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Quando nascono gli stili in Belgio e quali le birre più influenti?

La diversità del mondo della birra belga è un’enorme attrazione per gli appassionati di birra, ma le origini di alcuni stili sono ancora sconosciute ai più. Cerchiamo di far luce sulle principali tipologie cercando di individuare per ognuno la capostipite che ha tracciato la via.

Birra trappista: Dubbel e Tripel
Le birre trappiste sono rinomate e venerate in tutto il mondo. Nel XIX secolo, i monaci si preparavano la birre per sé, ma quando videro che potevano guadagnare vendendo i loro prodotti a passanti e pellegrini, lo fecero perché così potevano usare i soldi per mantenere l’abbazia e per realizzare atti caritatevoli. Il successo fu tale che anche altri birrifici vollero salire sul carro e iniziarono a produrre e commercializzare birre simili, usando il termine “trappista”. La questione venne portata al tribunale di Gent nel febbraio del 1962, che stabilì che solo i monaci cistercensi della stretta osservanza hanno il diritto di utilizzare il nome “Birra Trappista”. La corte accordò così ai monasteri trappisti la protezione legale per le loro birre, legittimando quello che era diventato di fatto un accordo commerciale. Dopo una lunga riflessione, nel 1997 è stato sviluppato anche un logo dedicato con su scritto: “Authentic Trappist Product”. Un logo esagonale che in realtà non si limita ad essere applicato alla birra, ma che può essere utilizzato anche per formaggio, pane, vino, marmellata, sapone, candele, etc. Inoltre può essere utilizzato non solo dai monaci, ma anche dalle monache trappiste. Sebbene i birrifici trappisti possano produrre con estrema libertà (ad esempio Spencer negli Stati Uniti produce birre alla frutta, IPA, Imperial Stout), due stili sono diventati un simbolo riconosciuto nel mondo: Dubbel e Tripel. Due tipologie i cui natali conducono dritti a Westmalle. I monaci di Westmalle producono una birra scura in aggiunta alla loro birra da pasto esistente (Extra) fin dal 1856. Tuttavia, nel 1926 hanno modificato la ricetta per fare una birra più forte. Anche se per spiegare il nome si rimanda spesso all’utilizzo di un dosaggio doppio degli ingredienti, questa motivazione non ha molto senso. I termine dubbel era stato usato per secoli per indicare una birra più forte rispetto a quella normale. Infatti, se si legge Lacambre (1851), ci si accorge come dubbel viene usato come sinonimo di birra forte, ed è menzionato numerose volte, ad esempio Diesters e Dubbel Diesters (chiamata anche Gildebier). Ed è anche dimostrato da un birrificio nella mia città natale Kortrijk, dove Brouwerij Lust tra le guerre produceva Dobbelen Bruin, Dubbel Bock e Dubbel Blond. Tuttavia, i trappisti sono riusciti a rendere la loro birra un’icona, e oggi dubbel è una birra rifermentata dal colore scuro (tra il rossiccio e il bruno) con una gradazione alcolica compresa tra 6,5 e 7,5, caratterizzata da note di cacao, frutta disidratata e secca, caramello. Altre birre riferimento di questa categoria sono la Rochefort 6 e la Chimay Rouge. Ho già parlato sulle pagine di questa rivista della Tripel, ma da allora ho trovato il termine in alcuni documenti storici di produzione di birra del 19° secolo (ad esempio in termini di “triple foncée”). Quindi, la mia teoria è che questo termine fosse già utilizzato prima di essere usato da Westmalle. Ma la storia ci racconta che Hendrik Verlinden aiutò i monaci di Westmalle a preparare la “Superbier”, una birra forte dal color dorato che i trappisti cominciarono a produrre dal 1931. Abbastanza rapidamente dopo il lancio nel 1934, fu introdotto il termine Tripel a sottolineare il fatto che la birra era più forte della loro Dubbel. Di fatto dietro l’ideazione del nome c’è semplicemente uno stratagemma di marketing. Quando la ricetta fu modificata nel 1956, la birra fu ribattezzata Tripel e creò un nuovo standard di riferimento. Oggi ci aspettiamo una birra dorata, rifermentata, con una gradazione alcolica compresa tra 7 e 10, con note leggermente speziate (chiodi di garofano) e fruttate (banana) date dal lievito. Altamente bevibile risulta deliziosamente pericolosa. Un altro esempio molto conosciuto, riferimento di genere, è la Chimay Triple (Cinq Cents).

