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Beer Tour in Valle d’Aosta

Da quando mi sono appassionato ai romanzi di Antonio Manzini, ho cominciato a vedere Aosta sotto una luce diversa. Col fascino del chiaroscuro e l’eco di una memoria lontana. In realtà ho sempre amato questa perla delle Alpi, città di frontiera, soldatessa per dovere e madre per vocazione. Fin dal nostro primo incontro, una decina di anni fa. Aosta romana, antica Augusta Praetoria Salassorum con il suo teatro, le sue strade che ancora si intrecciano con gli archi, l’imponente Porta Pretoria e il benvenuto dell’Arco di Augusto a due passi dal corso; coi suoi negozi, le osterie, la sua fiera delle vanità, quasi senza peccato. E poi la mano Sabauda che ritrovi nei balconcini delle case e nella grande Piazza Émile Chanoux, su cui si affacciano i palazzi del potere moderno. Subito dietro si trova discreta una scuoletta, che fu prima caserma e che un tempo portava in dote le facce serie, quasi compunte dei militari del Regno. La parola e la spada, una di fianco all’altra. Tipico dei Savoia, dopotutto.

Bene cari birrovaghi, stavolta vi porto in Vallè, come era facile intuire da queste prime mie righe. Negli ultimi anni il movimento birrario valdostano ha attraversato un periodo di assestamento, modesta crescita e soprattutto radicamento sul territorio. In termini assoluti i produttori artigianali presenti in questa piccola regione di confine sono pochi, tre birrifici e due brew pub, cui si aggiungono alcune beer firm sparse per le valli, in qualche caso anche con interessanti progetti agricoli che magari un giorno, potrebbero dare dei frutti. Intanto le due cose da segnalare sono la tendenza, comune peraltro a molti territori italiani, a dotarsi di un punto mescita interno o prossimo al birrificio (se non di configurarsi come veri e propri brew pub) e la dimensione pressoché esclusivamente locale della distribuzione. In altri termini chi fa birra in Valle D’Aosta ha scelto di legarsi a doppio filo con la propria regione e di non uscire, con eccezione per Les Bières du Grand St. Bernard, che può contare su una distribuzione decisamente più ampia. Essere piccoli e molto localizzati non è di per sé né un bene né un male, dipende dal progetto di impresa che si vuole costruire. Ma non mi stancherò mai di ripetere quanto sia importante oggi giorno, che i microbirrifici si aprano al confronto, alla curiosità e alla scoperta di quanto accade per le strade del mondo, fuori dalla loro comfort zone, che può rischiare di diventare fuorviante nella percezione della propria condizione complessiva e naturalmente della linea delle birre.

Detto tutto ciò è il momento di assaggiare qualcosa e siccome abbiamo iniziato il nostro racconto dal capoluogo di Regione, restiamo a goderci il centro storico di Aosta e per la precisione, quell’area dove recentemente è stato scoperto e sapientemente ristrutturato quello che fu il Foro Romano. Il Foro era il cuore pulsante della città. Un centro commerciale ma anche amministrativo e religioso, dove tutte le genti autoctone o meno, transitando attraverso le grandi vie cittadine, il Decumano maximo e il Cardo, qui arrivavano per poi proseguire verso le porte urbiche, in direzione dei grandi valichi alpini. Il Foro di Aosta inoltre racchiude, per così dire, un segreto: un Criptoportico molto suggestivo, posto alcuni metri sotto il livello del calpestio attuale (in epoca romana il “pavimento” della città era circa 3 metri più in basso). Considerate un’oretta per l’intera visita, che si può fare tutto l’anno. Proprio a latere del sito archeologico, in Piazza Severino Caveri, si trova uno dei primi brewpub del territorio, aperto nel 2010, il B63. Locale urban fusion bello e ampio, con menu ricco e centrato su piatti e prodotti locali ad affiancare un sostanzioso classico pub grub. L’affaccio sul Foro non ha prezzo. Molte le referenze alla spina, in parte disponibili anche in bottiglia da asporto. Provate la Jazz, una dunkel weizen corretta da 5.5% vol.. Semplice e beverina la Swing, lager da 5.7% vol., piacevolmente fresca. Più ricca di corpo e struttura la Rock, una strong lager da 7.3% vol., che ben si accompagna a formaggi e carne cruda. Infine calda e speziata, con note di caffè e liquirizia, la Soul, schwarzbier da 6.0% vol., che si fa apprezzare con salumi, anche affumicati, carni rosse e biscotteria secca.

