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Kuaska’s Corner: cosa sta succedendo oggi in Belgio?

Ogni volta che ricevo la rivista De Zytholoog, nella sezione dedicata all’uscita di nuove birre belghe, trovo più pagine riportanti un elenco infinito che solo pochi anni fa si riduceva a qualche nome in una misera paginetta. Oltretutto quel vecchio elenco comprendeva poche birre realmente nuove e inedite, lasciando maggior spazio a classici rietichettati, commissionati da associazioni, caffè, ristoranti, feste locali e così via.

Ma cosa sta succedendo oggi in Belgio? Facile rispondere. Tutto è da ricondurre all’avvento delle craft americane in ogni parte del mondo e la conseguente nascita di figure votate all’emulazione come giovani birrai, famigerati beer geeks e improvvisati publicans. Personaggi senza memoria storica e senza rapporti diretti con il popolo belga, la loro cultura e le loro tradizioni. Personaggi che hanno letto di tutto e di più ma che non hanno vissuto l’esaltante scoperta “fisica e spirituale”, specie nei cruciali anni 80 e 90, di grandi birre, autentici classici, diretti prolungamenti delle personalità di chi le produceva, del loro ambiente e del loro modo d’essere.


Tornando, solo per un attimo per fortuna, allo sterminato elenco di nuove birre cui accennavo all’inizio, cosa troviamo? Di tutto e di più ma ben poco di “tradizionale belga”, in particolare IPA totalmente “americane” o ibridi come quelle con lieviti belgi e luppoli californiani, neozelandesi e australiani, chiamate “Belgian IPA”. Superfluo sottolineare come, con rare eccezioni, si tratti di ridicoli scimmiottamenti o, se va bene, di birre molto simili e anonime che, se ci pensate, rappresentano l’identikit opposto dei grandi classici fiamminghi, valloni e di Bruxelles, molto diversi tra loro, non certo anonimi ma ricchi di carattere ed identità.

Ricorro ancora, sempre velocemente per fortuna, al pluricitato elenco per bacchettare non solo la pletora di nuovi birrifici “monopentola” che aprono ogni secondo ma soprattutto birrerie storiche che, cavalcando la moda, stanno sfornando una continua serie di nuove birre, lontane, se non addirittura opposte, da quelle che le avevano sempre rappresentate. Faccio alcuni esempi emblematici. Da qualche tempo escono incessantemente birre barricate da tutte le parti. Quasi sempre da birre alcoliche già esistenti infilate in botti che avevano contenuto vini e distillati. Solo fino qualche anno fa, vedevo botti di varie dimensioni, da piccole a medie, da grandi a grandissime, solo dai produttori e assemblatori di lambic o, nelle Fiandre Occidentali, di Flemish red come Rodenbach, Verhaeghe, Bockor e così via. Stessa tendenza con le sour, oggi comparse in birrerie che non ne avevano non solo mai fatto uso, ma nemmeno mai lontanamente pensato. Trovo significativo evidenziare come spesso sia per le sour che per le barricate, non si tratti di un progetto contemplante diversi sperimentazioni, ma solo di un’unica birra acida o passata in botte da includere in un portfolio sempre più ampio e disomogeneo.

Detto questo, grazie a Dio, si può ancora scorrazzare per le varie province del Belgio, legati dall’esaltante ed emozionante “fil rouge” delle birre sia visitando produttori, godendosi l’atmosfera dei caffè e dei ristoranti, incontrando gente sanguigna con la quale socializzare e poter approfondire, ogni volta di più, la conoscenza del vero spirito belga. Per i lettori più giovani, scoprire la fonte di Matilde e godersi, all’Ange Gardien, prima una Petit Orval e poi una regolare di un anno a temperatura di cantina, può ancora rappresentare una bella esperienza, così come perdere il senso del tempo e dello spazio tra le 294 mastodontiche, impressionanti botti di Rodenbach contenenti quella che il mio e vostro grande maestro Michael Jackson chiamava “the most refreshing beer in the world”.

Invito tutti a ripetere il mio rito di iniziazione, perpetrato nel luglio 1982 entrando nella Brasserie Cantillon in Rue Gheude 56 dove la mia vita cambiò e dove il mio “secondo padre” Jean-Pierre Van Roy, come dice nella prefazione del mio libro “La birra non esiste”, si inginocchiava per vendere una bottiglia di gueuze, e dove oggi sono invece i compratori ad inginocchiarsi imploranti, per averne una. Questo antico mondo non andrà perduto. Ne sono sicuro perché ultimamente molti nuovi e vecchi adepti hanno cominciato a chiedermi “mi puoi suggerire un itinerario per scoprire o riscoprire i veri luoghi e le vere birre della cultura belga?”. Queste sempre più frequenti richieste mi stanno confortando tanto che posso azzardare una previsione della saturazione del fenomeno “americano” che sta, mi piacerebbe dire stava, snaturando un patrimonio che ha segnato il mio modo d’essere.