Birra d’abbazia
Dato l’enorme successo delle birre trappiste, altre birrerie erano ansiose di saltare sul carro, e lo fecero, imitando le dubbel e le tripel, come Sint-Bernardus (1946, ma questo è un caso speciale data la loro collaborazione con Westvleteren), Maredsous (1949), Leffe (1952), Saint-Feuillien (1952), ecc. Ma, come detto, dal 1962 non potevano più chiamare le loro birre trappiste. Alcuni iniziarono a etichettare la loro birra come birra d’abbazia, in modo tale da poter ancora usare immagini dei monasteri, i monaci, ecc. Tuttavia, ci fu un’enorme proliferazione e alcuni birrifici addirittura finirono per ridicolizzare i monaci o prendere in giro la religione. Pertanto, l’Unione dei birrifici belgi (UBB) insieme ai rappresentanti del mondo dei monasteri prese iniziativa nel 1998 ideando il logo “Bière belge d’abbaye reconnue” nel 1999 (due anni dopo i trappisti). Questo è un marchio collettivo e può essere utilizzato solo dai membri di UBB che abbiano firmato un accordo scritto e che aderiscano a condizioni molto specifiche. Se mai qualcuno volesse provare una birra d’abbazia certificata, il mio consiglio è quello di puntare alle birre dei produttori più piccoli come Ename (Roman), Saint-Martin (Brunehaut) e Sint-Bernardus. Tuttavia, ci sono anche birre che sono considerate birre d’abbazia senza essere certificate. Questi birrai possono fare quello che vogliono: usare il nome di un santo locale (De Struise con Sint-Amatus), raccontare una storia buona ma falsa per collegare il birrificio a un monastero (Bosteels Tripel Karmeliet di AB InBev) o usare una parola del vocabolario cattolico latino che si colleghi al clero (ad esempio la Kapittel di Leroy) per commercializzare e vendere i loro prodotti. In realtà, è bene ribadirlo, questo non è uno stile vero e proprio, in quanto consente di produrre e vendere qualsiasi tipo di birra sotto questa etichetta. E di certo non è sinonimo di qualità, visto che molti birrifici (soprattutto i marchi industriali) producono solo per amore del denaro, e non anche per amore della birra come ad esempio Leffe, Grimbergen, Tongerlo, e tanti altri.

