Nuove birre straniere da Mikkeller, Dupont, Brewdog e altri
Anche novembre chiude l’autunno portando in dote sulla scena internazionale una nutrita cascata di nuove birre. Tra le molte, abbiamo optato per questa selezione, che presentiamo in rapida carrellata.
Dopo la collaborazione con Limdemans per la SpontanBasil, il re dei gipsy brewers, Mikkeller, gioca in doppio con un altro grande nome del panorama belga a fermentazione spontanea; e insieme a Frank Boon firma la Special Boon Oude Geuze-Bone Dry Mikkeller Selection, assemblaggio di un terzetto di Lambic, ciascuno appartenente a una diversa classe d’invecchiamento (di 1, 2 e 3 anni rispettivamente). Una limited edition da 7 gradi alcolici che il marchio di Lembeek distribuisce con la denominazione di Boon Black Label
Sorta di manifesto ideale pro relativismo sessuale, ecco la No Label di Brewdog: il nome (nessuna etichetta) significa esattamente il rifiuto, da parte della birra stessa, di essere incasellata in definizioni rigide. Così, oltre a scegliere – per la sua gestazione in tino – lo stile Kölsch, quindi la via della fermentazione ibdrida, gli scozzesi accentuano la collocazione transgender utilizzando fiori di piante di luppolo che han cambiato spontaneamente identità di genere (da femmina a maschio), poco prima di essere raccolti. Grado alcolico 4.6%; colore dell’etichetta, ovviamente un arcobaleno.
Primizie in arrivo anche da casa Dupont, che recapita sui mercati europeo e statunitense l’edizione 2015 della millesimata Saison Cuvée Dry Hopping. Dando seguito a una linea di discendenza iniziata nel 2010, Olivier Dedeycker, director e brewmaster allo stabilimento di Tourpes, lancia la sestogenita della linea di versioni annuali e iperluppolate della ricetta più classica e rappresentativa nella gamma della brasserie dello Hainaut. In questo caso i coni prescelti per imprimere al prodotto la sua peculiarità sono quelli di Minstrel, una varietà nata in Inghilterra incrociando Cascade e Sovereign, dai toni fruttati, erbacei e speziati. Tasso alcolico 6,5%.
Restiamo in Belgio, con un’altra proposta. A lanciarla è il marchio Palm (Londerzeel), attraverso la sua – diciamo così – divisione craft, quel microbirrificio De Hoorn nel quale ebbe inizio la storia di Palm (nel 1686) e al quale giusto un anno fa o poco più è stata data nuova vita, con l’obiettivo di creare un laboratorio in cui i birrai del gruppo abbiano modo di esprimere la loro creatività. Ebbene, dalla sala di cottura del piccolo impianto sperimentale, esce la Saison d’Henriette, etichetta (da 5.8 gradi alcolici) della serie Arthur’s Legacy, dedicata alla figura di Arthur Van Roy, prozio – e, ai suoi tempi, titolare dell’azienda di famiglia – del proprietario attuale, Jan Toye. Un’ultima fatica, questa del brand fiammingo, che – nonostante tutto il contenuto tradizional-sentimentale (Henriette era la moglie di Arthur) e nonostante la nutrita squadriglia di luppoli utilizzati (Saaz, Hallertau Mittelfrüh, Golding e Hersbrucker) – è stata accolta dalla critica in modo a onor del vero tiepido.
Facendo rotta a est, consensi entusiastici, invece, hanno accolto la performance stagionale dei ragazzi di AleBrowar (polacchi di Leborrk: una beerfirm, ma assai quotata), che – con probabile senso dell’ironia – commercializzano sotto la classificazione di American Golden Ale quello che in realtà è un cingolato da 7.7%. All’anima della Golden, insomma: la Last Cut ha corazza invernale, pur se applicata a un dna sensoriale tipicamente Usa, fatto di agrumi, frutta esotica e non (pesche), caramellature (nella fattispecie sostanziose).
Ci porta poi oltremanica la cronaca birraria relativa alle incessanti attività dei gallesi di Tiny Rebel (Newport), che in collaborazione con gli inglesi di Hawkshead (Staveley, Cumbria), danno le gambe a una cotta a quattro mani in cui si fondono due anime stilistiche: la White Hawk Down è infatti una White Ipa che assomma malto d’orzo, frumento crudo, un tocco d’avena, coriandolo e scorze d’arancia amara sivigliana (fondamentali da Witbier), per finire con una luppolatura da India Pale Ale a stelle e strisce, nella quale troviamo varietà neozelandesi e, appunto, americane, tra cui la new entry Jarrylo. Il nome è quello di un dio slavo della fertilità: le note aromatiche – corrispondentemente – sono quelle primaverili della frutta matura, in specie pera e banana. Bevuta insomma rinfrescante, per un totale di 6 gradi alcolici.