Chimay è il primo marchio di birra di cui ho memoria: ancora bambino, sul finire degli anni ‘70, ricordo mio padre arrivare a casa con una “tappo rosso”, raccontandomi di una birra prodotta da monaci in Belgio. Non posso dire con certezza che questo istante abbia segnato il corso della mia vita, ma sicuramente ha lasciato il segno. Quest’anno Chimay celebra i 150 anni, motivo più che sufficiente per ripercorrere le tappe di questo glorioso birrificio trappista. Il birrificio fu fondato, all’interno della loro Abbazia, dai padri Cistercensi nel 1862, per intenderci mentre l’Italia, con capitale Torino, lottava ancora per la propria unità e, al di là dell’Atlantico, gli Stati Uniti erano impegnati nella loro guerra civile. Da allora il birrificio ha attraversato la Belle èpoque, oltrepassato la Grande Guerra, superato la grande depressione del ‘29, seguito (immagino con apprensione) l’ascesa dei nazionalismi culminata con la Seconda Guerra Mondiale, ed è arrivato ai giorni nostri.
La società, all’esterno, è mutata enormemente, ma all’interno dell’Abbazia, in un secolo e mezzo, cosa è cambiato? E’ cambiato tutto, per non cambiare nulla. Questo l’ho capito con notevole sollievo durante la mia prima visita all’Abbazia Notre-Dame de Scormount, costruita dai monaci Cistercensi della Stretta Osservanza e da loro guidata ancora oggi secondo le regole del loro Ordine. All’Abbazia ci si arriva attraversando un bosco secolare, il monastero appare all’improvviso ed è, esteriormente, inalterato, così come lo sono le parti interne. La semplicità, anzi l’austerità della struttura e degli arredi è evidente. Tutto è curato e ben tenuto. Il silenzio è quasi assordante: all’esterno si sente giusto il fruscio delle foglie, all’interno il proprio respiro e il rumore dei propri passi. I monaci difficilmente si fanno vedere, raccolti in preghiera o impegnati nella gestione del convento o nei loro studi.
Anche il birrificio, annesso alla struttura dell’Abbazia, è discreto e piuttosto silenzioso. Se esteriormente mostra gli oltre 160 anni della costruzione, l’interno è modernissimo: il controllo qualità, il laboratorio analisi, la sala bollitura, fermentazione, filtrazione, maturazione, tutto è tecnologicamente avanzato in modo da permettere la massima qualità. Le birre però sono sempre e solo tre, la Tappo Bianco, la Tappo Rosso e la Tappo Blu, secondo le ricette perfezionate da padre Théodore (1913-2002) nel 1948, lo stesso anno in cui, sempre lui, isolò il lievito tutt’ora utilizzato per le birre Chimay. Nel laboratorio, tra microscopi elettronici, centrifughe e ogni strumento tecnologico necessario oggi, si può ammirare parte della sua attrezzatura. Fanno bella mostra di sé anche le bottiglie con le varie etichette che si sono susseguite negli anni. Solo guardandole mi accorgo che sono cambiate, ma dalla prima a quella attuale la differenza è veramente minima, giusto un leggero ritocco di tanto in tanto, per restare al passo coi tempi.
I padri seguono le regole dell’Ordine anche nella conduzione degli affari. Questo vuol dire che devono vivere delle loro attività, ma anche reinvestire nel sociale gli utili. Dal 1996 è la Fondation d’Utilité publique Chimay-Wartoise a sovrintendere le attività di posti di lavoro, con particolare attenzione verso le nuove generazioni e la loro istruzione. Nella maggior parte dei casi la Fondazione procede con donazioni, vigilando poi sulla realizzazione dei vari progetti. L’attenzione per la natura è evidente, tutto è ottimizzato per abbattere al massimo l’immissione nell’aria di anidride carbonica. Il birrificio recupera la stragrande maggioranza del calore creato, sotto forma di vapore, e lo usa per riscaldare gli ambienti del Monastero.
Oggi i padri continuano a dormire nelle loro celle nel seminterrato, ma hanno il riscaldamento. L’energia elettrica utilizzata, in parte arriva dai pannelli solari installati sull’Abbazia e non visibili da terra, l’altra parte arriva dal parco eolico a Baileux, voluto dalla Fondazione. L’energia alternativa non solo copre il fabbisogno di tutte le attività, dal caseificio all’imbottigliamento, ma con il surplus, immesso in rete, ottiene uno sconto per gli abitanti della zona sulla fornitura di elettricità. Oggi l’imbottigliamento è esterno al Monastero, così come il caseificio: si trovano a Baileux, una cittadina a dieci minuti di macchina da Scormount. Attualmente il compito di portare la birra dal birrificio alla linea di imbottigliamento spetta a delle autobotti a gasolio ma è già prevista, a breve, la sostituzione con dei modelli elettrici.
Caseificio e imbottigliamento sono estremamente moderni ed automatizzati, ma ogni volta che un macchinario viene rimpiazzato da uno acquistato ex novo, non si licenzia mai e soprattutto il cambiamento deve portare benefici a livello ambientale (minor inquinamento) o produttivi (qualitativi, compreso il miglioramento della qualità del lavoro, o quantitativi). Un esempio in questo senso è il sistema di risciacquo per le bottiglie nuove, ora separato dalla linea di sanificazione di quelle usate, che permette un notevole risparmio di detersivi e acqua. Sempre a proposito di acqua non viene tralasciato nulla per evitarne lo spreco, tanto in produzione quanto in imbottigliamento. E i pozzi, sia il principale da cui il birrificio pesca per la lavorazione, sia quello secondario di norma non utilizzato, sono costantemente monitorati e protetti dal bosco. Persino le strade sono tenute lontane, per evitare ogni rischio di contaminazione. Ovviamente dopo aver visitato a Baileux il caseificio e l’imbottigliamento, aver visto gli uffici direzionali e la logistica, aver varcato la soglia dell’Abbazia Notre-Dame de Scormount e del birrificio, non può mancare una sosta all’Auberge de Poteaupré, a metà strada circa tra Baileux e l’Abbazia: al suo interno è birreria, hotel, ristorante, negozio, manca solo il museo, ma non preoccupatevi… è in costruzione. Qui è possibile degustare le birre assaggiando i formaggi di Chimay e tipici piatti locali. Nella bella stagione la splendida terrazza permette di rilassarsi ammirando il paesaggio. Molto spesso sul menù, alla voce “Speciale De Poteaupré“, è possibile trovare la mitica Chimay Dorée, una blond da 4.8% tanto intrigante quanto leggera e beverina, che in bottiglia è rarissima e non commercializzabile.
A fine visita si capisce che Chimay i suoi 150 anni li porta splendidamente, visto che tutto qui è incredibilmente moderno e tecnologico, ma nulla è cambiato a livello di filosofia aziendale: Chimay resta un birrificio trappista nel senso più stretto, oggi come allora. Non ci rimane allora che stappare una Chimay Grande Réserve e brindare al compleanno di questo meraviglioso birrificio, augurandogli ancora lunga vita nei secoli a venire.