Strong golden ale
Il nome che viene in mente a tutti pensando a questa categoria è ovviamente quello di Duvel. Grazie alla ricerca di Ariël Meeusen si può tracciare la storia di questa birra. Dai documenti rinvenuti si scopre come la precorritrice della Duvel è stata la Victory Ale rilasciata nel 1922 come birra scura e rimasta tale fino al 1926, quando il colore cambiò in ambrato. La ricetta della birra venne modificata ancora una volta nel 1970, quando Jean De Clerck, considerato uno degli scienziati della birra più influenti del XX secolo, venne assunto da Moortgat. Jean selezionò il tipico lievito utilizzato per la produzione di Duvel dalla miscela di ceppi che Albert Moortgat aveva avuto dalla scozzese McEwan’s e cambiò i malti virando verso un colore dorato. Fu un successo immediato, grazie al fatto che Moortgat poteva vendere quella particolare birra nei pub di altre birrerie, in quanto nessuno aveva un prodotto del genere in gamma. Ma le cose sono cambiate gradualmente, quando compresero che stava diventando una birra di successo. Altri birrifici concorrenti presentarono birre chiamate Satan, Lucifer, etc. e altri con nomi “ribelli” come Brigand, Piraat, Judas, etc.. Ma nessuna poteva davvero competere con la Duvel e la maggior parte ottenne un limitato successo locale. Anche AB InBev ci ha provato nel 2008 lanciando la Jupiler Tauro, senza riuscirci. Tuttavia, più o meno nello stesso periodo (12 anni fa), Lefebvre lanciò Hopus, che ebbe un discreto successo a causa di due espedienti: la bottiglia con tappo meccanico e il bicchiere piccolo con il deposito di lievito accanto al bicchiere grande. Brouwerij Omer Vander Ghinste (precedentemente chiamata Bockor) ideò poi la Omer, una birra diventata molto popolare tanto da diventare il primo vero sfidante di Duvel. Ciò ha attirato di nuovo l’attenzione di altri birrifici che hanno tentato nuovamente la fortuna negli ultimi tempi. Vanhonsebrouck, che aveva già Brigand nel suo portfolio, lanciò Filou, soprattutto con spot pubblicitari televisivi, e con un’etichetta che ricordava molto Duvel, che tra l’altro avvio una causa per questo (poi persa). Nel frattempo Alken-Maes (Heineken) ha rinnovato Hapkin (Louwaege) e la sta spingendo molto a livello commerciale. Poche settimane fa, infine, AB InBev ha lanciato Victoria (con chiari riferimento al nome dell’antesignana di Duvel). Il termine “strong” si riferisce al titolo alcolometrico compreso tra 7 e 11 gradi alcolici.

Strong dark ale
Strong ha lo stesso significato di prima, ma come puoi ben intuire il colore è diverso. Ci sono sempre state birre scure (piuttosto) forti in Belgio, ad esempio la Buffalo di Van den Bossche (1907), le birre Gordon Scotch e X-Mas, Het Anker Gouden Carolus, Gulden Draak di Van Steenberge, ecc. Ma queste erano birre locali e/o a produzione limitata. E il fatturato a livello globale era davvero piccolo negli anni ’60 e ’70, data la propensione dei consumatori verso le birre chiare. Tuttavia, sulla scia di “Beer of the Year 1986” e grazie al successo delle forti birre trappiste scure, Vanhonsebrouck (ora chiamato Kasteel Brouwerij Vanhonsebrouck) progettò una Strong dark ale nel 1989, chiamata Kasteelbier. Abbastanza dolce e molto forte, la birra venne molto apprezzata tra i consumatori, che hanno ricercato il lungo invecchiamento, realizzato verticali e scambiato ricette per abbinamenti. Dopo aver ampliato la gamma, la birra è stata ribattezzata Kasteel Brown. Nel frattempo altri sono saltati sul carro delle Strong dark ale nella fascia alcolica alta, ad esempio Bush de Noel di Dubuisson (1991), Cuvée van de Keizer di Het Anker, Straffe Hendrik Quadrupel (2010), ecc. Un fenomeno la cui scia ha trasportato anche altri stili di birra scura solitamente meno apprezzati dal pubblico. 

Witbier
La storia di Hoegaarden e Pierre Celis è nota a tutti. Basti sapere che lo stile è stato rilanciato da Pierre nel 1966. Se poi la sua ricetta fosse fedele allo stile originale è ancora oggetto di dibattito, poiché la maggior parte dei libri storici sulla birra non menziona l’uso di spezie (coriandolo e curacao) nelle ricette del birrificio Hoegaarden. In ogni caso la sua Witbier divenne molto popolare negli anni ’80, con il risultato che molti imitatori si cimentarono nel genere, come Dentergems Wit (Riva), Wittekerke (Bavik), Witbier Haacht (ora Super 8 Blanche), ecc. Quando il birrificio Hoegaarden bruciò nel 1985, Interbrew (ora AB InBev) intervenne e gradualmente prese il comando. Da allora la birra Hoegaarden è l’ombra di se stessa, e lo stile in sé non è più popolare in Belgio. Tuttavia, il mondo ama questa birra e ci sono etichette come ad esempio la Vedett Extra White di Duvel che hanno un enorme successo in Giappone, Cina, Brasile, ecc. posizionandosi come un primo passo sulla strada verso le birre speciali.