Lasciamo ora il cuore di Aosta, ma restiamo in zona, facendo tappa nel periferico abitato di Saint-Christophe e più precisamente in Loc. Grande Charriere, 15 dove ha sede il capostipite dei birrifici locali, il Birrificio Aosta. Qui nel 2009, due passionari della birra hanno avviato un progetto che, dieci anni dopo, si mostra più vivo e vigoroso che mai. Il team del birrificio è composto oggi da Domenico Cavallaro, Fulvio Beata, l’head brewer fin quasi dagli esordi e Mark Mowlazadeh. Nel 2018 la grande novità con l’apertura di “Al Birrificio”, un brew pub adiacente alla produzione, che rappresenta una vero concept birrario, innovativo per la Valle D’Aosta. Un grande locale con dieci spine, dove bere le birre della casa e quelle dei birrifici ospiti a rotazione, abbinate ad una buona offerta gastronomica. Ma anche un beershop con molte etichette artigianali italiane e non, oltre ad uno spazio eventi con un calendario in costante aggiornamento che prevede numerose tap takeover, corsi di degustazione, workshop per operatori Horeca e seminari dedicati agli homebrewer. Davvero niente male. Sul fronte più prettamente birrario, va detto che questo microbirrificio da sempre dedica molta attenzione alle produzioni conto terzi, senza tuttavia trascurare una propria valida gamma. Tra le etichette a marchio Aosta, cito sempre con piacere la ricca e gustosa Excalibeer, una strong belgian Ale da 7.4% vol.. Da provare anche l’American IPA, la Porter e la Monblanche, una blanche con utilizzo di malto pilsner e segale al posto del frumento. Fresca e godibile la Golden Ale.

Terminata l’esplorazione in quel di Aosta, è il momento di far rotta verso il borgo di Gignod, sulla strada che conduce fino al Colle del Gran San Bernardo, dove ha sede il terzo birrificio del nostro birrovagare in Vallée. Sto parlando de Les Bières du Grand St. Bernard, birrificio nato nell’ormai lontano 2010 ad Etroubles (una decina di chilometri più avanti rispetto alla sede attuale) in un piccolo laboratorio di 300 mq, grazie all’impegno di Rémy Charbonnier, ex ingegnere, e Stefano Collé che per l’occasione ha messo da parte la sua professione di maestro di sci. A luglio del primo anno di attività, parte la vendita delle prime birre: Napea, Balance e Amy che ancora oggi sono le etichette di punta del birrificio, in quanto a vendite. Nel 2017 il birrificio cambia location, trasferendosi nella sede attuale, un sito di 4.000 mq tra produzione e uffici, che permette la sistemazione di un impianto da 35 ettolitri e una cantina da 88 ettolitri. Una marcia in più che si rivela determinante per il birrificio il quale, pur scegliendo di non dotarsi di una tap room, vede crescere produzione e distribuzione delle proprie birre, con altre due novità nel 2018: l’arrivo di una inlattinatrice e la decisione di aprirsi al mercato del gluten free con una bassa fermentazione. Ma non è tutto: circa sei mesi fa, a fine 2018, Les Bières si dota di un laboratorio interno, con un tecnico dedicato, che si occupa delle analisi sulla birra pre e post confezionamento. Concludo consigliandovi la mia birra preferita, che non sarà la più venduta, ma di certo è a mio avviso tra quelle più identitarie. Sto parlando di quel piccolo gioiellino che è la GNP, una tripel prodotta con aggiunta dell’erba alpina Artemisia Genipi, usata però con misura e consapevolezza, riuscendo ad ottenere una birra ben equilibrata, dal naso intrigante e di beva calda e avvolgente.

E dopo una bella degustazione cosa c’è di meglio di un full immersion nella natura incontaminata di queste montagne? Approfittate delle bellezze facilmente accessibili dell’Area Naturalistica del Colle del Gran San Bernardo, godetevi i sentieri, i belvedere e magari provate a percorrere un tratto della Via Francigena, che proprio qui, attraverso questo meraviglioso valico, entra in Italia per dirigersi fino a Roma. Una volta rigenerati e un poco storditi da cotanta bellezza è il momento di rimetterci in marcia per ridiscendere a valle e attraversare a ritroso buona parte della Valle D’Aosta (ma tranquilli qui le distanze sono brevi e non impiegheremo più di un’ora e mezza di auto) fino a giungere al piccolo e grazioso borgo di Pont Saint Martin, ai piedi della Valle di Gressoney, dominata dall’imponente massiccio del Monte Rosa. La principale e pressoché unica attrazione del paese è lo spettacolare ponte romano di età imperiale da cui, guarda caso, l’abitato prende il nome. Ma per noi, indefessi beerlover a ben vedere c’è di più da indagare in loco: a pochi minuti a piedi, infatti, si trova la sede del piccolo Birrificio Luman, aperto nel 2016, dove Luca e Norman sono impegnati nella produzione di quattro tipologie di birra: due chiare a bassa gradazione La54 e La72, una Weiss e una Stout, la Black. Non è facile reperire questi prodotti, quindi se volete provarli non lasciateveli sfuggire.

Come detto all’inizio di questo nostro viaggio qui, in Valle d’Aosta, oltre alle realtà di cui abbiamo parlato, ci sono molte esperienze ancora in fieri, la cui strada ha bisogno di essere tracciata con chiarezza, ma che potrebbero darci gran belle soddisfazioni in futuro, alimentando un movimento birrario che sicuramente può ancora crescere e continuare a costruire la propria identità. Penso ad esempio al Birrificio Verrezziese a Verres o a quello di Courmayeur.