Luppolare all’italiana: parola ai birrai
I progressi ottenuti negli anni dai nostri birrai sono alla luce del sole, e forse in fondo non ci rendiamo conto abbastanza dei grandi passi avanti compiuti in termini di qualità. Sull’uso del luppolo si stanno mettendo a punto tecniche e tecnologie sempre più innovative. Le sfide sono molteplici: dall’approvvigionamento al confezionamento, dalla ricerca di nuove varietà fino alla stabilità del prodotto. Abbiamo rivolto ad alcuni birrai, tra i più autorevoli “luppolatori”, alcune domande su aspetti produttivi e sulle tendenze in atto. Altre risposte e riflessioni sono state pubblicate nel numero luglio-agosto 2018 della nostra rivista Fermento Birra Magazine che presenta uno speciale dedicato proprio al luppolo.
Come ti rifornisci e come conservi il luppolo?
Marco Valeriani del birrificio Hammer
Abbiamo dei contratti di fornitura con diversi produttori, alcuni di anno in anno, altri pluriennali, soprattutto per le varietà USA che per noi è fondamentale avere garantite. Stocchiamo il luppolo ancora sigillato in cella a 3°C. Una volta aperti i sacchetti li conserviamo a 0-1°C cercando di consumarli in pochi giorni.
Gino Perissutti del birrificio Foglie D’Erba
Il luppolo tedesco, che uso per alcuni stili e per l’amaro su ogni birra, lo acquisto direttamente da Locher Hopfen, bravissimi coltivatori a Tettnang. Tutti gli americani ed altre tipologie “saltuarie” le prendo da Mr. Malt (Yakima ed altre aziende) e da Italian Hops Company, azienda nella quale credo molto. Conservo tutto in cella frigo a 2 gradi, cercando di evitare ogni contatto con l’aria e prediligo piccole forniture saltuarie.
Pensi che sia cambiata la percezione e il feeling con il luppolo oggi nel consumatore?
Agostino Arioli del Birrificio Italiano
Penso che la popolarità dell’amaro sia in diminuzione, ma non quella degli aromi che il luppolo da alla birra. Il caso delle NEIPA è molto eloquente. È sempre interessante l’innovazione quando va alla ricerca di nuovi sapori e di carattere nel prodotto.
Bruno Carilli del Birrificio Toccalmatto
Non esiste un consumatore generico ma diversi segmenti di mercato. Nell’ambito di un consumatore abituato ai prodotti industriali il luppolo non viene visto positivamente sia per l’amaro che per l’aroma. La stessa cosa vale per un consumatore che ama l’abbinamento con i cibi. Ovviamente le birre molto luppolate piacciono al consumatore appassionato con vari livelli di nerdismo.
Quali formati preferisci?
Andrea Dell’Olmo del birrificio Vento Forte
Uso pellets principalmente, vorrei poter usare più i fiori perché mi piace molto fare l’hop back dopo il wirlpool. Il risultato si sente, ma per motivi di tempo principalmente ripiego quasi sempre su un late hopping, e poi dry hopping in tank con pellets. Non ho una regola fissa sulla luppolatura, cambio spesso i tempi di infusione, le quantità utilizzate. Diciamo che prediligo un dry hopping con pellets. La luppolina non mi entusiasma. Personalmente penso sia un prodotto troppo processato. Sono invece favorevole ad un ritorno ad una materia prima più semplice come i fiori interi.
Luana Meola – Birra Perugia
Abbiamo provato un po’ tutti i formati per avere anche un’ idea dei risultati, ma usiamo il pellet per tutto. Abbiamo iniziato anche ad utilizzare la luppolina in dry hopping, ma sinceramente non siamo ancora del tutto convinti. Ci piace studiarlo a fondo un cambiamento prima di attuarlo e andare per step. Il pellet sicuramente è più adatto per le nostre lavorazioni.
Credi che ci sia un certo appiattimento in termini di proposta nel mercato verso prodotti luppolati molto simili?
Pietro di Pilato del Birrificio Brewfist
Vero, ma dal punto di vista produttivo è uno stimolo a migliorare sempre le proprie IPA in modo da rimanere sul mercato.
Agostino Arioli del birrificio Italiano
Sì lo penso, le ipa sono, tra le birre artigianali, quelle più commerciali e quasi tutti seguono la stessa onda.
Fra tempi, temperature, qualità della materia prima ed attrezzature, cosa ha maggior peso nel tuo processo?
Marco Valeriani del birrificio Hammer
Ogni fattore è importante: tempi di maturazioni e temperature adeguate, ingredienti di prima qualità sono la base. Avere però anche attrezzature tecnologicamente valide e strumenti di misura aiuta ad avere un prodotto migliore. Se dovessi dire cosa per noi è fondamentale in birrificio direi il controllo dell’ossigeno in ogni fase di produzione.
