Fare la birra in casa: paese che vai, IPA che trovi!
IPA: fra le pieghe di questo breve acronimo – India Pale Ale – si nasconde probabilmente il Re tra gli stili di birra, quello che più identifica il panorama artigianale, che sta alle craft beers come la lager sta alla produzione industriale. Nato da una costola delle storiche birre pale ale, fu studiato e selezionato per reggere alle lunghe traversate oceaniche sulle navi della marina inglese dirette nei porti dell’India. La tradizione racconta che le truppe inglesi, amanti come i connazionali delle fantastiche ale della madrepatria, desiderassero ardentemente l’amata bevanda anche nei possedimenti extraeuropei, e in particolare nelle colonie indiane. Sebbene l’Inghilterra fosse una nazione riconosciuta per il potere e l’abilità della propria flotta navale, il trasporto del prodotto via mare, in viaggi di molti mesi, era ancora una pratica difficile e delicata: la birra deperiva facilmente, diventando piatta e, soprattutto, spiccatamente acida.
Leggenda vuole che proprio per questi motivi tale George Hodgson, nel 1790, ne studiò una nuova versione, che ben presto divenne la capostipite dello stile. Secoli prima dell’avvento della pastorizzazione, della filtrazione e di tutte le tecniche moderne di conservazione, le uniche armi contro le infezioni ed il passare del tempo erano l’alcool – prodotto dalla fermentazione – ed il luppolo, pianta aromatica di cui solo ora si conoscono le proprietà antisettiche. Creò una birra ambrata carica (ovvero pale, pallida, in confronto alle birre tradizionali dell’epoca che erano brune, scure e nere), con un quantitativo superiore di grani e zuccheri ed una maggiore attenuazione grazie al lavoro del lievito che gli garantì un tenore alcolico sopra la media. Aggiunse inoltre alle botti caricate sulle navi una piccola percentuale di zucchero, per mantenere il lievito il più possibile attivo durante i mesi della traversata, nonché una quantità di luppolo all’interno delle stesse, inventando di fatto il primo dry hopping della storia. Accorgimenti che gli permisero ben presto di diventare il principale produttore di birre destinate al mercato indiano.
Ovviamente, dopo pochi anni, molti tentarono di copiare le IPA di Hodgson. In particolare ebbero un buon successo i produttori di Burton upon Trent, ridente cittadina che diventò la capitale brassicola del Regno Unito. La fortuna di questo luogo risiedeva nell’acqua utilizzata per la produzione: la composizione salina in essa disciolta permetteva infatti di realizzare prodotti meno aspri e pungenti – caratteri derivati dall’alto quantitativo di luppolo utilizzato – rendendo queste birre le migliori in circolazione. Questo è ciò che racconta il mito ma, come in tutti i miti, dietro al fondo di verità si nascondono alcune inesattezze. Difficile pensare che Hodgson abbia inventato di sana pianta le IPA, molto più verosimile è immaginare che diversi birrifici abbiano realizzato versioni invernali più forti, poi rivelatesi più adatte al viaggio. Senza dubbio il nostro Hodgson ebbe una vena commerciale più spiccata rispetto ai suoi concorrenti. Oltretutto, in pubblicazioni antecedenti anche di 50 anni l’arrivo di Hodgson, si trovano richiami sia alle birre di Burton upon Trent sia a ‘deliziose birre chiare – pale, appunto – e frizzanti’. Le IPA non furono poi le uniche birre trasportate nelle Indie dell’Est: le porter, indicativamente, avevano i medesimi parametri di alcool, e anch’esse si potevano facilmente trasportare via mare. Con ogni probabilità la nuova categoria di pale ale divenne solamente più apprezzata e richiesta come bevanda dissetante da bere ghiacciata, vincente nel confronto con gli stili allora più conosciuti. A parte ciò, l’aura di mistero che avvolge le India Pale Ale ha senz’altro contribuito a rendere affascinanti e ricercate le birre di questa tipologia che, dopo il declino registrato nel ‘900, hanno raggiunto un nuovo splendore all’inizio del XXI secolo. Questo grazie sia alle versioni internazionali come le American Pale Ale – caratterizzate da luppoli statunitensi – sia a quelle un po’ più estrose che ritroviamo tanto in Belgio quanto in Italia, con numerosi prodotti con aromatizzazioni ed amaricature particolari, ottenute sia con luppoli del luogo sia con spezie ed aromi differenti, pompelmo su tutti.
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Stile UK
L’originale IPA inglese, a differenza di quanto si possa credere, non è eccessiva e squilibrata, ma è un perfetto mix di luppoli tradizionali e malti inglesi. Difficilmente supera i 6-7° alcolici, e solitamente le IBU si attestano sui 40-50. Come espressione di birra chiara il malto principale è il pale (magari un buon Maris Otter), con bilanciata una percentuale di crystal per donare corpo e carattere caramellato. I luppoli sono ovviamente i nobili Fuggle o Kent Golding, il primo più floreale e fruttato, il secondo maggiormente speziato ed erbaceo. Come lievito consiglio il safale S-04 tra i secchi e il Wyeast 1028 o il rispettivo WhiteLabs WLP005, i British Ale per eccellenza.
Stile USA
È l’espressione forse più famosa delle IPA nel mondo. Molto più estreme, sono fortemente caratterizzate dagli ingredienti americani e dunque, per ciò che riguarda le varietà di luppolo impiegate, da sensazioni agrumate e citriche. A bilanciarne i grandi quantitativi in genere utilizzati ci pensano i malti chiari, anche speciali come il crystal e il chocolate, utili ad aumentare la complessità del mosto. Il lievito da usare va ricercato nelle selezioni d’Oltreoceano: il safale US-05 e i rispettivi esempi liquidi come il WY1056 e il WLP001 American Ale.
Stile Italiano
In Italia sono nati ottimi esempi di IPA, spesso impreziosite da ingredienti particolari fra cui frutta, spezie e aromi intriganti. Riprendiamo un esempio di IPA estrema che può ricordare alcuni importanti prodotti nostrani.
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Articolo tratto da Fermento Birra Magazine n. 2