Universo IPA: genesi ed evoluzione di una birra cosmopolita
Abbiamo la fortuna, come appassionati, di vivere un’epoca di esplosione birraria in termini di diffusione, innovazione, crescita della qualità produttiva. Sono molti i fattori che hanno favorito questa resurrezione dopo decenni di oscurantismo organolettico industriale e forse può risultare un po’ pretenzioso stilarne la classifica. Non credo però si faccia torto a nessuno di questi se ponessimo sul podio più alto fra gli ingredienti cruciali il luppolo, la riscoperta del suo carattere e l’esplorazione del territorio sconosciuto dell’amaro. Questa rivoluzione, che è partita principalmente dagli Stati Uniti, ha visto nell’ultimo ventennio uno stile birrario rinascere e imporsi come interprete indiscutibile del modo moderno di bere birra: le India Pale Ale, nelle loro accezioni britanniche, americane, nord europee e pacifiche. Oggi se diciamo IPA intendiamo spesso una Ale d’impronta americana, dal profilo neutro di lievito, abbastanza alcolica e di colore dorato che può virare anche verso l’ambrato carico in molte interpretazioni, in cui l’amaro e l’aroma del luppolo la fanno da padrone con un’esplosione di sentori erbacei, speziati, terrosi e molto più spesso anche agrumati, resinosi e tropicali. Sono birre certamente di moda, molto apprezzate da un pubblico che, perso ogni timore reverenziale nei confronti del luppolo, ne abbraccia l’aromaticità e l’amaro qualche volta fino all’eccesso. La storia di questo stile parte da lontano e, naturalmente, dal Regno Unito.
Si racconta spesso la leggenda per cui le India Pale Ale, nate in epoca coloniale durante la seconda metà del diciottesimo secolo, debbano la loro intensa luppolatura alla necessità di conservazione durante il lungo viaggio verso l’India. Nonostante le indubbie qualità antisettiche del luppolo possano aver favorito il loro successo, le cose non sono andate esattamente così, e non c’è evidenza che queste birre siano state prodotte appositamente per la colonia (si veda qui). In quell’epoca erano molte le ales che nelle stive delle navi solcavano i mari per ristorare i palati degli emigrati britannici e fra queste c’era anche una birra stagionale di ottobre prodotta dalla Old Bow Brewery di George Hodgson. Era una birra chiara con un amaro robusto e piuttosto alcolica, come era normale a quei tempi in terra britannica prima dell’aumento della tassazione portato dalle Guerre Mondiali. Era anche una birra secca e ben attenuata, il che riduceva i rischi di eccessive contaminazioni batteriche dovute al lungo viaggio e alla conservazione in botte. La combinazione di questi fattori e gli sbalzi climatici nel corso del trasporto la resero particolarmente gradita e molto popolare fra i britannici d’India, dando grande reputazione a Hodgson.
Il successo vero e proprio però arrivò solo nella prima metà del diciannovesimo secolo, quando i birrifici di Burton-Upon-Trent, di fronte a tanto gradimento, si misero a produrre ales dalle caratteristiche simili. L’acqua di Burton fu la chiave del loro successo: ricca di solfati di calcio, risultò particolarmente adatta alla produzione di birre fortemente luppolate e il prodotto risultò chiaramente superiore. Fu così, dal caso e dal successo commerciale, che a poco a poco nacque l’identità dello stile. Intorno al 1840 queste birre cominciarono a riscuotere un grande successo anche in Patria. Il loro consumo e la loro popolarità continuarono a crescere in maniera costante nei decenni successivi e presto si cominciò a riferirsi a queste birre “indiane” e ad etichettarle con il nome di India Pale Ale. Anche altri birrifici fuori da Burton cominciarono a produrne, a volte cambiando semplicemente nome alle Pale Ale luppolate già in produzione. L’aumento delle accise durante la Prima Guerra Mondiale comportò per tutte le birre un calo della gravità originale e quindi del loro tenore alcolico e del loro corpo. Le IPA divennero di fatto molto simili alle Best Bitter e non più distinguibili al palato dei consumatori, dando inizio al declino del loro prestigio. Il termine India Pale Ale verso la metà del Novecento divenne sostanzialmente obsoleto e l’identità dello stile venne dispersa.
La resurrezione si deve alla reinessance birraria americana. Anche negli Stati Uniti, dove le IPA erano state prodotte e apprezzate nel Nord-Est, queste grandi birre erano state dimenticate, ma agli inizi degli anni ’80 i giovani microbirrifici della West Coast trovarono in questo stile quello che più si prestava all’esaltazione degli eccellenti luppoli coltivati in quella regione. Da allora le IPA sono ripartite alla conquista del mondo e stanno vivendo una diffusione e un successo produttivo inarrestabile, forse paragonabile a quello che ebbero in passato le Porter. Oggi le versioni inglesi possono virare verso un colore ramato scuro e avere note caramellate e qualche tostatura, mentre le American IPA sono in genere dorate o leggermente ambrate e indulgono maggiormente sulle note di miele. Gli aromi del luppolo inglese (Goldings, Challenger, Target e via dicendo) si muovono su sentori terrosi, erbacei e pepati, mentre i cugini americani esaltano l’agrumato, il resinoso e il tropicale grazie a luppoli come Cascade, Amarillo e Simcoe. Anche nel Pacifico, in paesi come Australia, Nuova Zelanda e Giappone, questo stile è divenuto molto popolare ed esalta le varietà locali, parecchio spinte su sentori tropicali, di uva spina, cocco e frutti a polpa gialla. In Europa continentale ha avuto successo principalmente presso i birrifici del nord, dove a fianco di alcune grandi interpretazioni si assiste spesso a versioni filo-americane un po’ eccessive e caricaturali, con la rincorsa all’amaro fine a sé stessa a scapito dell’armonia e dell’equilibrio che sempre dovrebbero esserci.
Le versioni italiane, anche a causa della mancanza di varietà di luppolo nazionali, sono ancora acerbe per un’impronta veramente originale. Risultano spesso più corpose, poco secche e con evidenti note caramellate e biscottate a sorreggere un’importante luppolatura. Esistono comunque anche da noi ottimi esempi, come la Spaceman di Brewfist, versione che sconfina stilisticamente nelle Double IPA con un’imponente mole di luppoli agrumati e tropicali sorretti da un corpo abbastanza muscolare, e come la Zona Cesarini di Toccalmatto, una Pacific IPA ramata che si pone come sintesi perfetta degli aromi luppolati del sud del Pacifico e quelli della West Coast americana. Per le versioni tradizionali del Regno Unito il nome più facile è sempre quello della Meantime IPA, ma anche da quelle parti sono in pieno rinascimento birraio e le possibilità si moltiplicano: segnalo un outsider nato da poco, Lincoln Green con la Sheriff IPA, ma fra le centinaia di strepitose American IPA in circolazione il mio cuore batte sempre per la Duet di Alpine.
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Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 7