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Dagli USA arriva un lievito “spaziale”!

spazio2Una birra “dell’altro mondo”. D’accordo, il modo di dire è tutt’altro che originale: anzi, stantìo alquanto; ma ricorrervi stavolta è, con ogni probabilità, decisamente più appropriato che in altre occasioni. Perché nella fattispecie non si tratta di dire, di una birra, quanto sia buona. No, il contesto è assolutamente non metaforico: al contrario, assolutamente letterale. La Ninkasi Brewing company – “micro” statunitense, di Eugene, nell’Oregon, accreditata di volumi annui sui 70mila ettolitri – ha elaborato il lancio di un razzo con un carico, al suo interno, di lieviti vivi (16 ceppi per l’esattezza), al fine di verificarne la reattività, e dunque l’utilizzabilità, in condizioni estreme di bassa temperatura e assenza di peso; il vettore ha il compito di far viaggiare i lieviti in orbita alla velocità del suono, ossia 343 metri al secondo.

L’esperimento, di cui il birrificio parla riferendosi ad esso come a un autentico “programma spaziale” (il Ninkasi Space Program), è seguito dal tecnico di laboratorio Dana Garves, nel ruolo di referente scientifico dell’operazione; l’obiettivo è di sottoporre le colture “imbarcate” sul razzo alle sollecitazioni di cui si è detto, per poi recuperarle e impiegarle nel brassaggio. Effetti attesi sul prodotto finale? Non uno o alcuni in particolare. In questa iniziativa, sono le parole della stessa Garves, tutto sarà oggetto di scoperta e di verifica: dalla stessa capacità di fermentare, da parte dei lieviti post-missione, a quelle che saranno le conseguenze in termini di caratterizzazione organolettica. In prospettiva, peraltro, l’intenzione sembra quella di arrivare, forse, un giorno, a una birra interamente realizzata nello spazio.