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Homo Lupulus: parola a Marco Valeriani di Alder 

Quando si parla di luppolo in Italia non può mancare un’intervista a Marco Valeriani, birraio e fondatore di Alder (ex Hammer, ex Menaresta). Nel settore Marco non ha bisogno di presentazioni: è uno dei migliori birrai italiani, e i numeri dietro i suoi riconoscimenti, ma soprattutto l’apprezzamento del pubblico, sono lì a dimostrarlo. Ho la fortuna di vivere poco lontano da Seregno (MB) dove a sede il birrificio con tanto di accogliente tap room, e ne ho approfittato per porgli alcune domande davanti ad una pinta di birra. 

Quali sono le birre che ti hanno formato e ispirato?

Senza dubbi la Tipopils ma anche la Montestella! I Birrifici Italiano e Lambrate erano fra le poche realtà birrarie tra la fine degli anni 90 e i primi anni del 2000 e per fortuna c’erano. Ricordo poi un Salone del gusto di una quindicina di anni fa dove assaggiai per la prima volta delle IPA americane di Stone che a quei tempi erano introvabili: mi lasciarono di stucco! Le persone non sapevano nemmeno che esistessero cose del genere né che si potessero produrre. Sono inoltre affezionato alla Focal Banger di The Alchemist a cui la Rockfield è ispirata. La mia visione del mondo lager è invece irrimediabilmente cambiata quando ho conosciuto la Franconia. Ci vado ormai da una quindicina d’anni. Dalla Franconia ho imparato a dare importanza ai lieviti e alle fermentazioni. Ho imparato a concepire prodotti semplici, fatti con pochi ingredienti ma giocando sulle sensazioni che regalano i malti e i prodotti fermentativi. Birre come la Zwickel di Spezial e la Keller di Roppelt sono state per me illuminanti.

In cosa pensi di dover migliorare?

Sicuramente nel marketing e nella comunicazione aziendale! Ma è qualcosa che sto rimandando a quando terminerà la pandemia dato che la situazione attuale non è forse il momento migliore per questo tipo di investimenti. Inoltre devo trovare ancora la perfezione sulle birre scure. Voglio raggiungere migliori equilibri modificando meglio l’acqua ma anche selezionando i migliori malti scuri.

Quale birra italiana vorresti aver fatto tu?

Tipopils. È una birra che ha fatto storia, è riconosciuta a livello mondiale e ha stimolato la nascita di un pensiero nuovo nel modo di fare birre lager.

Qual è il birrificio italiano più sottovalutato?

Il birrificio Manerba! Produce lager incredibili. Alfredo Riva è uno dei più bravi in assoluto su queste birre eppure nessuno ne parla più di tanto.

 

Come giudicheresti il livello delle IPA prodotte in Italia?

Molto alto soprattutto rispetto a 5 anni fa. In generale il know how è molto più diffuso rispetto al recente passato e poi il movimento è cresciuto non solo nei numeri ma anche nella qualità.

 

A tal riguardo, cosa dici a chi ancora rifermenta le proprie IPA? È possibile farne di buone senza isobarico?

C’è modo e modo di rifermentare e rifermentando si possono anche fare discreti prodotti. Ritengo però che per produrre IPA americane eccellenti si debba lavorare in isobarico. Bisogna ridurre al minimo la presenza di ossigeno. Servono competenze, strumentazione di controllo e impiantistica adeguata. Aprire un birrificio pensando di produrre in gran parte IPA americane e non investire in tecnologia a mio parere è un controsenso. Spesso per limiti di budget si comprano impianti a basso costo e tecnologicamente inadeguati. Se non si è in grado di affrontare certi investimenti, secondo me, sarebbe meglio concentrarsi sulla produzione di altre birre.

Le tue luppolate sono celebrate da critica e pubblico: su quale aspetto hai dovuto lavorare più di ogni altro per raggiungere questi risultati? Quale è l’idea dietro le tue ricette?

