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Qual è la prima bevanda alcolica bevuta dall’uomo?

birra-storiaD’accordo l’orgoglio di parte per la nostra amatissima bevanda. D’accordo la rivendicazione della sua tradizione millenaria, del suo pregio e delle sue potenzialità. E d’accordo pure qualche alzata di voce contro chi si ostina a trattare con sufficienza la pinta e la sua cultura. Ma occhio a non cadere nell’eccesso contrario, a reclamare cioè primati irragionevoli. Come lo è, da parte di alcuni, affermare che alla birra spetti il titolo di più antico drink alcolico della storia.

A mettere i puntini sulle i, come su tanti altri temi (dimostrando una volta di più la sua grande onestà intellettuale) è nientemeno che uno tra i beer writers più apprezzati, l’inglese Martyn Cornell, il quale, citando una fonte di assoluta autorevolezza quale il volume Fermented food beverages in nutrition (pubblicato nel 1979 a firma di Gastineau, Darby e Turner) supporta una tesi di limpida evidenza logica: la prima bevanda alcolica – nella preistoria della pinta – è stata, con ogni probabilità, un fermentato di succo di frutta o di linfe vegetali.

Quale l’evidenza logica appena citata? Quella poggiante su una semplice constatazione. Differentemente rispetto a drupe, bacche e compagnia o alla linfa stessa, la materia primissima per brassare, i cereali, allo stato naturale, non contengono zuccheri. Per averne, occorre maltare i semi e, dunque, condurre un processo che necessita controllo dei passaggi onde ottenere il risultato voluto. In conclusione, la birra non si produce per circostanze causali; o magari qualche proto-birra può essersi generata anche fortuitamente: ma ciò (ammesso sia accaduto) deve aver richiesto concomitanze particolari per cui un ammollo involontario di grani abbia attraversato quell’incrocio di condizioni (messa in circolo di enzimi, temperature e azione di micro-orgamismi) in virtù delle quali ci sia stato un materiale fermentabile da trasformare.

egitto-birra-grandeIn tal senso, Cornell suggerisce che un elemento da non scartare – anche in Medio Oriente o in Cina (dove recenti studi hanno dimostrato l’esistenza di sale di brassaggio fin dal 5000 a.C. – possa essere stata la consuetudine (attestata ad esempio in America Latina per la preparazione della chica) di masticare semi per renderli più digeribili: il contatto con la saliva e le sue amilasi disgrega infatti gli amidi, operando la cruciale funzione della saccarificazione. Ebbene, al contrario di tutto ciò, la fermentazione spontanea di gocce colate da polpe di frutta, o dallo scorrere di rivoli di linfa, è evenienza non solo frequente, ma del tutto automatica: tanto che nella filiera vinicola, gli acini vengono trasferiti con attenzione dalla vigna in azienda, al fine appunto di non aprire fenditure sulle bucce. Un’ipotesi suffragata da tradizioni esse stesse affondanti le proprie radici nel passato più lontano: dal fadikh arabo (ottenuto da datteri sui quali si versava acqua bollente) al jackfruit wine in India (ingrediente cardine il giaca; dal toddy (vino di palma ricavato dalla sua linfa e diffuso ovunque ne cresca la pianta) al pulque messicano, bevuto a partire da succo di agave.

 

Un commento

  1. Vi siete dimenticati l’idromele, fermentato di acqua e miele utilizzato prima di vino e birra