Il lievito? A scoprirlo per primo fu un commerciante di stoffe
La storia e la grandi scoperte spesso transitano attraverso sentieri (umani e scientifici) accidentati e casuali, il cui svolgimento è non di rado oscurato dal ruolo dei protagonisti delle fasi finali, e decisive, di un determinato percorso d’indagine, che eclissano la statura dei loro predecessori, verso i quali, nondimeno, hanno un necessario debito di riconoscenza.
Così, se le vicende che condussero all’individuazione dei fattori cardine della fermentazione e successivamente all’isolamento del primo ceppo di lievito in purezza sono legate (legittimamente) alle figure, nell’ordine, di Louis Pasteur ed Emil Hansen, non va dimenticato come alcuni tasselli fondamentali alla preparazione del terreno sul quale, poi, i due ottennero i rispettivi successi, siano stati posti, tra altri,anche da parte di un precursore alquanto improbabile: l’olandese Antoni van Leeuwenhoek, contabile e cassiere per mestiere, biologo per passione.
Nato nel nel 1632, a Delft, dove avrebbe concluso la sua esperienza terrena nel 1723, e appartenente a una famiglia di non eccelsa collocazione sociale (era figlio di un cestaio), Antoni, non poté – malgrado uno spirito d’osservazione evidentemente acuto e un’altrettanto lampante inclinazione per la ricerca – permettersi una formazione di livello particolarmente elevato, restando ad esempio interdetto dall’accesso alla conoscenza del latino, così come della matematica o della fisica in grado superiore. La tarda adolescenza e la prima età adulta lo vedono nella capitale del proprio Paese, Amsterdam, indossare le vesti di amministratore e cassiere in un negozio di stoffe, contesto nel quale, tuttavia, ha modo di conoscere il naturalista Jan Swammerdam, subendone il contagio dell’interesse verso la microscopia e le sue applicazioni. Una malattia dalla quale, fortunatamente, mai guarirà. Tornato nella città natale e avviata, qui, la propria rivendita di tessuti, l’intenzione di tenerne scrupolosamente sotto controllo la qualità lo porta a dilettarsi nella realizzazione (senza alcuna preparazione, se non quella maturata grazie alla tenacia e alla curiosità) di alcuni modelli, appunto, di microscopio.
Quegli ingegnosi strumenti sono, per lui, la porta verso la dimensione della vita unicellulare e batterica, popolata da organismi ai quali, individuati nel 1676, assegna l’appellativo di animalicula: tradotto dal latino, piccoli animali. Nonostante l’ostracismo (a causa delle modeste origini e dell’itinerario di apprendimento sui generis, compiuto fondamentalmente da autodidatta) subito da parte di non irrilevanti settori del mondo accademico, queste e altre esperienze (ad esempio relative ai meccanismi della circolazione sanguigna) gli valgono importanti riconoscimenti: l’ammissione al rango di membro della Royal Society (1680) e di membro corrispondente della Reale Accademia delle Scienze di Parigi (1699), nonché il conferimento di una medaglia da parte dell’Università di Lovanio (1716). Anche sulla scorta delle sue scoperte, nel 1838 il naturalista tedesco Christian Gottfried Ehrenberg avrebbe coniato il termine bacteria; e il già citato Pasteur avrebbe compreso, dei lieviti, il ruolo di protagonisti esercitato nel processo di fermentazione delle bevande alcoliche.