Il mito del Barrel Aging americano
Tre anni fa dedicai un articolo alla Bourbon County Brand Stout del birrificio Goose Island. Ne raccontai il mito, il lento declino – dopo che nel 2012 il birrificio è stato acquisito da AB-InBev – e la normalizzazione odierna, ma soprattutto come sia diventata una pietra miliare nella cultura birraria. La storia in breve: nel 1992, a seguito di una cena d’affari fra rappresentanti provenienti dai mondi di bourbon e sigari, Greg Hall, head brewer e figlio del fondatore di Goose Island John Hall, ebbe l’ispirazione per la ricetta celebrativa della cotta numero mille. Nata come una one-shot per l’allora piccolo brewpub di Chicago, la BCBS fu poi presentata al Great American Beer Festival tre anni più tardi, sconvolgendo tutto e finendo per imbarazzare lo stesso concorso: venne squalificata perché non esisteva una categoria apposita in cui iscriverla. Da one-shot passò ad una-tantum, per arrivare alla prima commercializzazione in bottiglia nel 2005, attraverso infinite iterazioni e perfezionamenti. Qualche maniaco della precisione potrebbe obiettare che la KBS di Founders venne imbottigliata nel 2002, o che Matt Brynildson, dopo essersi formato da Goose Island, passò a lavorare da Firestone Walker nel 2001 contribuendo con forza allo sviluppo del loro barrel program. Poco importa. È invece sicuramente vero che la comparsa della BCBS, ben prima di essere serializzata sul mercato, abbia dato il via all’abitudine di una pratica fino ad allora semisconosciuta o al massimo episodica. Oggi, il barrel-aging è un processo comune con cui ogni birrificio al mondo, presto o tardi, vuole cimentarsi – con risultati non sempre soddisfacenti – e l’America ne rappresenta l’esponente più fulgido. Oggi, i birrai si preoccupano di reperire le botti più valide, più performanti, addirittura andando a far cernita di persona nelle distillerie rinomate, spesso avvalendosi di consulenti in materia.
Si è fatto cenno alle distillerie, ma di cosa? Per gli Stati Uniti, la risposta è piuttosto ovvia: bourbon. Il distillato americano per antonomasia, per disciplinare ottenuto da un mash composto almeno dal 51% di mais (così come il rye whiskey prevede il 51% di segale), originario del Kentucky e dal nome che richiamava l’omonima regione: Bourbon County, appunto, dai Borbone, un omaggio alla Francia, per gli aiuti ricevuti da Luigi XIV durante gli anni della rivoluzione americana. È la scelta numero uno per una serie di ragioni. La prima: secondo la legge, nonostante sia dotato di una “vita media” stimata entro la sessantina d’anni, un bourbon barrel può essere utilizzato una sola unica volta per la distillazione (fu stabilito così per garantire una costanza lavorativa agli artigiani bottai), con la conseguenza principale che queste botti in America sono molto facilmente reperibili. La seconda, possiamo ricercarla in una descrizione data proprio da Brynildson: “Le caratteristiche di cui viene dotata una botte di bourbon, tramite il lungo processo di selezione del legno, la sua costruzione, la fase di charring, combinate con l’ancora più lungo processo di invecchiamento del distillato, creano un medium perfetto per lo sviluppo di flavors in una birra, trasmettendoli con una spontaneità straordinaria. È una combinazione perfetta”.