Gino Perissutti del birrificio Foglie D’erba
La qualità e la freschezza contano forse più di qualunque altro aspetto parlando di luppolo. Per il resto a me piace molto sperimentare, per migliorare e mettere in pratica ciò che apprendo dai colleghi ed amici. Uso sia late hopping che whirlpool con temperature tra gli 80 e i 90 gradi per aroma e bouquet. Dry hopping a 20 gradi a fine fermentazione con un luppolatore esterno a ricircolo da me disegnato.
È definitivamente tramontata l’era delle birre “hoppy” rifermentate?
Luana Meola del Birra Perugia
Spero proprio che non sia tramontata anche perché noi produciamo tutte luppolate rifermentate. Per molti sembrerà assurdo ma è una nostra scelta produttiva, e a noi piacciono così! Ovviamente abbiamo sperimentato l’isobarico. Abbiamo fatto una Calibro7 in isobarico ed era esplosiva. Poi quando abbiamo cominciato a venderla sono cominciati ad arrivare i messaggi e le telefonate….cosa è successo alla calibro? È buona per carità ma non è lei! Ahahahah incredibile!! Quando spiegavo la differenza la risposta era sempre la stessa, fantastica ma vogliamo quell’altra! Questo ti fa capire che quando qualcuno si affeziona ad una birra difficilmente la vuole diversa. Con questo non voglio dire che non mi piacciono le luppolate isobariche, le adoro, ma per le nostre birre caratterizzate da un giusto equilibrio, preferiamo rifermentare.
Giovanni Faenza del birrificio Ritual Lab
Non trovo che la rifermentazione sia tramontata perché il mercato è in continua evoluzione, perciò chissà cosa ci aspetta tra qualche anno sul fronte luppolo e lavorazioni. Però lavorare il luppolo in isobarico lo trovo di un gradino superiore rispetto a lavorare con la rifermentazione. Trovo un’esplosione di potenza ma soprattutto di qualità, con aromi eleganti, fini e distinti tra loro. Cosa che nella rifermentazione non avviene e i profumi tendono a sfocarsi. Personalmente sono un grande fan dell’isobarico, per cui difficilmente posso pensare di fare una birra molto luppolata e rifermentata. A mio parere la rifermentazione non regge proprio il confronto!
A che punto è il gap qualitativo rispetto ai maestri americani?
Lorenzo Guarino del Birrificio Rurale
Ritengo da quanto assaggiato nell’ultimo periodo che il gap da un punto di vista produttivo sia definitivamente chiuso, e spero di non peccare di patriottismo. Piuttosto il gap, che ritengo rimanga in essere, è rispetto ad alcune materie prime: luppolo e lievito. Quantità, possibilità di scelta, varietà, novità e costi molto più bassi dei nostri del luppolo sono certamente uno strumento che i colleghi statunitensi possiedono, certamente in misura superiore a noi. Infine, anche la possibilità di accedere a fornitori con grandi banche lievito è un gap ancora da colmare.
Giovanni Faenza del birrificio Ritual Lab
A questa domanda dovrebbero rispondere i nostri clienti più ferrati, ma io credo che il livello italiano si stia alzando molto ed in qualche caso supera il livello medio americano. Quello che gli invidio non è tanto la qualità in sé, ma la loro capacità di farla di qualità nonostante i grandissimi volumi. In Italia si fa quasi una caccia alle streghe su ciò che è artigianale e cosa no e tanti si spaventano quando si annuncia di aumentare la produzione (noi cambieramo impianto e la raddoppieremo a novembre 2018), mentre in USA ci sono realtà che producono sull’ordine di 100.000 hl con livello qualitativo eccellente. Credo non sia l’ingrandimento il problema, ma come ci si ingrandisce e quanto si scende a compromessi. In Italia ci siamo trovati in situazioni in cui alcuni birrifici, superati i 7.000 hl, avevano discese qualitative drastiche probabilmente per via di questi compromessi: abbassamento qualitativo della materia prima, dei tempi di maturazione in tank ed altro. Non serve un miracolo per fare 1 milione di litri di qualità, serve solo poca “italianità”, sapendo reggere la botta senza cadere nella tentazione di scendere a compromessi. Il gap qualitativo ancora c’è, ma dal mercato italiano delle punte di eccellenza ci sono. Abbiamo tanto da imparare dagli americani in tema di attenzione ai dettagli.
Credevi, come qualcuno, che le IPA fossero una moda effimera o guardavi con rispetto a questa tendenza in anni non sospetti?
Agostino Arioli del Birrificio Italiano
Mai pensato che non sarebbero diventate uno standard anche da noi, così come era già successo negli States. Le IPA, o meglio dovremmo dire la loro interpretazione americana dello stile storico, o meglio ancora i luppoli fruttati, sono una scoperta recente e la loro affermazione è stata sorprendentemente veloce e di fatto è uno degli elementi chiave del successo della birra artigianale in USA e poi nel mondo. Rimarranno in auge molto a lungo.
Pietro di Pilato del Birrificio Brewfist
Mai creduto che sarebbe stato una moda. Sicuramente prima o poi sarebbero diventate birre “normali” per cui era preventivabile un ritorno a stili più classici.