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Abbinamento pizza e birra: la Margherita

Acqua, sale, farina, lievito, pomodoro San Marzano Dop, fior di latte tipicamente proveniente da Agerola (SA) o mozzarella di bufala campana Dop, eventuale manciata di formaggio stagionato a pasta semidura/dura – solitamente Parmigiano Reggiano Dop, Pecorino Romano Dop o un mix di questi primi due -, dell’olio extravergine d’oliva e qualche foglia di basilico, spezzata se troppo grande.

Da questi ingredienti prende vita la Margherita, pizza iconica nata a Napoli, secondo leggenda, dalle mani e dalla mente di Raffaele Esposito, pizzaiolo verace che con essa intese omaggiare la regina Margherita di Savoia. Il rosso del pomodoro, il bianco della mozzarella e il verde del basilico: fu amore al primo morso. Attualmente, la Margherita costituisce il sommo banco di prova per ogni pizzaiolo, chiamato sia a ideare un impasto che possa essere dotato di buon morso, scioglievolezza – senza gommosità -, ottimo sapore che non rimandi al pane e facile digeribilità, sia a utilizzare materie prime di qualità. Ad esempio, un pomodoro troppo acido potrebbe guastare l’equilibrio gustativo della pizza e arrecare problemi nella fase del digerimento, così come una sua eccessiva acquosità renderebbe l’impasto troppo umido. Altri errori tipici? Adagiare il basilico sulla mozzarella e non sotto, prima della cottura, fa sì che esso si bruci; l’utilizzo di fior di latte o mozzarella troppo freschi e conseguente rilascio di liquidi in cottura ed effetto inzuppo; il maldestro dosaggio e la irregolare disposizione sul disco dei vari ingredienti possono dar luogo a zone in cui la pizza risulta cruda, mentre in altre, sguarnite, a bruciature superficiali della pasta.

Da un punto di vista analitico-sensoriale, il topping di tale pizza è contraddistinto principalmente da: dolcezza e discreta acidità del pomodoro; dolce-salato, grassezza e succulenza di fior di latte/mozzarella; toni erbacei del basilico; fruttato, amaro e piccantezza dell’olio extravergine.

Alla Margherita si può abbinare una birra di medio corpo, dalla componente maltata preponderante, priva di acidità, dall’amaro minimo e dotata di un tenore alcolico medio/medio-elevato. In tal senso, si può andare a pescare nell’universo delle lager, le birre di bassa fermentazione di matrice tedesca, sfruttando così anche l’eleganza degli aromi dei luppoli nobili, che vanno a legarsi delicatamente a quelli del basilico.

Rifacendosi alla memoria palatale italiana, per anni forzata ad abbinare la margherita alle Pilsner (scelta non condivisibile se i livelli di amaro cominciano a cozzare con l’acidità), si può trovare un giusto compromesso tra tale imprinting e quello che costituirebbe l’abbinamento ideale. Una Munich Helles (4.7-5.4% abv), in tal caso, è perfettamente funzionale a tale scopo: abbina la facilità di bevuta a una luppolatura meno ingente di quella di una Pilsner; queste si uniscono ai toni grainy e alla dolcezza del sorso, che lascia presto il campo a un finale in cui le note maltate sono ancora indiscusse protagoniste. Con una Bock tradizionale (6.3-7.2% abv), non troppo carica nel colore, si raggiunge un risultato ancora migliore: la ricca timbrica maltata si avviluppa al pomodoro e all’impasto, mentre la succulenza e la grassezza del fior di latte vengono stemperate da una maggiore alcolicità.