Una volta comprese le suddette potenzialità, si trattò solo di spalancare le porte di un intero mondo da esplorare, e che ancora oggi non smette di stupirci. Per dare vita alla BCBS, Greg Hall invecchiò per un centinaio di giorni la sua imperial stout in botti di Jim Beam, uno dei bourbon più comuni e popolari, non raro da trovare anche sugli scaffali del reparto superalcolici di qualche catena di ipermercati in Italia. Col tempo, complice anche l’espansione di matrice esponenziale della barrel-room di Goose Island, la BCBS è stata imperniata su un mix di botti: per il vintage 2019 si parla di Heaven Hill, Buffalo Trace e Wild Turkey. Esiste, insomma, un discreto imbarazzo della scelta per chi vuole elevare una birra. E, naturalmente, ciascun distillato è diverso dall’altro per anni di invecchiamento, ricetta e, last but not least, natura e composizione delle botti adottate. In altre parole: una ruota di combinazioni pressoché infinite con cui giocare. Un esempio della granularità delle sfumature, è dato dalla parola charring (carbonizzazione). Le botti costruite per il bourbon, oltre a partire in prevalenza dal legno di quercia americana (white oak), vengono letteralmente carbonizzate con un’esposizione a fiamme ad alta temperatura, fino a risultare abbrustolite. A seconda della durata di tale processo e della potenza della fiamma, si hanno differenti gradi di char (da 1 a 7) che apporteranno al distillato caratteristiche peculiari sia nel colore che nella sfera organolettica. Per intenderci: più una botte è charred, più renderà il distillato ambrato nel colore, smooth al palato, sviluppando note di miele e caramello; analogamente una botte toasted, cioè poco carbonizzata, conferirà al distillato un colore più chiaro e lascerà emergere delle note di vaniglia, speziate, cocco, che abbracceranno un sapore deciso e ruvido.
Riassumendo a cascata: dall’interazione del legno con il distillato, si passa ai meccanismi di scambio dello stesso legno, impregnato del distillato ospitato, con la birra. Esiste ormai una vasta letteratura dell’argomento sulla quale documentarsi, ma è ragionevole pensare che, un ventennio fa, chi avesse già un’esperienza in merito alla lavorazione con le botti – prima ancora che come birraio – sarebbe stato un passo avanti agli altri. Non è una coincidenza che un’altra delle personalità che ha dato una spinta in avanti al mondo del barrel-aging, avesse avuto a che fare con il mondo del vino. Parliamo di Vinnie Cilurzo, proprietario e birraio di Russian River. Lo conosciamo per aver inventato lo stile delle Double IPA, ma è altrettanto suo un ulteriore contributo di innovazione per i suoi lavori sulle sour/wild ale verso la fine degli anni Novanta. La sua passione per il lambic gli fornì l’idea di invecchiare una blonde ale brettata in botti di Chardonnay californiano: fu la nascita della Temptation. Di lì a poco, fu raggiunta dalla più complessa Supplication, una brown ale passata in botte di Pinot Noir con aggiunta di amarene ed inoculazione di lactobacilli e pediococchi, oltre che di brettanomiceti. Il quadro venne completato con le altre celebri produzioni dal suffisso -tion (Damnation, Consecration, Beatification, ecc.), ed è interessante ascoltare il singolare punto di vista di Cilurzo in riferimento al suo lavoro: “Attualmente, tanti colleghi fanno uso di bourbon barrel perché sono facili da avere e i flavors che si ottengono sono di grande spessore, ma con il vino la faccenda è delicata e difficile. E a noi importa imprimere il carattere dei vini locali nelle birre. […] Sono cresciuto bevendo vino, per cui ho sempre avuto una predilezione per la pienezza, la secchezza e l’amarezza del luppolo nelle birre, così come i tannini nel vino”. Una contrapposizione rispetto al conterraneo Tomme Arthur che, nella realizzazione della sua imprescindibile Cuvée de Tomme, nota fin dai suoi trascorsi presso Pizza Port agli inizi del nuovo millennio, prima di trasferirla nella linea di Lost Abbey nel 2006, adottava un duplice passaggio in botte di quercia e bourbon.
