Hall of Fame. Capitolo XXII. Anchor Liberty Ale
Così come può considerarsi matriarca delle American Pale Ale un prodotto, la Sierra Nevada, che in realtà APA non si è mai chiamata (ha infatti anticipato, creandone le basi, la registrazione ufficiale dello stile), allo stesso modo – in virtù di un curioso destino parallelo di due tipologie parenti e oggi quasi parimenti in auge – può essere assunta nel ruolo di pioniera del filone American Ipa una birra che mai si è presentata con tale qualifica. Ma che nonostante ciò è considerata diffusamente come la precorritrice di quel genere brassicolo. Parliamo della Liberty Ale, referenza tra quelle storicamente di punta nella gamma della Anchor di San Francisco e lanciata nel 1975 come etichetta celebrativa.
La messa in commercio avvenne infatti il 18 aprile, quando ricorrevano i 200 anni esatti dalla cavalcata del patriota Paul Revere: la sua galoppata da Boston a Lexington, per dare l’allarme circa l’imminente arrivo dell’esercito inglese, fu la scintilla che dette inizio alla guerra d’indipendenza, passaggio fondativo dei liberi (appunto, e da qui il nome della birra) Stati Uniti. Risorgimentale (passateci il termine) nel suo stesso concepimento, la ricetta – primo tratto inedito – previde l’uso massiccio di Cascade, portabandiera dei luppoli a stelle e strisce; gettato per giunta in dry hopping (secondo primato); e senza alcun apporto di altri cultivar ovvero in formula monovarietale (terzo primato). Per questo, sebbene con grande onestà lo staff di Anchor dichiari come non ci fosse, allora, alcun intento di varare una versione Usa delle Ipa inglesi, l’esordio della Liberty rappresentò di fatto il punto d’avvio di quel percorso che, giunto a opportuna maturazione, avrebbe generato la categoria delle AIPA.
Quanto al fatto che poi oggi – come ancora una volta la stessa Anchor riconosce – sia legittimo discutere attorno alla domanda se si tratti (alla luce dei disciplinari correnti) di una American India Pale Ale o piuttosto di una Apa, ciò non modifica quei dati incontrovertibili in base ai quali la protagonista di questo approfondimento può essere investita del titolo di fondatrice della tipologia alla quale la colleghiamo: al momento dell’entrata in scena esibiva aromi connotativi e territoriali, con un respiro olfattivo tambureggiante e con una quantità d’amaro (47 IBU) mostruosa per gli standard del tempo. Ribadiamo: la casa produttrice non la progettò come IPA né con questa sigla mai l’ha veicolata o tantomeno confezionata. Ma d’altra parte fa riflettere come, in 40 anni, dagli stabilimenti di San Francisco non sia neanche mai uscita nessun’altra birra recante tale dicitura: un’assenza cui si è posto fine solo nel 2015, con il debutto della Go West.