Alder e il suo amore per le Lager: parla Marco Valeriani
Chi ama le basse fermentazioni e beve artigianale sa che stiamo vivendo, da diversi anni ormai, un fenomeno tutto italiano di riscoperta del genere lager. Tra chi ripropone il canovaccio tedesco in maniera fedele ma al contempo moderna, troviamo il lombardo Alder di Seregno (MB) che si è cimentato con successo in diversi generi: dalle Pils alle Keller, dalle Schwarz alle Bock. Vista l’esperienza sul campo, il tasso tecnico, e la passione che lo ha portato anche in anni non sospetti a viaggiare in Germania, abbiamo rivolto qualche domanda al birraio e fondatore Marco Valeriani.
Qual è il tuo approccio alle lager?
Quando produciamo lager cerchiamo di ricreare in tutto e per tutto le condizioni in cui si vengono a trovare i birrifici tradizionali a cui noi ci ispiriamo o facciamo riferimento. Cerchiamo di ricreare fedelmente il profilo dell’acqua, scegliamo i malti in base anche alla zona di riferimento (utilizziamo 5 tipologie di malto Pils differenti ad esempio), ci approvvigioniamo dei luppoli direttamente dai produttori, utilizziamo ceppi di lievito specifici e tempistiche di lagerizzazione molto prolungate. Quando produciamo ale moderne utilizziamo invece, in base alle ricette specifiche, anche sistemi moderni quali hop standing, DDH che di certo richiedono più tecnica ed attrezzatura rispetto a produrre una lager tradizionale. Ma in termini di controllo qualità per noi non c’è differenza fra l’una e l’altra tipologia, i nostri standard sono identici per tutte le birre.
Esiste per te un modo di fare pils all’italiana e nel caso si può definire con il termine Italian Pils?
Bisogna precisare che le Italian pils sono un modo diverso di fare Pils e dire che lo abbiamo inventato noi è eccessivo perché qualche mosca bianca anche in Germania c’era che dryhoppava. Certo che in Italia Agostino con la Tipopils ha creato di fatto un genere nuovo facendo scuola a tutti quei birrai che si sono ispirati completamente a quella birra. Senza considerare quanti hanno fatto formazione da lui come Giovanni Campari, che poi ha aperto il Birrificio del Ducato producendo la Via Emilia, un’Italian Pils eccezionale. Birre ben distanti da una Pils tedesca soprattutto nell’impiego del luppolo: in Italia si privilegia un’estrazione in late e in dry hopping che in Germania è impensabile, dove si effettuano dosaggi in late/whirlpool molto bassi privilegiando molto la parte a caldo. Comunque per chi fa questo genere di birra ha senso l’etichetta Italian Pils. Del resto c’è differenza tra mettere luppolo in late hopping anche in quantità e in dry hopping. La cosa assurda semmai è che le Italian Pils sono un fenomeno che è riconosciuto all’estero e non da noi. Ma del resto è così: in Italia qualsiasi cosa abbiamo di buono dobbiamo sputarci sopra. Gli americani riescono invece a valorizzare tutto, ad esempio si inventano le Cold IPA, uno stile che non ha senso, e tutti dietro a replicarlo.
Esistono anche interpretazioni italiane fedeli alla tradizione, no?
Sì oggi si trovano molte birre più classiche ispirate alla Franconia e alla Baviera. Prendi la nostra Hering: una volta era una Italian Pils dryhoppata ora l’ho spostata su una Germania classica, omaggiando la tedesca Jever. In Italia ci sono casi come Elvo che fa una Pils classica alla tedesca con luppolo aggiunto in bollitura e un late hopping non eccessivo. In queste birre è tutta una questione di equilibrio tra malto e luppolo. Anche Altavia è un altro esempio o Manerba dove con Alfredo Riva, che ora ha cambiato birrificio, ha prodotto birre molto in linea, ma non a caso lui si era formato da Schönramer.
E per quanto riguarda le Keller italiane?
Parto dalla mia esperienza. Quando ho fatto la prima cotta di Lewis, l’abbiamo chiamata Keller Pils perché era velata e anche ai concorsi veniva classificata come tale. Poi abbiamo cominciato a usare un lievito francone che esaltava il profilo maltato e firmava la birra in maniera unica, e abbiamo deciso di togliere il termine Pils e lasciare Keller. Uno stile quest’ultimo che in Germania vuol dire tutto e niente: ci sono Keller scure, Keller che sembrano Pils. Fare Keller in Italia significa cercare di costruire delle basi aromatiche usando particolari ceppi di lievito, determinate procedure, determinati malti, usando ingredienti tradizionali, però con un controllo tecnologico che eviti l’alternanza qualitativa, che eviti quel terno al lotto che per noi e per i nostri clienti è inconcepibile. Per quanto mi riguarda con il tempo ho allargato la famiglia delle basse di ispirazione francone e ho introdotto birre con termini territoriali come Zwickel e Landbier che anche se non hanno molto senso, visto che dentro ci rientra un po’ di tutto, li ho utilizzati, ispirato da alcune birre di riferimento che avevano questa nomenclatura commerciale. E poi, non potevo chiamarle tutte Keller! Le birre sono molto diverse però tra loro, anche perché per trasformarle bastano davvero poche modifiche. Anche per questo motivo mi affascinano molto.
Domanda diretta: costa meno fare lager?
Guarda, rispetto a una IPA e anche considerando due mesi di lagerizzazione, ho il 5% di scarto invece che il 20%, spendo 7 volte meno per le materie prime e pur vendendo a 3 al litro invece che a 4,50, il margine netto è più alto. Morale: si guadagna di più a fare lager, ed anche per questo in molti oggi lo fanno!