Hanssens rappresentava per me una parola magica quando, fine anni 80 – inizio anni 90, facevo le mie prime avventurose scorribande nel Pajottenland, ancor prima di diventarne il “Principe”. Magica perché venivo irresistibilmente attratto da quelle bottiglie verde scuro, solide e pesanti, senza alcuna etichetta, segnate da pennellate chiare o rossicce, indice di gueuze o di kriek e di come dovevano essere tenute orizzontalmente in cantina. Ma soprattutto magica per il loro tappo di sughero, bloccato da un ferretto che col passare del tempo creava un effetto sempre più profondo di divisione tra le due parti. Questo tipo di tappatura era tipico delle prime gueuze e kriek, come mi riferirono i miei principali informatori: non certo scrittori e studiosi, non me ne vogliano, ma i vecchietti sdentati del Pajottenland (e meno denti avevano e più erano attendibili!). Oggi troviamo le Hanssens Artisanaal, nome adottato dal 1988, con etichette (belle e subito riconoscibili a dir la verità) e con tappo a fungo e gabbietta. È superfluo dirvi come il vecchio Kuaska, ultra-moderno in campo artistico ma ultra-conservatore-nostalgico in campo lambic, rimpianga i tempi passati.
Ricordo nitidamente come sin dalla prima volta in cui entrai nella birreria, condotto dal compianto Stephen D’Arcy, rimasi affascinato dall’aura fatata che circondava la figura di Jean Hanssens. Superato il suo stupore nel conoscere un pazzo invasato italiano, mi accolse con un calore e un fare paterno che sorprese gli amici e parenti che erano lì a bere un bicchiere con lui. Da allora, ogni volta, era uno scombussolamento emotivo per me, parlare con lui di suo nonno Bartolomeo, borgomastro di Dworp morto nel 1928 e di suo padre Theo morto nel 1974, in mezzo a quelle botti così vecchie e marce che avrebbero ispirato Stanley Kubrick per girare uno o più sequel di “Shining”. Jean, oltre che valente assemblatore, era un gran fumatore. Non ricordo di avere mai visto un’altra persona, a parte un turco con cui scommisi su un cavallo perdente all’ippodromo di Saint Cloud, che fumasse più di lui. Io lo cazziavo ogni volta e lui mi lasciava fare, provocando l’ilarità di sua figlia Sidy, altra grande fumatrice, dalla quale non accettava cazziate di nessun tipo. Le foto simil-polaroid che ho con lui, sono tra gli affetti “materiali” più cari che conservo con amore e nostalgia. Non vorrei essere frainteso, dopo questo bagno di nostalgia, ma ancor oggi resto un innamorato sostenitore dell’universo Hanssens, salvato dalla figlia Sidy che continuò, con l’aiuto del marito Johnny Matthys, l’opera del padre che, nel 1997, a 65 anni, raggiunta l’età della pensione, aveva deciso di appendere “il naso al chiodo”, fortemente deluso e pessimista sul futuro della gueuze.
La birreria rimane un luogo incantato, Sidy e Johnny, pur facendo un altro lavoro, rispettivamente segretaria in un ufficio di avvocati e controllore di volo all’aeroporto di Zaventem, portano avanti con passione e senza compromessi la tradizione di famiglia. La gueuze e la kriek sono da sempre i fiori all’occhiello, i biglietti da visita della birreria. Per fortuna è stata subito accantonata la bizzarra idea che portò, nell’inverno 2001, alla discutibile “Mead the Gueuze” un blend formato dal 70% di gueuze di tre anni col 30% di idromele inglese Lurgashall, mentre si continua a produrre, con pareri discordanti, la Oudbeitje, nata nel 2000 e imbottigliata dal 2001 con l’aggiunta di 150 chili di fragoline belghe per ogni botte da 600 litri contenenti un blend di lambic provenienti da Girardin e Boon. Ho usato la parola “discordanti” in quanto persone che stimo moltissimo, cari amici e colleghi come il fiammingo Joris Pattyn e lo svizzero Laurent Mousson la trovano ottima il primo, e pessima il secondo. Per la cronaca io la trovo imbevibile con punte di sentori di vomito di lattante. Non sarebbe onesto da parte mia, infine, non toccare il delicato argomento della soglia di percezione dell’acetico che, specie una decina d’anni fa, cominciò ad essere troppo elevata, rendendo ostica se non impossibile, la bevuta anche per il più incallito e maniacale “sour drinker” del mondo. Oggi tale pericolo sembra scongiurato nella straordinaria e riconoscibilissima gueuze ma tuttora presente nelle birre con frutta come, in misura accettabile nella kriek ma decisamente esagerata nella framboise e nella cassis.
Parlando con un autorevolissimo scienziato, innamorato del lambic, tale problema veniva imputato alla vecchiaia delle botti che ormai non permettono più quella magica e misteriosa alchimia che dona al lambic e ai suoi derivati quell’equilibrio tra le percezioni maltate, fruttate, acidule, citriche completate dai famosi e caratteristici “off flavors” (leggasi divine puzze) che ci regala complessità, originalità, e al tempo stesso piacevole beva che tanto ci fanno amare queste straordinarie bevande. Da persone intelligenti e consapevoli come Sidy e Johnny, la soluzione è stata trovata con l’acquisizione di nuove botti espressamente commissionate ad un bottaio che le fornisce su misura. Sapete dove si trova tale valentissimo maestro-artigiano? Nel Pajottenland? In altre parti del Belgio? No, niente di tutto questo, si trova in Bulgaria, paese in cui i nostri due eroi passano le brevi e meritate vacanze, per essere precisi, vicino al confine con la Turchia. Ma di più non possiamo, né vogliamo dire!
Oude Geuze Hanssens
Quando ho una gueuze Hanssens sottomano, non riesco, ieri come oggi, a resistere nel correre a comprarmi un formaggio di capra bello tosto per godere di questo semplice ma grandioso abbinamento. La gueuze Hanssens che bevevo trent’anni fa non è molto diversa da quella di oggi, salvo ovviamente il periodo acetico incriminato di cui parlo nell’articolo. Le tipiche note di brie giovane, uva bianca acerba e limone sono ancora chiaramente percettibili e, se devo sottolineare, la differenza maggiore rispetto al passato, oggi mancano quelle punte, seppur lievissime, di affumicato che si percepivano nel retrogusto secco, ma non così secco come quello della vecchia Drie Fonteinen, con la quale aveva in comune alcuni dei flavors sopra descritti ma non questa sensazione peculiare di affumicato. Attenzione, vi regalo, una dritta avuta secoli fa da Joris Pattyn: quando si avvertono note affumicate in kriek molto invecchiate, questo è un sintomo e più che un sospetto di utilizzo di saccarina. La kriek Hanssens fu “sotto osservazione” e come direbbe Peppino De Filippo, a Totò, “ho detto tutto”.