Mettete lattosio nelle vostre IPA! Negli USA spopolano le Milkshake IPA
Se avessimo immaginato scenari come quelli odierni solo un 25 anni fa, avremmo potuto ricorrere a espressioni costruite parafrasando passaggi celebri della letteratura fantascientifica, della serie: Ho visto birre che voi umani… E invece, è la realtà che ci consegna attitudini di produzione e di consumo sempre più propense a sperimentare e a osare. Una di esse è quella che ha plasmato un genere ancora non elevato a rango di stile, ma che potrebbe rappresentarne uno… in cantiere. Stiamo parlando di quelle che, allo stato dell’arte, vengono inquadrate e dipinte come Milkshake Ale: di base, solitamente, una India Pale Ale in versione American, la cui ricetta prevede l’impiego di lattosio.
Le cronache dei biografi della categoria individuano due referenze quali capostipiti più o meno ufficiali. La prima (classe 2014) è la Smoothie Ipa recante la targa svedese di Omnipollo Omnipollo; la seconda, brassata (nel marzo 2015) in collaborazione proprio con la beer-firm scandinava, sarebbe la così propriamente battezzata Milkshake Ipa, iscritta nei registri della scuderia Tired Hands Tired Hands (Ardmore, Pennsylvania). Nel loro Dna una serie di elementi che si candidano a divenire fondanti nella lista degli ingredienti: una quota di frumento in miscela secca, poi avena e purea di mele (con la loro pectina) ad affiancare lo stesso lattosio nel creare dense nebbiosità; l’ulteriore aromatizzazione a base di vaniglia, nonché di luppoli di cultivar tipicamente statunitensi; l’aggiunta post-fermentativa di frutta.
Un protocollo che attualmente è sentito come connesso all’angolo nord-orientale degli Usa, il New England; che – nella gamma di Tired Hands – ha dato luogo a un ventaglio già ampio di declinazioni, ciascuna contrassegnata dall’impiego di un frutto diverso (dal lampone alla mora, dalla ciliegia al kiwi); e che, comunque sia, sta riscontrando emulazioni in vari angoli del mondo. E se e detrattori vivono come derisorio l’epiteto di milkshake (cui spesso si affiancano quello di hazy o, ancor più, quello di juicy), la cronaca rileva che l’aggiunta di lattosio – storicamente utilizzato su Porteer e Stout – anche in prodotti di altra appartenenza stilistica ha precedenti già abbastanza datati. Ad esempio, nel 2008, la 3 Floyds (Munster, Indiana) ne aveva testato la compatibilità proprio con un’American Ipa, varando la Apocalypse Cow. Insomma, il cantiere è aperto: vedremo se e quando porterà alla delimitazione di un perimetro preciso, ad esempio distinguendo tra birre genericamente juicy o precipuamente milkshake; vedremo, soprattutto, se la tendenza diverrà percorso stabile, ritenuto dalla maggioranza dei commentatori come plausibile e non come semplice bizzarria.