Pale ale
Le importazioni inglesi (e tedesche) in Belgio ebbero un discreto successo all’inizio del XX secolo. Quando nel 1905 fu lanciato un concorso per trovare un concorrente belga a queste importazioni internazionali, una birra in bottiglia della Brasserie Binard Frères di Châtelineau risultò la vincitrice. La loro La Belge du Faleau era imbottigliata e non era torbida, in modo che tutto il contenuto della bottiglia potesse essere servito: aveva insomma l’aspetto di una birra chiara inglese con una bella schiuma ed era ancora più economica delle birre d’importazione. È stato un successo immediato che ha attirato parecchi imitatori. Ma, nel corso degli anni e soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, l’acquisizione di molti dei piccoli birrifici ancora esistenti e la spinta a produrre pilsner portarono ad una drastica riduzione dell’offerta. I grandi birrifici come ABInBev continuare a mantenere alcune Pale Ale nel loro portafoglio ma non le commercializzavano più (Ginder Ale, Vieux-Temps, Horse Ale), mentre solo pochi birrifici più piccoli rimasti in attività continuarono a produrre e promuovere questo stile. I più importanti ancora esistenti sono Palm (Swinkels Family Brewers) e De Koninck (gruppo Duvel). Nel frattempo, cinque birrifici hanno ricevuto lo status ufficiale fiammingo di streekproduct (prodotto regionale), ovvero il summenzionato Palm e De Koninck, più Contreras con la sua Tonneke, De Ryck con la Special e Alken-Maes (Heineken) con Op-Ale. Tuttavia, lo stile ha sofferto molto nel corso degli anni, principalmente a causa della cattiva gestione dei prodotti di punta originali, ad esempio attraverso l’addolcimento del gusto o per via di una comunicazione rivolta ad un pubblico sbagliato (giovani alla moda, etc…). Tuttavia, se sei interessato al genere non ti scoraggiare. Fai come un mio amico-birraio che dagli Stati Uniti è venuto dalla California a Herzele solo per godersi un po della De Ryck Special freschissima. Non te ne pentirai.


Saison 

Molti belgi ti diranno che questo non è uno stile. E a ben vedere hanno ragione se si guarda alla scena birraria del 19° secolo, quando tutti i tipi di birra venivano prodotti nei mesi più freddi, o stagionalmente. Tuttavia, ciò a cui la maggior parte degli appassionati di birra si riferisce oggi parlando di Saison è la Saison della Brasserie Dupont. Gli storici riferiscono che la Saison Dupont fu prodotta per la prima volta nel 1844. Ma questa birra non ha nulla a che fare con l’attuale “Saison Dupont”, sviluppata dopo la seconda guerra mondiale. Altri birrifici seguirono l’esempio di Dupont e cominciarono a produrre Saison o a recuperare vecchie ricette. Esempi sono Saison Voisin (Légendes), Saison 1900 (Lefebvre), Saison de Silly, etc. Accanto alla versione luppolata, c’è un’altra versione della Saison caratterizzata da erbe e spezie portata avanti ad esempio da birrifici come Vapeur e Fantôme. Al giorno d’oggi in tutto il mondo si produce Saison, e la maggior parte dei consumatori non ha la più pallida idea di cosa significhi o di come dovrebbe essere una Saison originale. Quindi va bene tutto, anche che un birraio del Colorado produca più di 40 birre diverse all’anno e le chiami tutte Saison, indipendentemente dagli ingredienti, dal livello di alcol, dal colore, ecc. Ciò significa che il termine oggi è così labile e così abusato che spesso quando lo incontro sorvolo e passo ad altro. 

