Iris, il fiore di Cantillon
Se mi fosse posta la fatidica domanda “quale birra porteresti su di un’isola deserta?’”, nonostante ne abbia assaggiate migliaia in trent’anni di onorata carriera non avrei esitazione alcuna a rispondere, scegliendo con convinzione la “mia” Iris. Dico “mia” perché, orgogliosamente, ne sono il testimonial sin dalla prima ora nella fantastica “Quintessence Brassicole” che Cantillon, mia seconda famiglia, organizza ogni due anni offrendo ad appassionati provenienti da tutto il mondo la straordinaria opportunità di effettuare un percorso all’interno della storica birreria con fermate in dieci postazioni, per degustare tutta la gamma dei prodotti accompagnati da cibi locali.
Descriverla sarebbe anche semplice se poi non si scoprisse di trovarsi davanti non solo a una birra nuova e innovativa, ma all’unica rappresentante di un vero e proprio nuovo stile. Nel 1998, per festeggiare i primi vent’anni di vita del Musée Bruxellois de la Gueuze, il leggendario Jean-Pierre Van Roy, prima di lasciare le redini al figlio Jean, volle presentare una birra originale che legasse il passato al futuro. Il “Papa nel suo tempio di ragni e batteri”, come lo avevo definito in un vecchio articolo, provava una forte nostalgia per una birra che aveva amato sin da ragazzo, la birra che incarnava lo spirito di Bruxelles, la sempre rimpianta Spéciale che vide la luce nella birreria fondata da Léon Aerts nel 1897 (poi chiusa nel 1963) a Saint-Josse-ten- Noode.
Nacque così una birra nuova che nella mente di Jean-Pierre doveva non solo ricordare, ma in un certo modo riprodurre la Spéciale Aerts, sempre seguendo la filosofia Cantillon della fermentazione spontanea. Ecco allora arrivare una birra inedita a fermentazione spontanea ma con l’utilizzo di solo malto “pale”, senza nemmeno un grammo di frumento, con l’aggiunta di 50% di luppolo fresco e di 50% di luppolo vecchio di tre anni (suranné).
La Iris viene prodotta una sola volta all’anno, quindi in un’unica cotta, poi invecchiata due anni in botte nella quale viene fatto macerare, due settimane prima dell’imbottigliamento, un sacco di tela riempito di luppolo fresco. La seconda fermentazione in bottiglia verrà effettuata con l’aggiunta di “liqueur d’éxpédition”. Ovviamente è vero che, pur essendo a fermentazione spontanea, la Iris è il solo prodotto griffato Cantillon che non si può né si deve chiamare lambic, in quanto non contiene almeno il 30% di frumento crudo. Ma come non riconoscere le affinità, specie olfattive, con i peculiari off flavors del lambic?
Le note di malto ammorbidiscono le spigolosità soprattutto nel palato, creando un’armonica convivenza con le note acide della fermentazione spontanea e quelle vinose della fermentazione in botte. Ma la novità in casa Cantillon viene dall’iconoclasta ricorso al dry hopping con luppolo fresco (poi ribadito da Jean, a partire dalla Cuvée des Champions), che dona un ficcante retrogusto amaro, anticipando una tendenza e un cambiamento nel gusto del consumatore belga che si sarebbero in seguito rivelati travolgenti.
A me piace godermela in tutte le situazioni possibili. Da solo in casa, in santa pace, con la sensazione di essere ad Anderlecht al 56 di rue Gheude, oppure a tavola con amici cercando di riprodurre gli abbinamenti che abbiamo sperimentato in Belgio o di trovarne di nuovi, più vestiti sui gusti italiani con l’impiego a seconda di dove ci si trovi di prodotti a centimetro zero. In laboratori di degustazione per farla scoprire a chi non immagini mai che possano esistere birre “acide” oppure, più semplicemente, al pub, deliziosamente torturato da amici e discepoli che vogliono sapere tutto su questa ottava meraviglia nata dall’unione tra la natura e l’ingegno umano.