Potremmo citare anche altri grandi rappresentanti del filone che si sono susseguiti lungo gli anni duemila, forti di un robusto programma di barrel-aging, nel voler tracciare una storia moderna della birra americana: Upland, Allagash, Cascade, Bullfrog, Firestone Walker, e via discorrendo. Ma è doveroso spostare l’attenzione sull’anno 2009, quando sempre in California, fa la sua comparsa la Black Tuesday, una BBA Imperial Stout monstre di 19.5%. Come vuole il luogo comune delle grandi scoperte, nacque per caso: una cotta sperimentale del neonato birrificio The Bruery, con l’obiettivo di innalzare a dismisura l’ABV, dopo ben sedici ore di lavoro fece le bizze e, con la complicità di un pezzo di impianto otturato e di una perdita, finì per mandare in infermeria due degli aiutanti birrai, senza contare l’inondazione del pavimento. A coronamento del tutto, alla fine della fermentazione, ciò che rimase della birra aveva un profilo sbilanciato e violento, descritto come fuoco liquido. A Patrick Rue, fondatore ed head brewer, venne allora l’idea di confinarla in botti di bourbon per un lungo periodo. Ricordate i cento giorni della primissima BCBS? Ebbene, ci vollero circa quindici mesi prima che la Black Tuesday fosse ritenuta pronta per la sua release. Fu epocale. Mai nessuno era riuscito a spingersi così avanti nell’invecchiamento, alzando l’asticella non solo della gradazione alcolica, ma anche del risultato: la birra è un vero e proprio capolavoro del barrel-aging, con una ricchezza di flavors straordinaria che avvolge quanto di meglio possa sviluppare un’imperial stout (cioccolata, caffè, tostati, tabacco) con un velluto di suggestioni del bourbon (miele, vaniglia, legnoso), in una cornice micidiale, possente, equilibrata. The Bruery ha costruito il suo successo specializzandosi, a tutti gli effetti, in una serie di fortunatissime linee di barrel-aging diverse: la serie Terreux, concentrata su farmhouse/wild oak-aged; la serie della Anniversary Beer, old ale elevate mediante una reinterpretazione del metodo solera; le varianti della Black Tuesday stessa, con aggiunte di caffè, cacao, nocciole o invecchiamenti di altro stampo (porto, rum, vino).
Lo scorso decennio ha visto emergere una nuova serie di solide realtà che hanno costituito dei barrel-program notevoli. Menzioniamo Cycle, Cigar City, Fremont, Hill Farmstead, J. Wakefield, Holy Mountain, Jester King, Rare Barrel, De Garde, Sante Adairius Rustic Ale, Central Waters, Kane, pFriem, Bottle Logic, eccetera, ma se esiste un nome che ha portato avanti tale filosofia a livelli ancora più profondi, quello è sicuramente Side Project. Cory King, mente e fondatore, anche lui in seguito a trascorsi nel campo del vino, si è reso protagonista di ciò che possiamo definire un’ascesa silente: assunto come birraio da Perennial a St. Louis, dopo aver rivoluzionato le loro imperial stout (dobbiamo a lui l’Abraxas e la relativa versione BA), nel giro di tre anni ricevette l’autorizzazione per coltivare il suo piccolo progetto di cantina di affinamento. Oggi Side Project è in tutto e per tutto una barrel-room indipendente, potendo contare su un impianto di proprietà, affrancato dalla necessità di doversi appoggiare a Perennial. Gli invecchiamenti di Side Project non solo si basano sull’estesa lunghezza temporale (le sour passano dai dodici ai ventiquattro mesi prima di essere confezionate), ma su blend di diverse iterazioni su diverse ricette (come nel caso delle pluriricercate serie Derivation e Beer:Barrel:Time). Il metodo di Cory King colpisce per la naturalezza con cui appone un meticoloso controllo su ogni momento del percorso di invecchiamento: dal barrel-selection – importante quanto la raccolta del luppolo per i grandi produttori di IPA – alla continua analisi dell’elevazione della birra, passando per la cura della microflora batterica nel segmento wild, verso la ricerca del miglioramento ad ogni costo. Una visione moderna, che declina il barrel-aging come un’affermata tecnica dalla rigorosità quasi scientifica. Diceva delle sue BA Imperial Stout nel 2016: “Un giorno, forse, troverò la ricetta perfetta per la botte perfetta, e cercheremo di riprodurre quella birra in serie, ma fino ad allora ogni blend è sempre diverso dal precedente. Se fossi sufficientemente grande da avere un blend di cinquanta botti per dare omogeneità, allora potrei ripetere qualcosa, ma per la mia scala produttiva mi piace apprezzare le sfumature di ciascuna annata e di ciascun blend”. Quel giorno è forse arrivato quando ha annunciato la O.W.K., descritta come il culmine del suo lavoro. Al momento, è una delle barrel-aged imperial stout più ricercate al mondo: di recente, qualcuno ha offerto 2800 dollari per averla. Nessuno si è fatto avanti per venderla. Un paio di mesi fa, Side Project ha pubblicato una foto in cui le prime botti per la prossima versione di O.W.K. vengono riempite. Non è dato sapere quando sarà pronta, e di certo non lo saprebbe dire nemmeno Cory, ma successo e hype sono già assicurati.