Ho lavorato tanto nell’individuare il profilo dell’acqua più adatto alle IPA moderne. L’obiettivo è permettere di far risaltare il luppolo, per favorire quel grado di amaro che non sia tagliente ma che al tempo stesso crei quasi succulenza ad ogni sorso. Ho inoltre fatto un gran lavoro di ricerca sui ceppi di lievito, sulle materie prime in genere e in particolar modo sul luppolo ovviamente. Non da ultimo, il controllo dell’ossigeno, che come detto è fondamentale. Noi lo monitoriamo costantemente in tutte le fasi di produzione.

 

Come ci si può differenziare in un mondo IPA molto standardizzato nei luppoli e nelle ricette?

Basterebbe fare buone IPA per differenziarsi! C’è però da dire che luppoli come citra, mosaic, simcoe e galaxy sono i migliori e più adatti alla produzione di queste birre. Si sente spesso gente del settore lamentarsi per la poca originalità e l’uso di solo queste varietà, ma onestamente di alternative altrettanto valide se ne trovano poche ed è di conseguenza difficile abbandonarli.

Luppolo preferito?

Spalter Select.

 

La luppolata che produci a cui sei più affezionato? E la tua IPA preferita italiana (non tua)? E straniera?

La Rockfield è in generale la birra che preferisco in assoluto tra quelle luppolate che produco. È una giusta via di mezzo tra una west coast IPA e una NEIPA che fonde i punti di forza di entrambi gli stili. Mi piacciono inoltre molto la Naima Giant Step di CRAK e la Velvet Suit di MC77. La IPA non italiana che adoro è la Julius di Tree House Brewing.

 

Cosa deve fare il comparto birrario italiano per avvicinare il consumatore alla birra artigianale?

I birrifici dovrebbero investire sul territorio cercando di richiamare le persone del luogo nelle proprie taproom. Nel mio locale vengono tante persone, e sono la maggioranza, che non sono esperte di birra ma capiscono che la birra che produco è molto diversa da quelle tipicamente industriali. Penso inoltre che la grande distribuzione possa essere una vetrina importante per il settore. Darebbe una visibilità senza pari e potrebbe essere d’aiuto per far entrare la birra prodotta dai microbirrifici nei consumi abituali di persone che non conoscevano questo mondo, a patto però che siano stoccate in modo adeguato.

Quale strategia imprenditoriale, applicata ad un birrificio, premierà nei prossimi anni?

Ancora una volta per me la formula vincente è il “go local”. I birrifici dovrebbero puntare maggiormente su brewpub e taproom piuttosto che investire per cercare di vendere la propria birra dall’altra parte del mondo.

 

Cosa non ti piace dell’attuale panorama birrario Italiano?

Non sopporto l’eterna diatriba tra birra industriale e artigianale intesa come lotta tra due fazioni rappresentanti il male e il bene. Per me esiste la birra buona e la birra non buona, punto!

Cosa consigli a chi intende aprire un birrificio oggi?

Di fare bene i conti prima di aprire e di essere realisti quando si pianificano gli investimenti. Consiglio inoltre di aprire solo se si possiedono adeguate conoscenze tecnico-produttive e manageriali. Saper fare birra buona e sapere a chi venderla sono due fattori che non devono in alcun modo mancare.

 

Come vedi Alder tra 6 mesi e tra 5 anni?

Nel breve termine, sperando che il Covid conceda maggiore libertà, vorrei allargare il parco serbatoi. Volendo concedere lunghi periodi di maturazione alle mie lager serve più spazio in cantina. Sul lungo termine sogno invece una fabbrica di birra un po’ più grande. Sicuramente con una bottaia e uno spazio esterno.

 

Qual è il tuo più grande rimpianto in ambito lavorativo?

Mi sarebbe piaciuto fare una esperienza da birraio all’estero, ma purtroppo non sono mai riuscito a realizzare questo sogno.