Un lievito per amico (II parte): la fermentazione nelle Tripel
Se le Saison (leggi la prima parte dell’articolo) non sono facili da produrre in casa, con le Tripel arriviamo a livelli di complessità ancora più elevati. In questo caso ci mette lo zampino anche l’alcol, che può salire a concentrazioni piuttosto alte rendendo la fermentazione più complessa da gestire. Il profilo aromatico delle Tripel ruota attorno a note fruttate di arancia e pesca, anche se le versioni di produttori differenti possono avere profili anche molto diversi tra loro.
In genere, come nelle Saison, l’acetato di isoamile (aroma di banana) viene tenuto a bada, facendo capolino in qualche versione ma sempre e comunque in secondo piano. I fenoli speziati sono delicati, rispetto alle Saison possono tendere leggermente di più al coriandolo o al chiodo di garofano, ma senza mai apparire sgraziati. Meno netto il tratto rustico, che però in alcune versioni (come l’ottima Tripel di St. Bernardus) può farsi strada tra le note di pesca, pera e albicocca. La capostipite dello stile, la muscolosa Tripel di Westmalle, esprime un fruttato più contenuto e un profilo aromatico in generale meno “ampio” rispetto alle altre versioni, con note agrumate e di frutta a nocciolo che sembrano quasi provenire da frutta candita. Questa componente da “pasticceria” nell’aroma arriva a livelli estremi nella Tripel di De Garre, che quasi sconfina oltre i limiti dello stile, esprimendo opulente note di pasticceria, marzapane, frutta candita. Profili aromatici molto difficili da gestire, soprattutto per via dell’alcol che tende a dominare il naso e il palato quando la gradazione supera gli otto gradi, cosa abbastanza comune per lo stile. Il consiglio è di non stressare il lievito, aiutandolo a rimettersi in sesto dalla bustina con uno starter che porti il conteggio cellulare stimato a un abbondante tasso di inoculo (meglio stare al sicuro con un overpitching in questi casi). Su questo fronte, ahimè, i lieviti secchi non sono all’altezza dell’arduo compito per quanto riguarda il profilo organolettico.
Alcuni hanno tentato e tentano tuttora di produrre Tripel con il T-58 della Fermentis, con risultati che possono piacere ad amici e parenti ma che difficilmente riescono a produrre un lontano ricordo di Tripel. Una lunga maturazione può aiutare a ridurre le derive bananose e integrare meglio gli alcoli, ma non aspettatevi miracoli.
Qualche homebrewer si trova, suo malgrado, a seguire i consigli riportati sulla scheda del BE-256, lievito secco della Fermentis, consigliato per Tripel, Dubbel e Quadrupel. Purtroppo, leggendo sempre la scheda, si scopre che questo lievito è POF-, ovvero non è in grado di produrre fenoli speziati. È un ceppo fruttato che potrebbe – al limite – aver senso in una Quadrupel (ma anche qui: insomma), ma non certo in una Tripel.
Qualche anima folle potrebbe pensare di usare il BE-256 al fianco di una speziatura “manuale”, magari aggiungendo cardamomo, coriandolo o pepe, ma non la vedo una soluzione particolarmente brillante per una Tripel in stile. Magari viene fuori una birra piacevole, ma difficilmente uscirà il carattere da Tripel.
Il lievito da Tripel per eccellenza è il Trappist High Gravity, c’è poco da fare. È molto usato il ceppo della Wyeast, ovvero il WY3787 (ma anche il WLP530). Esprime un buon bilanciamento tra esteri e fenoli a temperature non troppo alte, partendo da 20-21°C. Non c’è necessità di salire troppo con la temperatura a fermentazione avviata: è un lievito esuberante che forma un ampio cappello di krausen (schiuma) durante la fermentazione, facendo molto spesso fuoriuscire la birra dal fermentatore in modo anche violento. È bene attrezzarsi con un tubo di blow-off per evitare che il gorgogliatore si tappi facendo saltare il coperchio del fermentatore. Ha una buona attenuazione che lascia la birra secca. Può diventare un po’ esuberante nella produzione di solfiti e solfuri durante la fermentazione, rilasciando aromi di cerino e uova marce che dovrebbero, in genere, svanire o ridursi sensibilmente durante la fermentazione stessa e la maturazione. A volte l’aggiunta di nutrienti per lievito (amminoacidi, soprattutto) può aiutare a ridurre l’espressione solforosa.
Per alzare il tasso alcolico della birra, senza appesantire eccessivamente la componente maltata, si utilizza una buona percentuale di zucchero in ricetta, che può andare da un modesto 5-6% fino anche al 15% nelle versioni più alcoliche. In questo scenario alcuni consigliano di aggiungere tutto – o parte – dello zucchero semplice a fermentazione avviata, in modo da rendere la vita più facile al lievito e ridurre la produzione di alcoli superiori, che possono rendere la bevuta più ruvida. Se da un lato questo approccio può essere utile, anche perché riduce il tasso di inoculo (essendo la densità iniziale più bassa al momento dell’inoculo), d’altro canto può alterare sensibilmente il profilo organolettico. Questo non è un bene o un male in assoluto, ma è importante esserne consapevoli per poter sperimentare la fermentazione in un modo o nell’altro. Attenzione a utilizzare per una Tripel lieviti che tendono a produrre esteri da frutta scura (prugne, uvetta) come il ceppo Chimay (WLP500 o WY3788), il WLP530 Abbey Ale o il ceppo Rochefort (Belgian Abbey II, WY3788): sono scelte possibili ma non ideali a mio avviso, con cui si può sicuramente sperimentare.