Flemish red ale
Il termine si riferisce alle brune acide delle Fiandre occidentali, ottenute per fermentazione mista, maturazione in tini di legno e miscelazione di birra giovane e vecchia. Tuttavia, c’è stato un tempo in cui le sour ale non erano di moda, così i produttori di birra hanno iniziato a cercare una descrizione alternativa e hanno inventato il termine roodbruin circa 20 anni fa. Una nuova etichetta che ha finito per creare un po di confusione con le Oud bruin delle Fiandre orientali. Non è chiaro quando lo stile sia davvero decollato, ma alcuni puntano il dito sul know-how inglese (ad esempio Greene King, blendando birre giovani e vecchie da botti di rovere), utilizzato da Rodenbach nella seconda metà del XIX secolo. Sicuramente Rodenbach deve essere riconosciuto per aver reso popolare lo stile, specialmente negli anni ’60 e ’70, dato che la sua flemish red ale è stata considerata per qualche tempo la soluzione perfetta per coloro che volevano qualcosa di più gustoso della pilsner, ma con una gradazione alcolica simile, e con un colore ambrato ma non troppo carico. Visto il successo di Rodenbach, altri hanno seguito l’esempio e hanno fatto la loro versione o rispolverato vecchie produzioni. Esempi tipici includono Vander Ghinste Roodbruin, Petrus Roodbruin di De Brabandere (precedentemente chiamato Bavik) e Duchesse De Bourgogne di Verhaeghe. Questi quattro birrifici e altri (ad esempio Vanhonsebrouck con Bacchus) erano interessati a promuovere insieme lo stile e hanno voluto replicare ciò che avevano fatto i produttori di Lambic. Tuttavia, il loro tentativo di copiare HORAL e avviare HORARB non ha avuto lo stesso successo. In compenso hanno lanciato Rondje Roodbruin, un evento semestrale, simile al Tour de Gueuze in cui è possibile visitare alcuni birrifici.

Lambic e Gueuze
Uno stile sul quale è stato detto di tutto e che per approfondire meriterebbe molto spazio. Ma non voglio e non posso dilungarmi troppo, ne approfitto quindi per soffermarmi su un aspetto spesso dimenticato che a mio avviso merita attenzione. Si dice infatti spesso che le birre a fermentazione spontanea sono un prodotto unico della zona intorno a Bruxelles, la valle della Senne. A parte i numerosi birrai sparsi in tutto il mondo che hanno dimostrato di saper produrre birra a fermentazione spontanea, voglio ricordare come in Belgio c’è un’altra regione che ha dimostrato per decenni di saper fare lambic e cioè quella delle Fiandre sud-occidentali. In effetti alcuni dei birrai che producono flemish red ale producevano anche lambic e gueuze. Una delle esperienze più interessanti e intellettualmente gratificanti che puoi fare in Belgio è imparare e capire come sono riusciti a utilizzare la stessa attrezzatura per entrambi gli stili, anche se con ingredienti parzialmente diversi e solo pochi passaggi produttivi differenti. La gueuze di Rodenbach si chiamava Gueuze Saint-Georges (lanciata negli anni ’50 e interrotta nel 1978). Verhaeghe aveva una birra, chiamata semplicemente gueuze. Van Honsebrouck (lanciato nel 1958) produceva Saint-Louis Gueuze, Kriek e Framboise (venduti anche a livello internazionale con l’etichetta Vieux-Bruges) e Gueuze Fond Tradition. Omer Vander Ghinste (ex Bockor) aveva Jacobins Gueuze Lambic, Kriek Lambic e Framboise Lambic, tutti fuori produzione. Uno stile quello del lambic delle Fiandre occidentali che vive un’esistenza sopita. Tuttavia c’è un nuovo arrivato grazie a De Ranke, la Mirakel, che viene definita Spierelambic.