch, inaugurando una nuova grande famiglia, AB InBev, maggior potenza birraria mondiale e intenzionata a ridurre al minimo la concorrenza. Avvia così un corteggiamento (si fa per dire) sempre più pressante su SabMiller; quest’ultima si difende a lungo, anche (senza successo) avanzando una proposta d’acquisto a Heineken: ma, alla fine, il nemico sfonda le linee e vince quello che è stato un vero e proprio braccio di ferro fra titani.
Il successo della scalata poggia su un’offerta che vale tra i 104 e i 107 miliardi di dollari: il nuovo macro-trust è accreditato di una stazza pari – come accennato – a circa il 31% del mercato globale (circa 700 milioni di ettolitri l’anno). Alle sue spalle, l’inseguitrice più vicina (di nuovo: si fa per dire) è la già citata Heineken, con il 9% (per 110 milioni di ettolitri). Com’era logico (automatico) attendersi, la manovra è finita mirino dell’Antitrust e del Dipartimento della giustizia americani. In primis, per la propria consistenza specifica in sé: è quasi certo – in tal senso – che la neo supercorazzata dovrà sganciare la scialuppa della partecipazione azionaria di Sab Miller in MillerCoors (la quota sarebbe probabilmente rilevata dalla stessa Molson Coors, avviata così verso un ritorno all’autonomia integrale). Ma i movimenti di AB InBev sono già tenuti d’occhio anche per altri motivi, in particolare per le recenti acquisizioni di diverse società distributrici di rilievo internazionale; acquisizioni che violerebbero le regole sulla concorrenza, rendendo più difficile per i suoi competitori portare i rispettivi marchi sugli scaffali (ma va’?).
In questo contesto, infine, da non trascurare la voracità con cui il ciclope belga-brasiliano, già prima di papparsi SabMiller (una galassia contenente decine di marchi, tra cui, dal 2005, la nostra Peroni), abbia con voracità – questo l’altro fronte caldo: l’offensiva contro il segmento artigianale – ingoiato fior di craft brewery sullo scenario statunitense. Negli ultimi mesi sono finiti sotto il controllo di AB InBev, nell’ordine, ben cinque ex microlabels: Goose Island (Chicago), Blue Point (Patchogue, New York), 10 Barrel (Bend, Oregon), Elysian Brewing (Seattle, Washingfton) e, giusto qualche settimana fa, Golden Road (Los Angeles, California).